Grato m’è il sonno
7°
puntata
romanzo
di Maria Luisa Ferrantelli
Pubblicato
nel 1989 –
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
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del libro QUI
Arpa
eolica ringrazia l’autrice per il permesso di pubblicazione in 10 puntate
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le puntate già inserite Qui
7° puntata
I racconti
che di tanto in tanto il vecchio faceva della sua vita e del suo passato
spingevano anche Santos a poco a poco ad aprirsi un po’ ed a confidare qualche
suo stato d’animo. Forse quel contadino era molto lontano da lui per condizione
di vita e cultura, pure l’artista in più occasioni aveva dovuto riconoscere
che, attraverso gli anni e forse, chissà, lo stesso rapporto diretto con la natura,
per altre vie era giunto ad una notevole capacità di comprensione della vita e
degli uomini. Così, specie nelle sere, quando più pesava la solitudine sul
giovane cuore di Santos, egli sentì il bisogno di parlare di Dafne, della sua
perfezione artistica, della bellezza della donna vivente da lui segretamente
ammirata. Cosa cercasse da Orfeo non tentò mai di comunicarlo, ma intuiva che
dentro di sé quel vecchio doveva considerare lo sforzo di quella ricerca
altrettanto inutile, quanto per lui lo era lo sforzo di Cosma di tornare a
scuola alla sua età.
Lasciata alle
spalle Val Radici, la prossima vallata era Val di Notte.
“C’è il mio
paese” disse Santos e subito aggiunse “E la statua di Dafne. C’è anche una
persona che mi sta a cuore e che passerò volentieri a salutare” e, pensando a
Cinzia, si rese conto che stranamente il suo primo ricordo non era stato per
lei. “Ad ogni modo” concluse “non penso sia il caso di perder molto tempo in
questi luoghi, vi conosco più gente di te e non ho notato nessuno che possa
corrispondere all’uomo che cerchiamo”.
“Questo non
si può mai dire” osservò Cosma.
“Via! Sarebbe
davvero un’ironia! Non è possibile che io abbia potuto avere sotto il naso un
uomo simile senza accorgermene! Basterà trattenersi qui un solo giorno”.
“Come vuoi,
Santos”.
“Ci
ritroviamo ad ora di pranzo. Io intanto andrò a dare disposizioni per la mia
scuola”.
Al termine
del pranzo, Santos parlò al vecchio dei colori.
“Osserva
bene: ogni colore ha un suo linguaggio, è una entità vivente, devi sentirlo ed
assecondarlo, cercando di astrarlo dalle forme che riveste. Oggi impariamo ad
accostarli, a mischiarli anche, prescindendo dall’immagine”.
Cosma
appariva pieno di entusiasmo. Lavorarono un paio d’ore. Poi Santos guardò il
sole:
“Quanto dista
la prossima valle?”
“Un’ora e
mezza circa”.
“Bene, se tra
non molto ci mettiamo in cammino, ci saremo prima del tramonto e potremo
iniziare lì la giornata di domani. Prima però vorrei salutare una ragazza, farò
presto”.
Cosma lo
guardò e sorrise:
“Tutto il
tempo che vuoi, Santos”.
“No,
preferisco così. Lei comincerebbe a chiedermi troppe spiegazioni e non son cose
facili da farle intendere. Basta, tra venti minuti sono qui”.
In realtà
Cinzia non gli domandò nessuna spiegazione sul perché di quel viaggio, cercò
piuttosto di comprendere perché egli non la volesse con sé. Ma un vero
chiarimento non ci fu. Allora ella gli cinse con le braccia il collo.
“Ti prego,
Cinzia” le sussurrò Santos “non trattenermi. Ho poco tempo e sono atteso”.
“E chi ti
trattiene? Se ti sto salutando!”
E gli
impresse sulle labbra un lungo bacio, stringendosi fortemente contro di lui,
così che egli potè sentirne tutto il corpo. Poi di colpo si staccò.
“Addio,
Santos!” e se ne andò quasi correndo.
Il giovane,
che forse per la lunga solitudine aveva i sensi a fior di pelle, uscì da
quell’abbraccio involontariamente tutto rimescolato. Altro occupava la sua
anima, ma finché quel desiderio conficcato nella sua carne non fosse svaporato,
sarebbe stato costretto, suo malgrado, a pensare a lei. E lei lo sapeva.
Tornò da
Cosma, e poiché appariva distratto ed assorto, egli lo guardò:
“Tutto bene,
Santos? Vuoi partire ora?”
“Sì, certo”
si riscosse allora. Poi per un attimo tornò come a reimmergersi nei suoi pensieri.
“Mi aveva
chiesto di accompagnarmi” disse quasi tra sé.
“Sei sicuro
di non volerlo? Pensaci bene. Potrebbero occorrere ancora molti giorni”.
“No, non è
possibile con lei vicino quello che cerco…”
“Perché mai?”
si stupì il vecchio. “Se ti è cara una ragazza ed ella ti vuol bene, cosa
manca?”
