Grato m’è il sonno
9°
puntata
romanzo
di Maria Luisa Ferrantelli
Pubblicato
nel 1989 –
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
Per richiedere la copia cartacea
del libro QUI
Arpa
eolica ringrazia l’autrice per il permesso di pubblicazione in 10 puntate
Quando
giunsero dove la via svoltava in una larga curva, Santos riconobbe una vallata
che ormai gli era divenuta molto nota e cara ed il suo cuore ebbe un balzo:
quante volte i suoi passi lo avevano condotto lì, per una strada di cui
conosceva ad uno ad uno fino gli alberi e le pietre, davanti alla porta di lei!
“Che nome
ha questo luogo?” chiese, mentre il suo sguardo frugava inquieto fra i tetti
che la lontananza accatastava, per distinguerne uno.
“Val di Sogno” rispose il vecchio.
Camminarono a lungo in silenzio e Santos non
distoglieva mai gli occhi da un punto in lontananza, mentre il cuore gli
martellava.
“E ci
fermeremo molto?” chiese ad un tratto.
“Per
quanto mi riguarda, non penso, qui ho molti amici. Ma come credi”.
Dopo un
altro lungo silenzio, il giovane disse sottovoce e come confidenzialmente:
“E’ qui
che abita Dafne”.
“Lo avevo
capito” lo guardò il vecchio.
I due
rimasero in quel luogo alcuni giorni (veramente Cosma, per compiacere il
giovane amico e senza darglielo ad intendere, aveva prolungato quel soggiorno
oltre il necessario) e per tutto il periodo Santos si fece vedere assai poco e
trascurava anche di proseguire le lezioni, in cui aveva promesso al vecchio di
accostarlo alla manipolazione della creta. Tanto che cortesemente un giorno
Cosma glielo fece notare.
“Hai
ragione, amico, cerca di capirmi: la verità è che io non partirei mai più da
questo luogo e finirei i miei giorni contemplando quella creatura meravigliosa
che Orfeo non poteva che eleggere per rappresentare la perfezione femminile”.
“Se
contemplare è il tuo scopo” osservò Cosma “perché allora non ti basta
contemplare la sua statua. Io credo che quella sia anche più bella”.
“Non
deridermi, Cosma: è dall’altezza dell’arte che io sono stato guidato a quella
donna, ad apprezzarne ed amarne l’eccezionalità. Il mistero della sua
femminilità, quella spiritualità irraggiungibile e purissima che Orfeo ha
saputo ritrarre ed immortalare, tutto questo io amo e ritrovo in quella donna e
in lei soltanto”.
“Ed è
questo che ami?”
Egli
annuì.
“Io posso
vederla come la vide Orfeo: egli la ritrasse, forse l’amò anche; io voglio che
sia mia, e se pure non posso materialmente averla, voglio che lei sappia, senta
che mi appartiene, che il mio cuore e il suo sono legati”.
Cosma lo
guardò pensoso.
“Mi
dispiace che tu soffra, pure sarebbe tanto facile guarire, basterebbe che tu
vedessi come tutto ciò dipende da te”.
“Cosa
intendi dire?”
“Perché,
ad esempio, non dici più semplicemente a te stesso che sei innamorato proprio
come qualunque uomo lo è di qualunque donna?”
“No,
Cosma!” esclamò Santos con impeto. “Allora non hai compreso mai nulla di me!”
“Perché
non dici piuttosto a te stesso” continuò tranquillamente il vecchio “Che dal
lungo contemplarla, di Dafne ormai ti hanno conquistato tutta quella dolcezza e
quel calore di cui solo una creatura femminile può circondare un uomo, che
ormai l’intesa eccezionale e superiore è troppo e troppo poco; ti affascinano i
suoi abbracci e sorrisi per il marito, i teneri baci ai figli…Sei un assetato
che ha sdegnato il bicchiere d’acqua per il fiume ed ora vi annega senza poter
bere. E di questo solo soffri, della tua privazione, della vita che ti sfugge
dalle mani, ti tormenti per la tua resistenza ad ammettere che ciò che ti
manca, che manca alla tua terrestre completezza è una donna…”
“Ora
basta!” proruppe Santos con vera collera. “Non è certo una donna quello che mi
può mancare!”
