Nell’Ottobre del 2017, ed esattamente
il 20, Stéphane Hessel compirebbe cento anni. Pochi anni prima della sua morte
(il 27 febbraio del 2013) ironizzava sulla sua veneranda età e diceva
soprattutto ai giovani che dovevano avere la forza e il coraggio di indignarsi
dinanzi ad ogni sopruso. Lui quella forza e quel coraggio lo aveva conservato
fino a tarda età e nell’ottobre del 2010 fece uscire alle stampe un piccolo
pamphlet di circa 20 pagine “Indignatevi!” che fu letto in tutto il mondo e che
divenne un caso editoriale e politico.
In
qualche modo quella parola “Indignatevi!” e i contenuti di quel piccolo libro sono stati
alla base del grande movimento giovanile degli Indignados spagnoli ed hanno
anche ispirato il movimento di Occupy Wall Street. Alle critiche che furono
sollevate allora nei suoi confronti (del tipo “Indignarsi non basta” di Pietro
Ingrao) Hessel rispose con due nuovi libri: “Impegnatevi!” del 2010 e “Vivete!”
nel 2012.
La parola “indignazione” negli anni
che sono seguiti è stata abusata da diversi politici per la propaganda contro i
loro avversari, ed abusata anche da coloro che vogliono diventare
professionisti dell’indignazione al punto da mettere in giro notizie false pur
di provocarla. Ma l’indignazione di cui
parlava Hessel è ben definita nei contenuti di libertà e giustizia: (ecco
alcune frasi di Hessel dal suo opuscolo Indignatevi!)
Auguro a tutti voi, a
ciascuno di voi di avere un vostro motivo di indignazione. È inestimabile.
Quando qualcosa vi indigna, come sono stato indignato dal nazismo, allora si
diventa militante, forte e impegnato. Si ricongiunge il flusso della storia e
la grande corrente della storia deve continuare grazie a ognuno. E questa
corrente va verso più giustizia, più libertà, ma non la libertà incontrollata
della volpe nel pollaio. Questi diritti, di cui la Dichiarazione Universale ha
scritto il programma nel 1948, sono universali. Se si incontra qualcuno che non
ne gode, abbiate pietà di lui, e aiutatelo a conquistarli.
Oggi 2017 è opportuno che riconduciamo
la parola di Stéphane Hessel al suo giusto valore e continuiamo a indignarci
per lottare per la libertà e la giustizia sociale. (f.z.)
Qui sotto Arpa eolica ha voluto riportare
l’intero contenuto del libro di Stéphane Hessel “Indignatevi !” tratto da un
documento già inserito in rete da
http://www.eventiesagre.it/images/upload/image/2011/culturali/emilia_romagna/ottobre/indignatevi.pdf
per contribuire a continuare il
discorso su indignazione e impegno per un mondo che ha tanto bisogno di cura.
Si ringrazia per i commenti che potranno pervenire in coda a questo post.
Indignatevi !
di Stéphane Hessel
93 anni. Più o meno l‟ultima tappa. La fine non è molto
lontana. Quale fortuna poter cogliere l'occasione per ricordare ciò che è
servito come base al mio impegno politico: gli anni della resistenza e il
programma sviluppato 66 anni fa dal Consiglio Nazionale della Resistenza!1
Dobbiamo a Jean Moulin, attraverso questo Consiglio, la riunione di tutti i
componenti della Francia occupata, movimenti, partiti, sindacati, a proclamare
il loro impegno a combattere per la Francia con l'unico leader riconosciuto: il
generale de Gaulle.
Da Londra, dove aveva raggiunto il generale de Gaulle nel
marzo del 1941, ho appreso che questo Consiglio aveva sviluppato un programma,
adottato il 15 marzo 1944, e proposto per la Francia, una volta liberata, un
insieme di principi e valori su cui basare la democrazia moderna del nostro
paese. Di tali valori e principi ne abbiamo bisogno oggi più che mai. E‟ nostra
responsabilità garantire tutti insieme che la nostra società rimanga una
società di cui essere fieri: non questa società di persone prive di documenti,
di espulsioni, di sospetto contro gli immigrati, non questa società che rimette
in questione le pensioni, la sicurezza sociale acquisita, non questa società
dove i media sono nelle mani dei ricchi, tutte cose che ci saremmo rifiutati di
avallare, se fossimo i veri eredi del Consiglio Nazionale della Resistenza.
