Grato m’è il sonno
romanzo
di Maria Luisa Ferrantelli
Pubblicato
nel 1989 –
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
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Arpa
eolica ringrazia l’autrice per il permesso di pubblicazione in 10 puntate
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3° puntata
Ma non ne parlò a Cinzia, o meglio, le disse che
doveva cercare se stesso, capire qualcosa di importante, non però quanto lungo
potesse essere il suo viaggio.
“Tornerò,
però tu ugualmente non devi aspettarmi. Chi è aspettato annulla chi lo
aspetta”.
Lungo la via
intanto andava dipingendo tele e plasmando statuette di creta che vendeva poi
nei villaggi; e nel contempo sentiva come crescere in sé una facilità di
espressione, quasi le immagini lo compenetrassero più vivamente, suscitando in
lui vibrazioni che fluivano poi con maggior libertà. Ma il suo entusiasmo aveva
breve respiro e subito riprendeva a torturarsi e si diceva che si trattava
ancora di piccole suggestioni, impressioni fugaci, e di nuovo si trovava in
preda allo sconforto ed all’angoscia di inespresso. Cosa seppe cogliere Orfeo di lei, della vita stessa? Devo raggiungere
quella donna per comprenderlo, forse lei stessa vivente racchiude la
rivelazione del mistero dell’arte.
Egli aveva
seguito attentamente tutte le indicazioni ricevute dal vecchio e si trovò così
in una strada di campagna, davanti ad un casolare dall’aspetto vetusto. Ma come
il suo sguardo prese ad esaminarlo più attentamente, subito ricevette una deludente
sensazione: anche ad una prima osservazione tutto lì lasciava intendere che
doveva trattarsi di un edificio già da un po’ di anni disabitato; alcuni olivi
rinsecchiti e ormai quasi agonizzanti, l’orto completamente coperto da ortiche
ed erbacce assai alte, una finestra, dal cui vetro rotto e neppure
provvisoriamente riparato da una tenda o magari solo da una carta, si
intravedeva un soffitto scalcinato…
Il giovane,
tanto più stanco del cammino per essersi creduto ad un passo dalla meta, si
lasciò cadere su una panca, proprio all’ingresso della staccionata di recinto.
Dove sarà? Non la troverò mai, mai…Non
poteva essere così facile. Ma forse neppure esiste. E poi, cosa le avrei detto?
Nemmeno lo so. A volte non capisco neanche che cosa sto cercando. Forse è
meglio così, è meglio che torni a contemplare la sua immagine eterna laggiù nel
bosco, che torni da Cinzia che mi aspetta…Una valanga di sconsolate
sensazioni gli affollò immediatamente la mente sovreccitata. Poi si calmò un
poco ed alzò gli occhi: una fragrante distesa, nuvole delicate di mandorli e
peschi in fiore gli stavano di rimpetto. Come tutto sembrò vivo e colorato al suo sguardo in
confronto all’ingiallimento moribondo, all’abbandono di quell’angolo a cui ora
volgeva le spalle e che pure all’inizio era riuscito a rendergli ogni altra
cosa invisibile! Egli si commosse ed insieme si rasserenò ed anche i suoi
pensieri allentarono un poco la corsa.
“In un paese
tutti si conoscono” si disse “Basterà che domandi a qualcuno di queste parti
chi abitava qui e dove si sia trasferito e certamente troverò la risposta”.
Contemplò a
lungo quel tripudio di luci e di colori, poi estrasse dal suo sacco pennelli e
colori e lavorò con foga per una buona mezz’ora; poi tornò a guardare la
campagna e di nuovo si commosse; guardò il suo dipinto, scosse il capo e lo
gettò a terra. Si volse quindi al casolare muto col suo orto soffocato dalla
gramigna e gli olivi asfittici, prese un’altra tela e cominciò a tracciarne i
contorni. Mentre era intento a questo nuovo lavoro, una voce risuonò sommessa
alle sua spalle:
“E’
incredibile come la gioia che abbiamo davanti e che pure sempre cerchiamo, non
riusciamo poi ad afferrarla, e con
quanta maggiore familiarità ci ritroviamo in compagnia della tristezza”.
Santos trasalì
e si volse: un vecchio dalla barba bianca ed un consunto cappello da contadino
sul capo era fermo alle sue spalle, stagliandosi contro il sole e guardava la
sua tela, mentre in una mano teneva l’altra, raccolta da terra. Lo guardò un
attimo, stupito forse da quel tono quasi grave che spesso contraddistingue il
silenzioso mondo dei contadini.