“Oh,
questo lo so bene!” gli rispose calmi il vecchio e proseguì, mentre indicava
alcune statuine di Santos rimaste interrotte. “Come non è certo la creta che ti
manca per completare quelle”.
Santos
chinò il capo un po’ turbato, perché questa volta si era sentito toccato nel
vivo e rimase così raccolto a pensare. Solo dopo molto tempo mormorò, quasi
parlasse a sé:
“E’ vero:
ciò che è più comune ed abituale, che per tutti è divenuto addirittura un punto
di partenza, è proprio ciò di cui più si è perso quel significato e quella
profondità iniziali che lo resero appunto tale; e così diviene ciò che, senza
avvedersene, meno si comprende. L’arte può diventare allora una via di
conoscenza per riaccostare la vita e tornarla a guardare in tutto il suo
valore”.
Uscì dalla
sua meditazione e guardò il vecchio:
“Cosma,
aiutami a trovare Orfeo”.
“Sto
facendo il possibile. Ma cosa vorresti da lui?”
Santos,
più che rispondergli, sembrava pensare ad alta voce.
“Una
contadina viene resa una dea, un genio si rende un contadino” mormorò. “Egli
deve aver raggiunto quell’equilibrio che in me appare inconciliabile. Lo
troveremo mai?”
“Egli non
si trova qui” rispose Cosma.
“Allora è
giunto il momento di partire?”
Cosma
annuì e lo guardò con l’aria di voler dire mi
dispiace.
Nell’allontanarsi da quel luogo, Santos fu
colto da una incontenibile malinconia e per tutta la strada non fece parola.
“Conosco
un fiume qui che ha le rive molto argillose. Potremo raccogliere quanta creta
vogliamo” disse Cosma spezzando il silenzio.
Il giovane
lo guardò un attimo e si sentì improvvisamente stanco e lontanissimo da lui.
“A volte
mi sembri quasi un ragazzo” fece benevolmente. “Invidio il tuo entusiasmo e la
tua ricerca, alla tua età, di esperienze nuove”.
“Perché?
Credi che dopo una certa età non ci possano essere più esperienze nuove? Le
esperienze, nell’arco della vita, sono sempre nuove, perché il tempo fa nuovo
te. L’infanzia, ad esempio, la conosci perché l’hai vissuta tu. Ma l’infanzia
di tuo figlio ti sembra un’altra, quella di tuo nipote un’altra ancora. Eppure
è sempre la stessa cosa. E’ come salire un ripido pendìo: il tuo paese, quando
eri bambino, era tutto il mondo; poi vedi che ci sono tanti paesi che lo
circondano, poi vedi tutta la vallata, poi tanti gioghi di monti e tante valli.
Eppure il tuo paese è sempre lì, sempre lo stesso. Guai continuare a vedere con
gli occhi del ricordo! Bisogna tornare a guardare, guardare continuamente.
Altrimenti che cosa significherebbe invecchiare, se non far sì che il mondo si
riveli sempre più ai nostri occhi?”
“Sei molto
saggio, Cosma, ed io da te ho molte cose da apprendere”.
“Ed
altrettante cose hai da darmi tu, perché io possa diventare saggio”.
Giunsero
al fiume ed il giovane si inginocchiò a terra a raccogliere la creta.
“Osservami” fece. Con mano esperta prese a
modellarla e disse al vecchio di fare altrettanto.
“Ora devi
solo prendere dimestichezza con la materia. Prova a fare una forma semplice,
una tazza, per esempio, così…La figura umana è troppo difficile, è l’ultima
cosa. Va già bene per essere la prima volta” osservò, guardando il lavoro del vecchio.
“Veramente
non è proprio la prima” disse egli con un sorriso. “Da bambini a volte venivamo
qui e giocavamo a fare piccoli vasi ed altre forme, ora mi rammento”.
“Dove ci
troviamo?”
“Val di
Sole”.
Santos
sapeva di non poter abusare più a lungo del tempo del vecchio, perché l’estate
si avvicinava ed egli, fin dall’inizio del viaggio, gli aveva detto che per il
mese di giugno voleva essere di nuovo a casa per il raccolto del suo
campicello.
“Ci
fermeremo qui un paio di giorni, dovrebbe bastarmi, anche in questi luoghi ho
molti amici”.
Andarono
quindi a fissare una stanza per la notte.