Dal 1945, dopo la
terribile tragedia, una resurrezione ambiziosa impegnano le forze presenti nel
Consiglio della Resistenza. Ricordiamola, fu creata allora la Previdenza
Sociale, così come la Resistenza voleva, come previsto nel suo programma: “Un
piano completo per la sicurezza sociale, per assicurare a tutti i cittadini i
mezzi di sostentamento in tutti i casi dove essi non fossero in grado di
ottenerli attraverso il lavoro "," Una pensione che permetta ai
lavoratori anziani di finire i loro giorni con dignità." Le fonti di
energia, elettricità e gas, il carbone, le grandi banche furono nazionalizzate.
Questo preconizzava il programma: "il ritorno alla nazione dei mezzi di
produzione monopolizzati, frutto del lavoro comune, delle fonti di energia,
della ricchezza del sottosuolo, delle compagnie assicurative e delle grandi
banche "; “I'instaurazione di una vera democrazia economica e sociale che
implichi l‟espulsione dei grandi feudalismi economici e finanziarie dalla
direzione dell‟economia.” L'interesse pubblico deve prevalere sull‟interesse
privato, l'equa ripartizione della ricchezza creata dal mondo del lavoro deve
primeggiare sul potere del denaro. La Resistenza propose: “ una razionale
organizzazione dell'economia per garantire la subordinazione degli interessi
individuali all‟interesse generale e libera dalla dittatura professionale
instaurata a immagine degli stati fascisti”, e il governo provvisorio della
Repubblica se ne fa carico.
Una vera
democrazia ha bisogno di una stampa libera; la Resistenza lo sa, lo esige,
difendendo “la libertà di stampa, il suo onore e indipendenza dallo Stato, dal
potere del denaro e dalle influenze straniere." Questo dicevano i decreti
per la stampa nel 1944. Tuttavia, proprio questo è a rischio oggi. La
Resistenza chiedeva "l'effettiva possibilità per tutti i bambini francesi
di beneficiare di una istruzione la più sviluppata”, senza discriminazioni; ma
le riforme proposte nel 2008, sono contro questo progetto. Molti giovani
insegnanti, dei quali sostengo l'azione, hanno perfino rifiutato di applicarle
e hanno visto i loro salari decurtati per punizione. Si sono indignati, hanno
"disobbedito", hanno trovato queste riforme troppo lontane dagli
ideali di una scuola repubblicana, troppo al servizio di una società del denaro
e non sviluppando più sufficientemente il pensiero creativo e critico. E tutto
lo zoccolo duro delle conquiste sociali della Resistenza che ora viene rimesso
in causa .
Il motivo della resistenza, è l'indignazione.
Osano dirci che lo Stato non può più sostenere i costi di
questi diritti di cittadinanza. Ma come può mancare oggi il denaro per
mantenere ed estendere queste conquiste, mentre la produzione di ricchezza è
aumentata enormemente dalla Liberazione, periodo in cui 1'Europa era rovinata?
Se non perché il potere del denaro, così combattuto dalla Resistenza, non è mai
stata così grande, insolente, egoista, con i propri servi proprio nelle più
alte sfere dello Stato. Le banche, ormai privatizzate, si preoccupano solo dei
loro dividendi e degli altissimi stipendi dei loro dirigenti, non di interesse
generale. Il divario tra i più poveri ei più ricchi non è mai stato così
grande, e la corsa al denaro, alla competizione, mai così incoraggiate.
Il motivo di base
della resistenza è stata l‟indignazione. Noi veterani dei movimenti di
resistenza e delle forze combattenti della Francia Libera, noi chiamiamo le
giovani generazioni a far vivere, a trasmettere, l‟eredità della Resistenza e
dei suoi ideali. Noi diciamo prendete il testimone, indignatevi! I responsabili
politici, economici, intellettuali e l'insieme della società non devono
dimettersi né lasciarsi influenzare dalla dittatura internazionale attuale dei
mercati finanziari, che minaccia la pace e la democrazia. Auguro a tutti voi, a
ciascuno di voi di avere un vostro motivo di indignazione. È inestimabile.
