Grato m’è il sonno
romanzo
di Maria Luisa Ferrantelli
Pubblicato
nel 1989 –
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
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Arpa
eolica ringrazia l’autrice per il permesso di pubblicazione in 10 puntate
Per tutte
le puntate già inserite Qui
4° puntata
L’estate era
così trascorsa e l’autunno si annunciava ormai nei tramonti sempre più
anticipati che indoravano la campagna. Quella sera ella aveva appoggiato la
scaletta al fico dell’orto per cogliere gli ultimi frutti e di lassù, contro il
cielo arancio ancora assai luminoso mentre già l’ombra violacea scendeva sulla
cose, la sua figura si stagliava quasi nera, quando Santos varcò quel cancello.
“Posso
aiutarvi?”
Ella volse il
capo un attimo senza interrompersi.
“Grazie”
rispose con semplicità “siete gentile, ma ho quasi finito”.
La sua voce
aveva un timbro un po’ basso e vi si fondeva di quando in quando una corda
ovattata. In quel momento si levò una folata di vento che le gonfiò la veste e
le scompigliò i capelli. Santos sentì d’improvviso che il sogno si frapponeva
prepotentemente tra lui e quella donna, come se già tra loro esistesse un
passato, una storia, e questo ne facesse parte come una vita reale: quasi un
sogno nel sogno, eppure ormai una realtà che trasportava la sua mente e le sue
parole, ed egli vi si abbandonò in una specie di stupore.
“Come ti
chiami?”
“Dafne”
rispose come da una lontananza, ed ormai, contro la luce sempre più fioca del
sole che tramontava, il suo sguardo quasi non si vedeva più.
Egli non si
stupì, proprio come avviene quando si sogna; trovò anzi naturale porre a quella
semplice contadina la stessa domanda rivolta al vecchio erudito, per cercare lì
una conferma o una smentita.
“Dafne ha una
storia, la conosci?”
“Se conosco
la mia storia? Certo” rispose, e dal tono gli sembrò che sorridesse.
“Prova a
raccontarmela”.
“Perché vuoi
conoscerla, straniero? Non si addice ad una donna svelarsi e chiacchierare di
sé”.
“Perdonami,
ma capirti può aiutarmi”.
“Aiutare
come?”
“A capire
me”.
“Ma si tratta
naturalmente di una storia d’amore, non chiedere altro”.
Santos so
sentiva confuso, gli sembrava a tratti de non sapere chi avesse davanti e dove
fosse; era forse quel viso scuro che nella penombra appariva e spariva, forse
la reticenza del suo parlare, ma la percepiva quasi fuggire, proprio come la
ninfa del bosco.
“Voglio
raccontarti allora io una storia, perché al contrario a me il narrare ed il
cercare è molto congeniale, ed a te chiederò solo di esprimere cosa ne pensi.
D’accordo?”
“D’accordo”.
“Un dio
bellissimo e da ogni donna vagheggiato ed amato si accostò ad una ninfa nel
bosco, ma elle prese a fuggire; egli la inseguì, finché giunse ad afferrarla;
la fanciulla allora si trasformò in un albero dalla dura scorza ed il dio, in
suo ricordo, si cinse la fronte di una sua fronda”.
Qui si
arrestò e le tese una mano per aiutarla a scendere. Quando ella gli fu accanto,
poté vedere meglio il suo viso, ora rischiarato dagli ultimi barlumi: si passò
con naturalezza una mano nei capelli per rassettarli e lo guardò un attimo con
un’aria stupita, quasi ingenua, che Santos scoprì solo in quel momento.
“Allora, che
devo dirvi?” chiese, col tono di una donna semplice e non troppo avvezza a
lunghe riflessioni. Per un attimo gli apparve diversa, quasi un’altra, tuttavia
straordinariamente affascinante proprio per questa naturale sorta di
refrattarietà.
“Perché la
donna rifiuta un simile amore?”