Ma Santos
non trovava pace: le parole del vecchio lo avevano messo in grande confusione e
gli martellavano dentro. Cosa provava, cosa voleva veramente da quella donna?
Ed ella, in che rapporto era con lui? La verità forse avrebbe anche potuto
farlo soffrire maggiormente, far crollare il mitico amore a cui si era
aggrappato, ma doveva assolutamente capire il significato di quella relazione.
E così, di buon mattino poiché la strada era piuttosto lunga, mentre Cosma non
si era neppure levato, ancora una volta si mise in cammino diretto alla porta
di lei.
La
incontrò proprio sulla via di casa.
“Dafne!”
la chiamò. Ella si volse e si fermò. “Ascolta, vorrei parlarti. Tu mi hai
spesso visto qui, da queste parti, cercarti…”
“Sì”.
“Forse ti
sarai chiesta chi io sia, come viva e cosa faccia”.
“Veramente
no” rispose ella, quasi meravigliata.
“E’ tempo
che io ti parli di me”.
“Se ti fa
piacere”.
“Io sono
pittore e scultore”.
La donna
sembrò fare un piccolo cenno, come di cortesia, col capo.
“Non
immagini quanto vorrei poterti ritrarre!”
“E’ per
questo dunque che mi cerchi?”
“Veramente
no…” rispose il giovane, colto di sorpresa da questa osservazione. “Del resto
questo è già stato fatto molto meglio di quanto io non potrei”.
“Davvero?”
fece la donna come sorpresa.
“Sì. Ed io
non so essere un così grande artista. In fondo non sono che un maestro d’arte”.
“Allora
vuoi insegnarmi qualcosa?”
“No”
sorrise Santos, sempre più confuso dalla essenzialità di quelle domande. “Io
sono qui perché sono un uomo solo e contemplarti mi riempie”.
Dafne
sollevò leggermente le sopracciglia.
“Poi?”
chiese.
“Sono un
uomo travagliato e tu mi dai consolazione”.
“Poi?”
chiese ella di nuovo, senza mai distogliere gli occhi dai suoi.
“Sono un
ricercatore della conoscenza”. Tacque. “Ora vorrei sapere cosa senti e cosa
pensi tu di me”.
Ella,
sempre fissandolo, con un sorriso lieve che sembrava venire da una
irraggiungibile vetta di quiete:
“E questo
è l’ultimo vestito che cerchi: il mio giudizio”.
“Come?”
chiese Santos, senza capire.
“Sei un
artista, un maestro, un solitario, un travagliato, un ricercatore…Sempre così,
voi uomini. Di quanti vestiti avete bisogno! Mi chiedi se conosco chi sei e
cosa penso? Per me sei Santos e basta”.
Si volse,
riprese tranquillamente la via e rientrò in casa.
Anche
Santos riprese la sua via a passi lenti, mentre la voce continuava a
sussurrargli nella mente quanti
vestiti…quanti vestiti…!, e gli si tramutava dentro nel sapore del ricordo.
Poi improvvisamente, dal fondo del suo essere si spalancò una porta ed inondò
di luce un suo antico sogno: e rivide la marmorea dea che sorridendo di lui ed
aprendogli la camicia sul
nudo petto, quasi per prepararlo all’amore, gli
diceva: Quanti vestiti che hai!
Si fermò
un attimo ad appoggiarsi a un albero, quasi sopraffatto dal turbamento; quando
scorse in fondo alla via l’ormai nota figura del marito di Dafne che si
avanzava, apprestandosi a rincasare. Una nuova ansia lo colse: Se fosse vero quello che sostiene Cosma, che
io sono semplicemente innamorato di quella donna? E se questo fosse così
evidente? Forse a quest’uomo dovrei delle spiegazioni sulla mia assiduità.
“Buon
giorno, amico!” lo fermò salutandolo.
“Dite” fece
questi cortesemente.
“Spero che
la mia frequenza e la mia amicizia per Dafne non vi abbi in alcun modo
disturbato. Posso spiegarvi…”
“Non so di
cosa stiate parlando” rispose egli, visibilmente stupito.
“Avrete
notato che talvolta mi sono intrattenuto a colloquiare con vostra moglie”.
“Con
Mirella?” chiese questi, sempre più perplesso. “No, vi sbagliate, Mirella non
conosce nessuno qui”.
“Ma vostra
moglie non è Dafne?”