Quando qualcosa vi indigna, come sono stato indignato dal nazismo, allora si
diventa militante, forte e impegnato. Si ricongiunge il flusso della storia e
la grande corrente della storia deve continuare grazie a ognuno. E questa
corrente va verso più giustizia, più libertà, ma non la libertà incontrollata
della volpe nel pollaio. Questi diritti, di cui la Dichiarazione Universale ha
scritto il programma nel 1948, sono universali. Se si incontra qualcuno che non
ne gode, abbiate pietà di lui, e aiutatelo a conquistarli.
Due vedute della storia
Quando cerco di capire cosa ha causato il fascismo, e
cosa abbia fatto da essere stati invasi da lui e da Vichy, mi dico che i
ricchi, con il loro egoismo, hanno avuto una terribile paura della rivoluzione
bolscevica. Si sono lasciati guidare dalle loro paure. Ma se, oggi come allora,
una minoranza attiva si erge, sarà sufficiente, avremo il lievito affinché la
pasta cresca. Certo, l'esperienza di un vecchio come me, nato nel 1917, si
differenzia dalla esperienza dei giovani di oggi. Chiedo spesso ai docenti di
liceo la possibilità di parlare ai loro studenti, e io dico loro: non avete
ovviamente le stesse ragioni per impegnarvi.
Per noi,
resistere, significava non accettare l‟occupazione tedesca, la sconfitta. Era
relativamente semplice. Semplice come quello che seguì, la decolonizzazione.
Poi la guerra d‟Algeria. L'Algeria doveva diventare indipendente, era ovvio.
Quanto a Stalin, abbiamo applaudito tutti la vittoria dell‟Armata Rossa contro
i nazisti nel 1943.
Ma appena abbiamo
saputo dei grandi processi stalinisti del 1935, e anche se bisognava mantenere
un orecchio aperto per controbilanciare il comunismo al capitalismo americano,
la necessità di opporsi a questa intollerabile forma di totalitarismo si impose
come ovvia. La mia lunga vita mi ha dato una lunga serie di motivi per essere
indignato.
Queste ragioni
sono nate meno da emozione che da un desiderio di impegno. Il giovane liceale,
che ero, fu molto influenzato da Sartre, un compagno maggiore di classe. La
Nausea, Il Muro, non L’essere e il nulla, sono stati molto importanti nella
formazione del mio pensiero. Sartre ci ha insegnato a dire: "Tu sei
responsabile in quanto individuo." Era un messaggio libertario. La
responsabilità dell‟uomo che non si può scaricare né a un potere né a un dio.
Al contrario, dobbiamo impegnarci nella responsabilità come essere umano.
Quando entrai nella École Normale, in via d'Ulm, a Parigi, nel 1939, vi entrai
come discepolo del filosofo Hegel, e seguivo i seminari di Maurice
Merleau-Ponty. Il suo insegnamento esplorava l‟esperienza concreta, quella del
corpo e delle sue relazioni con il senso, gran singolare di fronte al plurale
dei sensi. Ma il mio ottimismo naturale, che vuole che tutto ciò che vorrebbe
sia possibile, mi portava piuttosto verso Hegel. Il pensiero hegeliano
interpreta la lunga storia dell'umanità come portatrice di un significato: la
libertà dell‟uomo che progredisce passo dopo passo. La storia è fatta da
scontri successivi, è la presa in considerazione delle sfide. La storia delle
società progredisce, e infine, avendo l'uomo raggiunto la sua piena libertà,
abbiamo lo Stato democratico nella sua forma ideale.