“E’ vero”
rispose. Poi si riimmerse nel suo lavoro.
“Chi abitava
in questa casa?” chiese ad un tratto, con apparente indifferenza, mentre
continuava a dipingere. Il vecchio alzò lo sguardo all’edificio.
“Mah,
chissà…”si limitò a rispondere.
“Non siete di
qui?”
“No”.
E poiché non
se ne andava, ma restava con una strana curiosità ad osservare il lavoro che
Santos andava compiendo, questi lo sbirciò un attimo.
“Vi interessa
la pittura?” chiese.
Il vecchio
alzò le spalle:
“A volte mi
sembra di non capire neppure in che consiste. In fondo” aggiunse indicando il
paesaggio “tutto ci è già dato così com’è”.
Santos pensò
che quell’osservazione era tanto sciocca quanto irriguardosa. Sarai forse saggio per l’età, ma sempre
ignorante
e di arte non
ne capisci un’acca!, si disse. Già ormai quell’attenzione fra l’insistente e l’ottuso, con
la quale la gente umile è spesso solita osservare chi sta compiendo qualcosa
estremamente lontana dal suo mondo, cominciava ad irritarlo ed a comunicargli
un senso di isolamento e di solitudine totale, quando il vecchio, sempre
fissando la tela inaspettatamente proruppe, quasi parlasse ad essa piuttosto che al suo autore o di lì gli venissero
le sue deduzioni:
“Siete
stanco, ragazzo, mi dispiace di non avere una casa qui, vi avrei detto: Sali un
po’ da me e riposati”.
“Come?” lo
guardò Santos quasi senza capire subito. “Sì, effettivamente sono un po’
stanco”.
Proseguì
ancora un poco nel lavoro, poi, sentendo troppo forte il disagio di quella
presenza muta che, per troppa diversità di condizione non poteva comunicargli
né dargli nulla, sforzandosi di essere gentile, mentre pensava fra sé Ma che aspetti ad andartene? Si vede che non
hai proprio nulla da fare!, posò la tela e gli chiese:
“Cos’è dunque
che vi interessa tanto, se dite di non capire la pittura?”
“Forse i
pittori mi interessano più della pittura stessa”.
Santos
sorrise e pensò, non senza una punta di tristezza: Già, l’artista! Che personaggio irreale e mitico deve apparire tra una
zappatura di patate e una mungitura di vacca! E invece è tutto così diverso…
Raccolse allora da terra la tela che aveva precedentemente iniziata e che il
vecchio aveva posata di nuovo e gliela porse.
“Questa vi
piace?”
Egli la
guardò.
“Ci sono dei
bei colori” rispose.
“E’ vostra” fece Santos “Anzi, aspettate” vi appose
il suo nome e gliela consegnò.
“Grazie”
rispose il vecchio. “Lo terrò con cura e scusate se vi ho importunato”.
Quindi si
allontanò, ma non mostrando quell’entusiasmo e gratificazione che egli si
attendeva. Beh, sei un brav’uomo, ma
certe cose non sai apprezzarle, pensò.
Rintracciare
la donna non fu poi così difficile come Santos prevedeva: seppe presto che la
famiglia, da quando il padre era morto, si era trasferita in un paese vicino.
… E così, un
bel giorno, giunse a vederla, in carne ed ossa, reale ed ancora in una matura
bellissima giovinezza, i lineamenti identici al suo marmoreo ed immortale
ritratto.
Dunque ella
esisteva ed era ancora tale! La risposta era lì, davanti ai suoi occhi, viva e
parlante, pure così lontana da raggiungere. Immortale certo quella donna doveva
essere, proprio come il frutto dell’artista, se ancora esisteva e proprio in
quella profonda serenità dello sguardo, in quel sorriso che le sfiorava
impercettibilmente le labbra. E i suoi colori, quei colori sui quali Santos
aveva così fantasticato, erano tanto scuri, quanto candida la sua immagine
riflessa nel marmo: nerissima la folta chioma, ombra sotto le scure
sopracciglia nettamente disegnate, l’incarnato ocra-bigio; per un istante
Santos pensò: Insegui la tua notte…Pure
l’effigie biancheggiante, quasi luminescente di Orfeo, era lo specchio di
quella reale, così tenebrosa.
“E’ proprio
lei!” mormorò Santos sbigottito, mentre, seminascosto da una siepe, la
osservava che immobile, appoggiata all’orlo del pozzo, guardava nel fondo. Quel viso ovale, quell’espressione, la curva
di quelle labbra…! , e per poco non si stupì quando la sua persona si mosse
e si animò, quasi la sola immobilità le si addicesse, proprio come ad una dea.