“Lui non
l’amava, o meglio, non l’amava ancora” rispose con aria pensosa “Voleva
solo…insomma…” e qui arrossì lievemente.
“Possederla?”
le venne in aiuto Santos.
“Sì”.
“Ma perché
lei non cerca di sedurlo, perché fugge e si nega?”
“Certo”
rispose guardandolo in fondo agli occhi molto seriamente “perché è lei che lo
ama”.
“E’
incredibile! Così è tutta un’altra storia, molto più interessante e bella”.
“Come dite?”
e di nuovo l’ingenuità si affacciò nel suo volto.
“Oh, nulla!”
si riscosse egli. “Ma perché” aggiunse “si pose il ramo di alloro in fronte e
ne fece addirittura un simbolo, se la fanciulla non gli interessava poi
troppo?”
Ella sorrise:
“Oh, poi sì
che l’amò! Dovette prima perderla per poterla amare e la pensò sempre”.
“Io vengo
da…” disse d’un tratto Santos, facendo il nome del paese. “Ci siete mai stata?”
“Sì, qualche
volta”.
“Conoscete la
statua della dea che sorge in mezzo al bosco?”
“E chi non la
conosce!” esclamò ella, quasi sorpresa alla domanda. “E’ la cosa più celebre
che esiste in tutta la nostra regione!”
“E non trovate” le chiese lentamente, dopo un attimo
di silenzio, guardandola fisso in viso “che vi somiglia incredibilmente?”
Per un
momento lo stupore si disegnò sul volto di lei, che con la mente riandava alla
nota immagine. Poi fu di nuovo quella semplicità un po’ contadina che gli
rispose attraverso un largo riso improvviso e gaio, che le risplendette in
bocca come un sole, illuminando il viso d’ambra.
“Se lo dite
voi!” fece scuotendo la testa divertita, quasi parlasse ad un bambino. Poi
raccolse di terra il canestro. “Beh, si è fatto tardi” fece con tono di congedo
“fra poco mio marito rientra ed io sono ancora qui. Buonasera!”
“Buonasera”
rispose Santos, e avrebbe voluto trattenerla ancora, chiederle di poterla
rivedere o soltanto stringerle la mano, ma in un attimo era già rincasata.
Santos si
trattenne un certo tempo in quel paese, quanto bastò perché si stabilisse fra
lui e quella donna un tipo di comunicazione non certo così esauriente e
soddisfacente come quella a cui egli aspirava, ma tuttavia frammentariamente
significativa: di amicizia certo non poteva parlare e neppure sentiva di
potersi considerare un vero conoscente, qualcuno cioè a cui ci si può riferire
in modo saltuario ma costante. Gli bastò ottenere che quella donna sapesse che
lui esisteva e, nei loro rari e brevi incontri, il regalo inaspettato di
qualche fuggevole espressione di familiarità. Riuscì eccezionalmente perfino a
penetrare nella sua modesta casa, dove i sensi, con quell'insopprimibile imbarazzo
dell’estraneo, impercettibilmente velato di tristezza se il passante è un uomo
solo, potevano quasi rubare voci ed odori riservati all’altrui intimità – il
profumo di biancheria lavata, l’aroma diffuso da una pentola sul focolare,
l’abbaiare di un cane, le voci dei ragazzi – abbandonandosi per qualche istante
con immedesimata fantasia all’immagine di un quadro di vita. Ma il senso
doloroso di esclusione traboccava quando gli capitava di assistere al rincasar
del marito; ella gli andava sempre incontro alla porta a salutarlo con un bacio
da cui niente di particolarmente passionale traspariva di certo, ma qualcosa di
forse ancor più escludente: la consuetudine; una consuetudine sicuramente non
priva di affetto, ma più forte ancora di questo stesso e talmente totalizzante,
che nulla mai avrebbe potuto interrompere e che mai avrebbe permesso ad
alcunché di frapporsi in essa.