“Forse tu non
ricordi più cosa significa quel perdersi della tua identità e della tua
volontà: quando senti i suoi seni turgidi incollarsi sul tuo petto, il molle
tepore del suo ventre sprofondare nel tuo cercandoti sapientemente fino a trovarti,
fino ad annullarti al punto che di tutto te stesso non rimane che quella tua
carne con cui unicamente ti identifichi, contratta fino allo spasimo, che non
sa più se chiede piacere o pietà, se chiede di possedere lei – se questo puoi
mai chiamarlo possedere – o di riavere te stesso; e tu non esisti più, la tua
mente è vuota, tutta la tua espressione è ridotta esclusivamente ad un gemito
così irrefrenabile da non potersi più distinguere in esso la beatitudine dalla
sofferenza”.
Quando cessò
di parlare, si accorse che per tutto il tempo Cosma lo aveva ascoltato assorto
e a capo chino, con un raccoglimento confessorale e con una sorta quasi di
rispetto e comprese allora di aver sfiorato uno di quei punti su cui anche la
vecchiaia più saggia e illuminata deve come farsi da parte davanti alla
giovinezza e rendere più umile la sua raggiunta serenità. Infatti, dopo un
lungo silenzio, egli alzò il capo e disse sottovoce:
“Sì, ti
capisco…Ora non è tempo per me di darti consigli. L’esser pacifici quando la
guerra è ormai cessata diventa una facile virtù. Però, lasciatelo dire, tutto
questo in te sembra diventare quasi
pena, lotta; perché non anche vita, felicità, che so?, spensieratezza. Tu non
ami la natura, non ami te stesso”.
“E come
potrebbe essere diversamente, se proprio quello stordimento mi allontana da
tutto ciò che in una creatura femminile cerco. Capisci cosa intendo dire? In
nessuna, insomma, io trovo Dafne, tuttavia divento troppo debole per continuare
a cercarla, sottraendomi alla sola legge che la femmina conosce per
incatenarmi”.
“Io non
conosco se non attraverso i tuoi occhi la tua amica” fece il vecchio. “Però,
ragazzo mio, sii più sincero: quando ne parli, parli di lei o di te stesso, o
non ne fai piuttosto il tuo ritratto? In chi realmente è la fonte delle tue
tempeste?
Riconosci
invece che se non ci fosse la donna ad ergersi come una montagna di neve, come
una statua di vero marmo al nostro inconsiderato e cieco assalto, dell’amore
noi non sapremmo mai nulla, non sapremmo mai che cosa può partorire quella
forza, quando non viene continuamente bruciata sul nascere, quando si lascia
che cresca dentro, che oltre il nostro corpo, attraversi anche i nostri
sentimenti, il nostro pensiero; non arriveremmo mai a sentire che quella forza
è proprio la stessa che muove tutto il creato. E tutto ciò la donna l sa
naturalmente”.
Santos sembrò
riflettere a lungo. Infine scosse il capo:
“Non so cosa
mi sembrerà un giorno, ma oggi sono molto confuso. E’ come se avvertissi in me
un enorme vuoto e nello stesso tempo una corrente impetuosa che mi trascina
verso di lei, senza però riuscire mai a colmare quel vuoto. Ed oggi posso solo
lottare e cercare”.
Cosma rimase
un po’ come in attesa, poi chiese:
“Ora possiamo
andare?”
“Non prima di
aver rivisto la statua”.
Santos,
contemplandola, ritrovava sempre la serenità. Notando poi che Cosma osservava
più lui che la statua, lo invitò a considerarla in tutta la sua perfezione.
“E’ lei
dunque che cerchi?” gli chiese il vecchio.
“Io l’ho
conosciuta” rispose.
“E l’ami”.
“Forse, ma
come in un sogno”.
“Quella donna
non la puoi possedere” fece Cosma accennando alla statua.
Parlavano
sottovoce, quasi si trovassero in un tempio.
“Lo so, è di
un altro”. Il vecchio tacque. “Ma lei, come non si riconosce nel suo ritratto?
E come non giunse a cercare, ad amare l’uomo che poté ritrarla in tal modo?” si
chiese ad un tratto, in una specie di esasperazione Santos. “Neppure se
tentassi questa via mi riuscirebbe dunque di conquistarla!”
Cosma
sorrise.
“E tu credi
che una donna si innamori di un uomo perché questi fa di lei un capolavoro
dell’arte? No, non l’amerà certo per questo. Tutto questo non le appartiene,
neppure entra nella sua vita, non più di quanto le sublimi poesie ispirate
dalla primavera modifichino la vita delle gemme o appartengano ai fiori”.
“Hai ragione,
sono un ingenuo. Ella amerà forse piuttosto maggiormente se stessa, la propria
potenza e la propria immagine, anzi, quest’ultima sarà proprio la maggiore
barriera e schermo contro il grande innamorato e tanto più vorrà che egli
rimanga un eterno innamorato, per fare della sua infelicità il proprio
piedistallo”.
“Insomma,
sempre in lotta con la natura, Santos!”
Dopo un po’
si riscosse.
“Ora sto
meglio, andiamo”.
“Allora in
Val Crepuscolo” fece Cosma. E si misero in cammino.
post inserito il
12/02/2017
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