Ella si era
staccata dal parapetto ed aveva afferrato la corda, finché il secchio emerse;
lo tirò a sé e ne versò l’acqua in una tinozza colma di panni, vi si
inginocchiò davanti e prese a lavare: i suoi gesti erano decisi ed armoniosi,
ma Santos la guardava senza capire tanta naturalezza, e quegli atti così comuni
ed anonimi lo stupivano, ove non lo aveva stupito l’esistenza stessa di tale
donna.
“Pure non è
lei” si disse, e di nuovo sentì che la sua domanda rimaneva in sospeso: “Dunque
cosa colse di lei Orfeo?”
Doveva
parlarle, doveva sapere costei chi realmente fosse, capire dove veramente era
la donna che egli amava, se lì in carne ed ossa o nel marmo, se nella vita o
nel pensiero, se nel presente o nel passato o addirittura nel senza tempo. Ma
tutto ciò lo spaventava, quasi mettesse in crisi ad un tempo la sua stessa
identità e gli sembrava che tali domande avrebbe potuto riferirle anche a sé,
che infine era la stessa cosa. E come se una forza misteriosa lo incatenasse,
per molte settimane non osò rivolgerle la parola e rimase ad osservarla di
lontano, non visto, quasi a spiarla, mentre i pochi frammenti di vita, comuni e
ripetitivi che riusciva in tal modo a rubarle, in nulla rispondevano alla sua
ansia di conoscenza. Tentò anche più volte di ritrarla e la somiglianza
risultava sempre perfetta nella forma, ma tanto lontana dall’immagine della
celebre statua, e non per una scarsa perizia tecnica o profondità di sentire;
ed il perché Santos non lo capiva: che cosa, quale particolare aveva trascurato
di cogliere nella sua forma ed espressione? In quella sublime opera c’era
sempre qualcosa di più, come se rivelasse aspetti che anche la più viva e nuda
realtà tiene celati.
Intanto accadeva
qualcosa di strano: quegli atti, per così dire anonimi, della quotidianità di
quella donna, che egli riusciva ad osservare, non solo nulla toglievano
all’adorazione che egli da sempre nutriva per lei, ma addirittura andavano
accrescendo via via la sua passione. Ed anche questo non sapeva spiegarselo:
stendere panni, annaffiare l’orto, accudire alla casa non erano certo mai stati
atti tali da stimolare in lui una particolare attenzione nei confronti di una
donna; in nulla differiva da tante altre, in fondo anche Cinzia avrebbe voluto
per lui fare lo stesso. Dunque, cosa gli accadeva? E per di più, cosa che
avrebbe dovuto definitivamente far cadere quell’alone di particolarità
misteriosa, quella donna aveva anche un marito! Per la verità, quando Santos lo
capì, fu un duro colpo: in tutto soffrì ciò che può provare chi scopra un
tradimento. Fu un giorno che vide per la prima volta un uomo alto e robusto dai
capelli biondicci che cominciavano a diradarsi un po’ sulla fronte, con
quell’inconfondibile incedere abituale e quasi automatico col quale si fa
ritorno alla propria casa, varcare quel cancello. Con tutte le sue forze per un
istante Santos sperò che non fosse così: un uomo, quell’uomo dall’aria
tranquilla e comune non poteva possedere una dea, giacerle la notte accanto,
averla lì, tutta per sé, quando voleva! Ma ella, che proprio allora stava
uscendo dalla porta di casa, posò ciò che aveva in mano e gli andò incontro: si
baciarono, un bacio breve e semplice, proprio di labbra che si conoscono assai
bene e che sottintendono una confidenza che esclude ormai la tensione e
l’emozione di limiti non ancora svelati; poi raccolse le sue cose e parlando
rientrarono insieme.
Santos
rivide altre volte quell’uomo ed alla
fine riuscì ad abituarsi anche a questo, ma non certo a capire ed accettare
come fosse possibile tale rapporto. Quella naturalezza al fianco di lei
appariva alla fantasia sovreccitata di Santos come una intollerabile indifferenza, l’incoscienza
quasi del bambino che si trastulla con una perla trovata per la strada e
riposta in tasca fra sassolini e bottoni. Quando quello che certamente
costituiva il suo maggior elemento di disturbo fu da lui assimilato, ma
soprattutto quando la sua paura di cercare un contatto concreto con la donna fu
vinta, egli si sentì pronto ad affrontarla.
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post inserito il 15/01/2017
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