“Ci deve
essere un equivoco, amico. Io non conosco nessuna Dafne. Del resto non vi ho
mai visto”.
Santos
seguì con lo sguardo quell’uomo, finché non lo vide a sua volta rincasare.
Rimasto
solo in mezzo alla strada bianca, sotto il sole quasi estivo ormai accecante,
riprese la via che lo riportava al suo rifugio. Di quando in quando chiudeva
gli occhi e dietro le palpebre, nel suo cranio, gli sembrava permanere una gran
luce, quasi un pezzo di sole gli fosse rimasto conficcato dentro. Senza sapere
come, barcollando, giunse alla sua porta e, mentre un’ultima volta, per cercare
riparo allo sguardo abbacinato, volgeva gli occhi al suolo, vide stampata sul
terreno la sua ombra e trasalì: essa tracciava nitidissima i contorni di Dafne.
Poté appena socchiudere l’uscio, poi la vista gli si oscurò.
Quando si
riebbe, si trovò disteso sul letto ed il vecchio Cosma, in piedi accanto a lui,
stava strizzando un panno.
“Cosa è
successo?” gli chiese.
“Sei
svenuto. Hai la febbre” rispose egli, posandogli la pezza sulla fronte. Dopo un
lunghissimo silenzio, Santos che portava in giro per la stanza gli occhi
smarriti:
“Che cosa
mi succede?” chiese fra sé.
“Niente,
sei affaticato e il sole ti ha dato in testa. Non ti preoccupare, domani starai
meglio” rispose Cosma.
“Non è
questo…” mormorò il giovane. “Lui la
ama…le vive accanto, e non la conosce, non la vede…”
“In fondo
è sempre così” rispose Cosma sottovoce. “Come la notte sta accanto al giorno,
il sonno alla veglia; l’una nutre l’altro e senza l’altro non potrebbe vivere;
entrambi sono tuttavia congiunti in una reciproca inconsapevolezza; e i doni
della notte non li conosce il giorno. Così il maschile mai può veramente
possedere il femminile. Ricordi quel dipinto allucinante che ti fece
incollerire? Avevo tentato di rappresentarvi visivamente l’immagine di un
misterioso connubio…e la tua pericolosa malattia. Ma ora riposati, devi avere
un forte mal di testa”.
Effettivamente il giovane faticava molto ad
ascoltare Cosma e quasi non afferrava il senso della sua parole. Presto si
riaddormentò, per ridestarsi dopo qualche ora.
“Mangia
qualcosa” gli fece Cosma. Egli scosse il capo. Rimase a lungo come immerso nei
pensieri. Poi chiamò il vecchio che gli si accostò prontamente.
“Devo
dirti una cosa, Cosma. Per molto tempo ho avuto delle diffidenze e dei
pregiudizi nei tuoi riguardi…Sentivo insomma
che tu non avresti mai potuto capire il mio
mondo, i miei travagli…”
“Ed ora?”
“Non lo
so. Certo, la tua vita è un’altra. Ma infondo poco importa che tu possa
sentirli o meno. Quello che so è che da te ho avuto ugualmente più di quanto
non abbia mai avuto da nessuno”.
“Questo mi
rende felice. Anche io attraverso te ho avuto molto”.
“Oh,
quelle povere e scarne lezioni sono ben poca cosa!”
“No, non è
stato poco né è stato solo questo. La lezione più bella è stata riapprendere,
da vecchio, la giovinezza, quella giovinezza che mai si può capire mentre la si
vive”.
Santos per
un po’ sprofondò di nuovo nella sua interiorità. Poi ad un tratto chiese:
“Dimmi la
verità, Cosma, troveremo mai Orfeo?” e il suo tono sembrò al vecchio
improvvisamente mite, come un mare placato per il brusco cader del vento.
Egli
sospirò e sedette.
“Ho fatto
tutto il possibile, credimi. Ma non disperare. C’è ancora una valle qui
accanto…E poi, se un giorno mai mi capitasse di rivederlo, non mancherò certo
di fartelo sapere”.
“Lo so”
mormorò Santos. Ma il suo sguardo era triste.