Esiste comunque
una diversa concezione della storia. I progressi compiuti dalla libertà, la
competizione, la corsa al “sempre di più”, può essere vissuto come un uragano
distruttivo. Così la rappresenta un amico di mio padre, l'uomo che ha condiviso
con lui il compito di tradurre in tedesco “Alla ricerca del tempo perduto” di
Marcel Proust. E‟il filosofo tedesco Walter Benjamin. Aveva concluso un
messaggio pessimistico da un quadro del pittore svizzero Paul Klee, “Angelus Novus”,
dove la figura dell'angelo apre le braccia come per contenere e respingere una
tempesta che si identifica con il progresso. Per Benjamin, morto suicida nel
settembre 1940 per sfuggire al nazismo, il senso della storia, era il percorso
irresistibile di disastro in disastro.
L’indifferenza:
il peggior atteggiamento
È vero, le ragioni di indignazione possono sembrare meno
evidenti oggi, con un mondo troppo complesso. Chi controlla, chi decide? Non è
sempre facile distinguere tra tutte le correnti che ci governano. Non abbiamo
più a che fare con una piccola élite di cui capiamo chiaramente le azioni. E‟
un mondo grande, e capiamo quanto sia interdipendente.
Viviamo in una
interconnettività come mai ne sia esistita una. Ma in questo mondo, ci sono
cose insopportabili. Ma per vederle dobbiamo guardare bene, cercare. Dico ai
giovani: cercate un po‟, troverete. L'atteggiamento peggiore è l'indifferenza,
dire “ non posso farci nulla, mi arrangio." Dicendo questo, si perde una
componente chiave, quella che ci rende umani. Una componente indispensabile: la
facoltà di indignazione e l'impegno che ne consegue.
Possiamo già individuare due grandi sfide:
1. L'enorme
divario che esiste tra i molto poveri e i molto ricchi e che continua a
crescere. Questa è una novità del ventesimo e ventunesimo secolo. I più poveri
nel mondo di oggi guadagnano meno di due dollari al giorno. Non possiamo
permettere che il divario si ampli ulteriormente. Questo fatto da solo dovrebbe
suscitare un impegno.
2. I diritti dell‟uomo e lo stato del pianeta. Ho avuto
la possibilità dopo la Liberazione di essere coinvolto nella stesura della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani adottata dalle Nazioni Unite il 10
dicembre 1948, a Parigi, presso il Palais de Chaillot. Come capo di gabinetto di
Henri Laugier, Segretario Generale Aggiunto del‟ONU, e Segretario della
Commissione dei diritti dell'uomo nella quale, con gli altri, ho partecipato
alla stesura di questa dichiarazione. Non posso dimenticare, nella sua
elaborazione, il ruolo di René Cassin, commissario nazionale alla Giustizia e
all‟Educazione del governo della Francia Libera a Londra nel 1941, che è stato
premio Nobel per la Pace nel 1968, né Pierre Mendes France nella sede del
Consiglio economico e sociale al quale sottoponevamo i testi elaborati prima di essere esaminati dalla
Terza commissione dell‟assemblea generale, incaricata degli aspetti sociali,
umanitari e culturali del Comitato.
Contava all‟epoca
cinquantaquattro Stati membri delle Nazioni Unite, e assumevo la segreteria.
Dobbiamo a Rene Cassin il termine "universale" dei diritti e non
"internazionale" come proponevano i nostri amici anglosassoni. Perché
lì era la scommessa alla fine della seconda guerra mondiale: emanciparsi dalle
minacce che il totalitarismo aveva fatto pesare sull‟umanità. Per liberarsene
bisogna che gli Stati membri dell‟ONU si impegnino a rispettare tali diritti
universali. Si tratta di un modo per contrastare la piena sovranità che uno
Stato può far valere quando si lascia andare a crimini contro l'umanità sul suo
suolo. E‟ stato il caso di Hitler, che pensava di essere padrone a casa sua e
autorizzato a provocare un genocidio. La Dichiarazione universale deve molto
alla repulsione universale contro il nazismo, il fascismo, il totalitarismo e
anche, con la nostra presenza, allo spirito della Resistenza. Sentivo che
bisognava agire in fretta, non farsi ingannare dall‟ipocrisia che c‟era
nell‟adesione proclamata dai vincitori a questi valori che non tutti avevano
intenzione di promuovere con lealtà, ma che tentavamo di imporre .
