Er còllera mòribbus (33) (Colera a Napoli …)

 

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di Gioachino Belli

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Er còllera mòribbus 

33° (Colera a Napoli … n.d.r.)

    Er collèra sta a Nnapoli, fratelli,                       Il colera sta a Napoli, fratelli,
e sta a Ggaeta e in tre o cquattr’antri lochi,      e sta a Gaeta e in tre o quattro luoghi,
e ppe ttutto li morti nun zò ppochi                     e da per tutto i morti non sono pochi
e ll’imballeno a sson de campanelli. (1)              e l’imballano a suon di campanelli.
              
  Inzomma, ecchesce cqua, fijji mii bbelli,           Insomma, eccoci qua, figli miei belli,
ciaritrovamo immezzo tra ddu’ fochi.                 ci ritroviamo in mezzo a due fuochi.
’Ggna penzà  ddunque a ddiventà bbizzochi     Bisogna pensare dunque a diventare bigotti
pe mmorí ccom’e ttanti santarelli.                      per morire come tanti santarelli.
              
     Mó ttocca a cqueli poveri cafoni,                 Ora tocca a quei poveri cafoni,
e inzin che ccianno sta pietanza addosso       che finché hanno  questa pietanza addosso
nun ze maggna ppiú un cazzo maccaroni.      non si mangiano più un cazzo maccheroni.
              
  Oggi o ddomani poi toccherà st’osso            Oggi o domani poi toccherà  quest’osso
de rosicallo a nnoi. Bbe’, ssemo bboni           di rosicarlo a noi. Bbe’, siamo buoni
e llassamo fà a Ddio ch’è ssanto grosso.        e lasciamo fare a Dio che è santo grosso.


1° novembre 1836

1 Il suono dei campanelli avvisava il passaggi dei carri dei morti di colera, per creare allontanamento.

Traduzione e note a cura di Maria Luisa Ferrantelli e Francesco Zaffuto

Immagine da internet: la pratica igenica di bruciare  indumenti usati dai malati di colera.

Post inserito il  9/12/20


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