Santos iniziò
una strana vita allora di pendolare da quel luogo al suo paese o, per meglio
dire, da quella donna alla sua statua, e questo durò per parecchio tempo. Tornò
spesso a contemplare la dea nel bosco, con occhi nuovi e con accresciuta
curiosità: ora gli appariva quanto mai animata, gli sembrava di conoscerla
meglio; eppure, nello stesso tempo, la percepiva ancor più sfuggente e misteriosa:
oh, quel silenzio! Perché neppure lei, la donna reale che ella era, aveva
potuto dare voce a quel silenzio? E mentre la guardava, dietro quella
immobilità affioravano nella sua mente immagini e ricordi di lei intenta a
stendere il bucato, ad annaffiare l’orto, ad abbracciare un figlio; e tutto ciò
finiva per confonderlo e per fargli apparire tutto assurdo ed ancor più
inafferrabile.
D’altra parte
anche nella vivente semplicità di quei gesti, in quel femminile buon senso in
cui enigmaticamente si fondevano fanciullesca ingenuità ed antica saggezza,
avrebbe saputo rintracciare quell’immagine di eternità che il marmo proiettava.
Ed era visibilmente la stessa donna! Eppure lei stessa era straniera alla sua
immagine, talmente inconsapevole di sé!
No, neppure
in lei era la risposta: l’enigma di questo connubio, che Santos inseguiva
vanamente nella contemplazione dell’opera, non si scioglieva neppure davanti
alla porta di quella donna.
Ed egli sentì
chiaramente un giorno all’improvviso che tutto il significato del suo affanno
di vivere era racchiuso in quel pellegrinare dall’idea alla realtà, che questo
gli impediva realmente di vivere, che il suo starsene dietro la porta di una
esistenza altrui era l’immagine vivente del suo stesso escludersi dalla vita.
“Siete triste
oggi?” gli chiese Dafne, che lo aveva visto seduto in disparte nella via che
conduceva alla sua casa.
“E come non
potrei?” le rispose. “La natura mi ha dotato di una forza autodistruttiva che,
dovunque io mi rivolga e mi indirizzi, mi fa sempre ritrovare sul medesimo
sentiero, quello che mi porta a vedere come tutto finisce inesorabilmente per
sfuggirmi dalle mani…E contro le forze della natura non si può nulla”.
“A volte può
sembrare così, ma non sempre è vero” fece la donna. “In questa zona, ad
esempio, tira un vento fortissimo molti giorni l’anno, specie d’estate, è la
caratteristica del luogo ed ha sempre la stessa direzione, noi lo conosciamo
bene, io lo riconosco dalla bandierina del comignolo sul tetto. Voi potete
dire: questa è la sua direzione e nulla potrebbe mutarla. Eppure sapete perché
soffia sempre nello stesso verso? Perché laggiù” e si girò ad indicare con la
mano “c’è una grande montagna che fa deviare ed incanalare il vento in questo
modo. Buona giornata” e si allontanò verso casa.
Santos rimase
solo a cullare ancora dentro di sé quella cara voce vellutata; ma a poco a poco
si accorse che le parole buttate lì dalla donna, a cui egli neppure quasi aveva
prestato attenzione, ora, nel ricordo, si schiudevano come semi caduti
all’insaputa in un terreno. Laggiù c’è
una grande montagna…, e la voce morbida e profonda che le aveva pronunciate
diveniva quasi una emanazione del suo proprio pensiero, della sua interiorità.
Si alzò di scatto stringendo i pugni.
“Io troverò
quella montagna e l’abbatterò!” si disse. Ma come fare e da dove cominciare?
C’era
qualcuno che certo aveva penetrato e conciliato nella sua coscienza l’assoluto
e il relativo della vita, lo spirito e la pietra, perché di questo si trattava:
e questi era Orfeo. Trovarlo! trovarlo!
post inserito il 22/01/2017
...il mito parrebbe una giustificazione dell'ordine esistente delle cose ... Comunque aspetto la prossima puntata. Ciao Luigi
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