Non posso
resistere alla tentazione di citare il paragrafo 15 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo: “Ogni individuo ha diritto ad una
cittadinanza", capitolo 22:" Ogni individuo, in quanto membro della
società, ha diritto alla sicurezza sociale nonché alla realizzazione dei
diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al
libero sviluppo della sua personalità, grazie allo sforzo di cooperazione
nazionale e internazionale, tenendo conto dell'organizzazione e delle risorse
di ciascun paese.” E se questa affermazione ha una portata dichiarativa, non
giuridica, essa ha comunque svolto un ruolo potente fin dal 1948; abbiamo visto
appropriarsene i popoli colonizzati nella loro lotta per l'indipendenza; ha
influenzato le loro menti nella lotta per la libertà.
Noto con piacere
che negli ultimi decenni sono aumentate le organizzazioni non governative, i
movimenti sociali, come Attac (Associazione per la Tassazione delle Transazioni
finanziarie), FIDH (Federazione Internazionale dei Diritti dell'Uomo), Amnesty
.. . che agiscono bene e sono efficienti. E' chiaro che per essere efficaci
oggi, dobbiamo agire in rete, utilizzare tutti i moderni mezzi di
comunicazione.
Ai giovani dico:
guardatevi intorno, troverete tutte le tematiche che giustificano la vostra
indignazione, il trattamento fatto agli immigrati, ai privi di documenti, ai
Rom. Troverete situazioni concrete che vi porteranno ad una forte azione di
cittadinanza. Cercate e troverete!
La
mia indignazione per la Palestina
Oggi, la mia
indignazione principale riguarda la Palestina, Gaza, in Cisgiordania. Questo
conflitto è la fonte stessa di indignazione. Bisogna assolutamente leggere il
rapporto di Richard Goldstone del settembre 2009 a Gaza, in cui il giudice
sudafricano, ebreo, che si professa anche sionista, accusa l‟esercito
israeliano di aver commesso “atti equivalenti a crimini di guerra e a volte, in
certe circostanze, a crimini contro l'umanità” durante la sua operazione
"Piombo fuso” durata tre settimane. Sono tornato a Gaza io stesso nel
2009, dove son potuto entrare con mia moglie grazie ai nostri passaporti
diplomatici, per verificare di prima mano ciò che diceva il rapporto. Le
persone che ci accompagnavano non sono state autorizzate ad entrare nella
Striscia di Gaza. Né lì né in Cisgiordania. Abbiamo anche visitato i campi
profughi palestinesi nati nel 1948 dalla agenzia delle Nazioni Unite, UNRWA,
dove più di tre milioni di palestinesi, cacciati dalle loro terre da Israele,
sono in attesa di un ritorno sempre più problematico. Quanto a Gaza, è una
prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di palestinesi. Una prigione
dove si organizzano per sopravvivere.
Più ancora delle
distruzioni materiali, come l‟ospedale della Mezzaluna Rossa da parte di
"Piombo fuso”, è il comportamento degli abitanti di Gaza, il loro
patriottismo, il loro amore delle spiagge, la loro preoccupazione costante per
il benessere dei loro figli, numerosi e ridenti, che assillano la nostra
memoria. Siamo stati impressionati dalla loro maniera ingegnosa per far fronte
a tutte le carenze che sono loro imposte. Li abbiamo visti fare mattoni senza
cemento per ricostruire le migliaia di case distrutte dai carri armati. Ci
hanno confermato che vi sono stati 1.400 morti - donne, bambini, vecchi nel
campo palestinese - durante l'operazione "Piombo fuso” condotta
dall'esercito israeliano, contro solo una cinquantina di feriti.
Condivido le
conclusioni del giudice sudafricano. Che gli ebrei possano perpetrare loro
stessi crimini di guerra è insopportabile. Ahimè, la storia fornisce pochi
esempi di popoli che imparano lezioni dalla propria storia.
