Giuseppe Deiana
Dissento
dunque sono.
Essere
obiettori e dissenzienti nella società plurale
Mimesis Ed. 2019
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Recensione di Angelo
Gaccione
Il libro di Giuseppe Deiana Dissento dunque sono, riflette su una serie di problemi che hanno riguardato (e riguardano) la società italiana dall’immediato dopoguerra - e per tutto il Novecento -, fino ai giorni nostri. Sono urgenze che hanno costretto istituzioni e opinione pubblica ad interrogarsi, e per molti aspetti restano conti aperti, nodi irrisolti.
Il tema di fondo, come si evince chiaramente dal titolo, è più latamente il dissenso, più miratamente l’obiezione. Dissenso e obiezione che dalla questione militare al consumo di droghe; dall’aborto al testamento biologico; dalle vaccinazioni alla sperimentazione farmacologica sugli animali; dal divorzio ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, e via enumerando, hanno aperto un conflitto giuridico, etico-morale, culturale, politico, religioso, normativo, istituzionale, fino a determinare dei veri e propri cortocircuiti sociali. Deiana disegna anche gli svolgimenti storici dei temi presi in esame, dà voce ai protagonisti, alle forze in campo e a quanti vi hanno apportato il loro contributo sul piano teorico. Tantissime sono infatti le citazioni di autori e libri come si può vedere nella ricca sezione bibliografica.Personalmente vorrei affrontare il libro dall’impalcatura che lo sorregge tutto: l’atto della disubbidienza, l’atto dell’obiezione, perché le persone “che obiettano, dissentono e disubbidiscono per passione civile, coniugando pensiero critico e azione trasformatrice”, sono le sole in grado di aprire una via al progresso più universalmente inteso, e dare nutrimento ad una democrazia che è divenuta cachettica. Sono queste persone a “porre rimedio alla disumanizzazione della società”, come annota giustamente Deiana. Il pensiero critico è già di per sé disubbidienza e contiene i germi dell’azione trasformatrice. Per obiettare è necessario aver maturato un pensiero critico; convinzioni profonde radicate in una coscienza vigile; consapevolezza di entrare in collisione, di pagare un prezzo commisurato al valore delle proprie idee e della propria coscienza morale. In una parola: esporsi, ma anche scegliere da che parte situarsi rispetto ad un comando illogico o criminale, ad una pratica disumana, ad una prospettiva aberrante. Scrive Deiana: “Al fondo della cultura dell’obiezione di coscienza c’è una scelta etico-esistenziale, nel senso che obiettare significa scegliere da che parte stare di fronte al male; dalla parte dell’io individualistico, oppure della responsabilità verso la collettività; dalla parte del potere oppure di quella dei cittadini”. Solo chi obietta pone un argine al male. Solo chi disubbidisce, dissente, oppone il suo no, imprime un corso diverso alla storia del mondo. È da costoro che germogliano i giusti che divengono esempio per il resto dell’umanità; e sono le loro scelte estreme, spesso pagate con la vita, che fanno grandi le nazioni.
Ho sempre provato un’ammirazione smisurata per uomini e donne di questa levatura. Ne provo ammirazione perché agiscono sapendo di pagare di persona, assumendosene la responsabilità, offrendo il loro corpo in ostaggio, la propria libertà, senza coinvolgere altri o procurando del male ad altri. Agiscono quando c’è bisogno di agire, senza aspettare; senza calcolare opportunisticamente l’immaturità dei tempi, del ciclo della storia, di essere soli ed isolati. In fondo, il progresso scientifico - e del pensiero -, ha dato il meglio di sé quando delle figure esemplari hanno disubbidito, hanno obiettato a verità che la ragione e la coscienza non potevano accettare. Deiana fa giustamente i nomi di Giordano Bruno, Lutero, Gandhi, Mandela, Don Lorenzo Milani; tutte figure dalla personalità straordinaria, che hanno obiettato e pagato in epoche e tempi diversi. Hanno obiettato anche molti altri uomini a noi più contemporanei e che fanno ora parte della storia del dissenso del nostro Paese. Dal teorico nonviolento Aldo Capitini al suo giovane seguace Pietro Pinna; da Mario Gozzini a padre Ernesto Balducci, a Danilo Dolci a padre David Maria Turoldo, a decine e decine di testimoni di Geova, di radicali, di anarchici, di militanti della sinistra socialista, quasi tutti processati, vessati, emarginati perché si sono opposti al militarismo e alla guerra in tempo di pace, e i cui nomi dimenticati dai più, sono però presenti nelle cronache dei giornali.
Ho detto che ho una particolare ammirazione per l’obiezione individuale perché obbliga ad agire qui e ora, e può essere attuata senza coinvolgere o far del male agli altri. In questo ho molta più simpatia per il pensiero libertario che per il marxismo: il primo dà maggior peso e valore alla responsabilità individuale, all’agire personale. E in questo orizzonte si colloca lo stesso personalismo di Emmanuel Mounier, che va rivalutato. Una frase come questa di Bakunin è molto più fertile di tante prediche teoriche attendiste che spostano l’agire alle calende greche: “Voglio continuare ad essere quest’uomo impossibile, fino a quando non cambieranno le persone attualmente possibili”. E in una democrazia dove da tempo il diritto di voto è diventato un voto senza diritti, come ho più volte scritto, il dissenso, l’obiezione, l’opposizione, sono rimasti gli unici antidoti alla completa deriva. A maggior ragione lo sono nei regimi oppressivi, dittatoriali, teocratici, e nel sistema del capitalismo globale che ha fuso tutte le bandiere. La sola speranza è che queste pratiche e questi princìpi, diventino di massa e universali, e non solamente dell’uomo impossibile bakuniano. Prima che il disastro ambientale e quello nucleare, azzerino il tempo.
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inserito il 22/10/20
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