“Dimmi una
cosa” riprese allora Cosma dopo un po’. “Tu dici che ti sono stato di aiuto. Mi
rendo conto di non essere certo Orfeo o qualcuno, ma solo un povero vecchio che
ha imparato dalla vita e forse non potrei rispondere agli interrogativi che
quell’uomo avrebbe potuto scioglierti. Ma tu perché cerchi proprio lui? Non
pensi che potrai incontrare nel mondo tanta gente che potrà ugualmente darti
qualcosa ed anche aiutarti a capire ciò che cerchi?”
“Senza dubbio. Ma l’artista, soprattutto poi uno
come quello, rappresenta per me il massimo della realizzazione dell’uomo”.
Cosma
scosse il capo.
“Non sei
forse un artista anche tu? Pure questo non ti aiuta a rispondere a te stesso.
Forse io non posso capire, ma a volte penso che l’artista, come lo consideri
tu, non esiste”.
“Cosa vuoi
dire?”
“Quello è
un modo di sentire e di esprimersi che è nell’uomo; proprio questo io ho voluto cercare accanto a te. Certo le mie
tele e le mie crete non saranno mai di valore, ma mentre guardavo la natura e
lavoravo, anch’io sentivo da artista, non lo credi?”
“Sì”
rispose Santos, sorridendo con condiscendenza.
“Dunque,
la vera differenza è nel risultato. Ora perché tu cerchi artisti e non uomini?
L’artista tu lo hai già incontrato, è nella sua opera, è attraverso di essa che
parla, lui non potrebbe mai aggiungere null’altro a ciò che ha già detto. Chi
cerchi dunque? Un uomo che ha fatto della sua coscienza un bell’abito sociale
allo scopo di distinguersi? Perché per me essere l’artista significa un po’
questo”.
Un tempo
Santos per un’affermazione del genere si sarebbe incollerito. Ora abbassò il
capo meditabondo e chiese:
“E me,
come mi consideri?”
“Un
giovane che lotta con ardore e fatica per ampliare la sua coscienza e conquistarsi
una dimensione umana e libera; inoltre un giovane dotato della capacità di
saper esprimere tutto ciò, che è poi forse ciò in cui consiste essere artista.
Ma, per quanto mi riguarda, il primo è infinitamente più importante del
secondo, cioè dell’artista, e quest’ultimo non può che dipendere dal primo”.
“E il mio
errare?”
“Che non sei ancora del tutto libero, perché ami
di più il secondo ed a lui vuoi sacrificare il primo”.
“E’ vero”
mormorò Santos. “Voglio catturare il cielo, e perdo la terra, voglio possedere
l’assoluto, e la vita mi sfugge, voglio essere un artista, e non sono un uomo”.
“Riposati
ora, ti brucia la fronte”.
Santos
ubbidì. Quando riaprì gli occhi, si sollevò su un gomito dicendo:
“Credo di
aver capito cosa voleva dire Orfeo, non solo attraverso la sua opera, ma anche
attraverso il suo silenzio, attraverso quel capolavoro volutamente mai firmato,
il suo riimmergersi nell’oceano dell’umanità”.
“Sì?” fece
Cosma, avvicinandosi al suo letto.
“Non
importa chi abbia compreso e detto certe cose all’umanità: l’importante è che
siano state dette e che chi le riceve sappia accoglierle non per fede o
autorità”.
Il vecchio
sorrise.
“Vedi?
Questo è rendersi liberi fino in fondo. Ora che pensi di fare?”
“Penso che
tu abbia ragione. Non cercherò più il grande maestro, ora non ne ho più
bisogno”.
“Allora
possiamo considerare concluso il nostro viaggio?”
“Sì,
Cosma, puoi considerarti libero da ogni impegno”.
“Non prima
che tu sia in grado di rimetterti in piedi”.
“Sai una
cosa?” fece ad un tratto Santos. “Mi accorgo solo ora di quanto mi manche
Cinzia, di quanto mi sia cara e non possa concepire la mia vita senza di lei.
Non puoi immaginare quanto vorrei in questo momento che lei fosse qui accanto a
me”.
“Se è
questo che desideri, in questo almeno penso di poterti essere di aiuto”.
“E come?”
si stupì Santos.
“Conosco
bene alcuni ortolani che ogni giorno girano per queste valli. Non siamo ormai
distanti dal tuo paese. Se mi consegni un biglietto per lei, si può farglieli
arrivare…”
“E credi
che lei verrebbe?”
“Via,
Santos! Davvero ancora ti rifiuti di capire?”
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
post inserito il
26/02/2017
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