So che Hamas che
aveva vinto le ultime elezioni politiche non poteva evitare che razzi fossero
sparate sulle città israeliane, in risposta alla situazione di isolamento e di
blocco, nel quale si trovano gli abitanti di Gaza. Penso, ovviamente, che il
terrorismo sia inaccettabile, ma dobbiamo riconoscere che quando si è occupati
con mezzi militari infinitamente superiore alla propria, la reazione popolare
non può essere sola non violenta.
Serve a Hamas
lanciare missili sulla città di Sderot? La risposta è no. Non serve alla sua
causa, ma siamo in grado di spiegare questo gesto con l'esasperazione degli
abitanti di Gaza. Nel concetto di esasperazione bisogna capire la violenza come
una spiacevole conclusione in una situazione inaccettabile per le persone che
subiscono. Quindi possiamo dire che il terrorismo è una forma di esasperazione.
E che l‟esasperazione è un termine negativo. Non si dovrebbe essere esa-sperati
ma sperati. L'esasperazione è una negazione della speranza. E 'comprensibile,
direi quasi naturale, non per questo accettabile. Perché non permette di
ottenere i risultati che potrebbe eventualmente produrre la speranza.
La
non-violenza, il percorso che dobbiamo imparare a seguire.
Sono convinto che l'avvenire appartiene alla non
violenza, alla conciliazione delle diverse culture. Questa è la tappa che
l'umanità dovrà superare nella sua fase successiva. E, sono d'accordo con
Sartre, non possiamo scusare i terroristi che lanciano bombe, li possiamo solo
comprendere. Sartre ha scritto nel 1947: "Riconosco che la violenza, in
qualsiasi forma essa si manifesti, è un fallimento. Ma è un fallimento
inevitabile, perché viviamo in un mondo di violenza. E se è vero che il ricorso
alla violenza rimane la violenza che rischia di perpetuarsi, è anche vero che è
l‟unico modo per fermarla ." Per cui vorrei aggiungere che la non-violenza
è un modo più sicuro per fermarla. Non possiamo appoggiare i terroristi come
Sartre ha fatto in nome di questo principio, durante la guerra in Algeria, o
per l‟attentato ai giochi di Monaco nel 1972, ai danni di atleti israeliani.
Non è efficace e Sartre si interrogherà poi
alla fine della sua vita, sul significato di terrorismo e a mettere in
discussione la sua ragion d'essere. Dire "la violenza non è efficace"
è più importante che non se si debba o no condannare coloro che vi si dedicano.
Il terrorismo non è efficace. Il concetto di efficacia richiede una speranza non
violenta. Se c'è una speranza violenta è nella poesia di Guillaume Apollinaire:
"Quant‟è violenta la speranza"; non in politica. Sartre, nel marzo
1980, a tre settimane dalla sua morte, ha dichiarato: "Bisogna cercare di
spiegare perché il mondo di oggi, che è orribile, è solo un momento nella lunga
evoluzione storica, che la speranza sia sempre stata una delle forze dominanti
delle rivoluzioni e delle insurrezioni, e come mai sento ancora la speranza
come mia concezione dell‟avvenire5…” Bisogna capire che la violenza volta le
spalle alla speranza. Bisogna preferire la speranza, la speranza della
non-violenza. E‟ il cammino che dobbiamo imparare a seguire. Tanto da parte
degli oppressi che degli oppressori bisogna arrivare a una trattativa per far
scomparire l'oppressione: è ciò che permetterà di non avere più violenze
terroristiche. Per questo non si deve permettere l‟accumularsi di troppo odio.
Il messaggio di un Mandela, un Martin Luther
King, trova la sua pertinenza in un mondo che ha superato il confronto di
ideologie e il totalitarismo conquistatore. E' un messaggio di speranza nella
capacità delle società moderne a superare i conflitti, con la comprensione
reciproca e con la pazienza vigile. Per raggiungere questo obiettivo, bisogna
basarsi sul diritto, la cui la violazione, a prescindere dall'autore, deve
provocare la nostra indignazione. Non bisogna transigere su questi diritti.
Per
una rivolta pacifica
Ho notato - e non sono il solo - la reazione del governo
israeliano contro il fatto che ogni venerdì i cittadini di Bil'idi vanno, senza
lanciare pietre, senza usare la forza, contro il muro per protesta. Le autorità
israeliane hanno chiamato questa marcia " terrorismo non violento”. Non
male .. . Bisogna proprio essere israeliani per qualificare di terrorismo la
non violenza.
Si deve
soprattutto essere imbarazzati dall‟efficacia della nonviolenza, perché essa
suscita il supporto, la comprensione, l'appoggio di tutti coloro che in tutto
il mondo sono i nemici dell‟oppressione. Il pensiero produttivista, guidato
dall'Occidente, ha trascinato il mondo in una crisi dalla quale bisogna uscire
con una rottura radicale contro la corsa precipitosa al "sempre di
più" nel campo finanziario, ma anche nella scienza e nella tecnologia . E‟
giunto il momento che la preoccupazione per l'etica, la giustizia, l‟equilibrio
sostenibile diventi prevalente. Per i rischi gravi che ci minacciano. Essi
possono mettere un termine all'avventura umana su un pianeta reso inabitabile
per l'uomo. Ma è anche vero che sono stati compiuti notevoli progressi dal
1948: la decolonizzazione, la fine dell'apartheid, la distruzione dell'impero
sovietico, la caduta del muro di Berlino. Per contro, il primo decennio del
ventunesimo secolo è stato un periodo di ritorno indietro. Questo declino, lo
spiego in parte con la presidenza americana di George Bush, l‟11 settembre, e
le conseguenze disastrose che ne hanno tratto gli Stati Uniti, come
l'intervento militare in Iraq. Abbiamo avuto questa crisi economica, ma non per
questo abbiamo avviato una nuova politica di sviluppo. Allo stesso modo, il
vertice di Copenaghen contro il riscaldamento globale non è riuscito a iniziare
una vera politica per la conservazione del pianeta. Siamo ad una soglia tra gli
orrori del primo decennio e le opportunità dei decenni a venire. Ma bisogna sperare, sempre
bisogna sperare. Il decennio precedente, quello degli anni „90, era stato di
grande progresso. L'ONU è stato in grado di convocare conferenze come quella
sull'ambiente di Rio del 1992; quella sulle donne a Pechino nel 1995; nel
settembre 2000, su iniziativa del segretario generale dell'ONU Kofi Annan, i
191 paesi membri hanno adottato la dichiarazione sugli "Otto obiettivi del
millennio per lo sviluppo", con la quale si impegnano a dimezzare la povertà
nel mondo entro il 2015. Il mio grande rammarico è che né Obama né l'Unione
europea si siano finora manifestati con quello che dovrebbe essere il loro
contributo ad una fase costruttiva, basata su valori fondamentali.
Come concludere
questo appello a indignarsi? Ricordando inoltre che, nell'occasione del
sessantesimo anniversario del Programma del Consiglio Nazionale della
Resistenza, abbiamo detto, l‟8 marzo 2004, noi veterani del movimento della
Resistenza e delle forze combattenti della Francia Libera (1940- 1945), che
certamente "Il nazismo è stato sconfitto, grazie al sacrificio dei nostri
fratelli e sorelle della Resistenza e delle Nazioni Unite contro la barbarie
fascista. Ma questa minaccia non è totalmente scomparsa e la nostra rabbia
contro l‟ingiustizia resta ancora intatta”.
No, questa
minaccia non è scomparsa completamente. Per questo noi facciamo sempre appello
a "una vera e propria insurrezione contro i mezzi di comunicazione di
massa che propongono come orizzonte ai nostri giovani solo un obiettivo di
consumo di massa, il disprezzo per la cultura e per i più deboli, I'amnésie
diffusa della competitività sfrenata di tutti contro tutti. " A quelli che
costruiranno il ventunesimo secolo, diciamo con affetto: "CREARE E’ RESISTERE. RESISTERE
E’ CREARE".
Note al testo reperibili su: http://www.eventiesagre.it/images/upload/image/2011/culturali/emilia_romagna/ottobre/indignatevi.pdf
post inserito il 12/09/2017
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