Grato m’è il sonno
romanzo
di Maria Luisa Ferrantelli
Pubblicato
nel 1989 –
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
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Arpa
eolica ringrazia l’autrice per il permesso di pubblicazione in 10 puntate
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le puntate già inserite Qui
6° puntata
Finito il pranzo consumato in una locanda, dopo che
Cosma ebbe rivolto molte ed opportune domande all’oste circa gli abitanti del
paese, uscirono a sedersi sotto l’ombra di un grande noce.
“Abbiamo
tempo” fece Santos. “Comincerò a farti osservare qualcosa riguardo la linea e
le proporzioni”. Estrasse dal suo sacco fogli e matite e porse a Cosma del
materiale: “Prova a copiare quell’albero davanti a te, come ti viene” gli
disse.
Il vecchio vi
si accinse con una cura ed un impegno quasi scolareschi e Santos, che non
riusciva tuttavia a liberarsi dal senso di inutilità di tutti quegli sforzi, lo
osservava con un misto di imbarazzo e di tenerezza. Considerando il risultato,
lo incoraggiò, proprio come avrebbe fatto con un ragazzo, notando che le
proporzioni erano state rispettate e che effettivamente qualche attitudine,
come egli stesso aveva detto, da giovane doveva averla avuta.
“Col tempo
imparerai a trascurare troppi particolari ed a cogliere i tratti che danno
l’essenza di una forma. Per un po’ andremo avanti con la copia dal vero e ti
accorgerai che le prossime saranno sempre migliori”.
Attraversarono in pochi giorni tutti i paesi
di Val Radici, sempre passando Cosma in rassegna, come poteva, gli abitanti del
luogo, sempre intanto proseguendo Santos le sue lezioni sulla linea e la
prospettiva. Giunsero infine all’ultimo paese della valle e qui il giovane
disse a Cosma:
“In questo
paese abita mio padre. E’ molto tempo che non lo vedo e vorrei approfittarne
per andarlo a trovare. Ci ritroviamo verso il tramonto sulla piazza”.
“Va bene”
rispose il vecchio. “Nel frattempo mi darò da fare”.
Da
quell’incontro Santos tornò cupo e taciturno.
“Hai qualche
novità?” chiese subito al vecchio appena lo vide. Egli scosse il capo e face
capire che lì non aveva più nulla da cercare. Il giovane andò a sedersi in disparte
covando il suo tetro umore. Spezzando la pesantezza del silenzio, Cosma chiese
ad un tratto:
“Sta forse
male tuo padre?”
Egli non
rispose subito.
“Non è
questo…” avrebbe voluto sfogarsi, ma infondo pensava che quel vecchio, proprio
per la sua età, non avrebbe potuto comprenderlo o comunque essere dalla sua
parte, e poi ancora non si era stabilita tra loro una sufficiente confidenza.
“Cosa c’è
allora?” lo invitò quasi Cosma.
“C’è che si
viene fin da bambini educati all’ignoranza della libertà e si vigila ogni
momento che essa non si risvegli!” proruppe Santos, dando ad intendere che
quello era come il seguito di un colloquio interrotto e lasciato in gran parte
dolorosamente compresso dentro.
“Continua”
fece Cosma con molto interesse, sedendogli accanto.
“Loro, tutta
la vita a costruirti intorno recinti inutili, senza né logica né fondamento
all’infuori dell’irrazionalità della consuetudine; e tu, chissà perché, tu che
ormai sei un uomo e non dipendi più dai giudizi degli altri, solo con loro, con
altrettanta irrazionalità, non riesci mai ad impedirti di dare giustificazioni
si giustificazioni; tutta la vita, quando gli sei davanti, a consumarti per
dimostrargli che non sei in errore, per farti accettare. Ma poi ci si separa e
ognuno rimane sulle proprie posizioni. Così, anche se la tua esistenza fosse
santa e nobile, dedicata magari al bene del mondo, perché tu non sei come tutti gli altri? E malgrado tu possa essere
evidentemente felice, fino all’ultimo tua madre ti accuserà di esserti
allontanato da lei e tuo padre ti maledirà di non essere, agire, pensare come
lui avrebbe voluto, di aver compreso insomma la destinazione dell’uomo: la
libertà”.
Santos aveva
pronunciato quelle parole tutte di un fiato, come un torrente che spezza una
diga.
“Si sente che
tutto questo non lo hai mai detto a tuo padre”.
Santos crollò
il capo:
“E come
potrei? In questi termini è impossibile” fece sconsolato.
“E’ vero”
mormorò Cosma. Il giovane rialzò subito il capo e lo guardò:
“Come? Anche
tu lo dici! Sei dalla mia parte?”
Il vecchio
scosse il capo sorridendo:
“La parte?
No!” disse quasi fra sé. “Non c’è una parte. E’ come essere con l’aria che
immetti e contro quella che emetti, con i frutti e contro le radici. Anche
queste cose si oppongono le une alle altre, così deve essere”.
“Non ti
seguo” fece Santos.
“Allora ti
racconto una storia, una mia storia. Anche io sono stato un giovane un po’
ribelle, che non accettava il mondo così come gli veniva imposto, ma voleva
ricostruirselo tutto con la propria testa e le proprie mani, magari, perché
no?, anche uguale a quello di tutti, ma con la propria testa. Ed oggi credo che
un giovane in fondo debba essere così. L’importante, come tu dici, è costruirsi
con tutto ciò che si fa un rapporto veramente libero. Dunque io facevo il
giovane e dovevo cercare, mio padre faceva il padre e doveva darmi già le
risposte ed ostacolare. Mio padre ad esempio mi voleva contadino come lui, ed
io volevo fare cose che uscissero dalle mie mani, non sapevo neppure io, di
qualunque genere…”
“E come sei
finito?” lo interruppe Santos.
“Contadino”
rispose il vecchio quasi sorpreso.
“Molto male!”
“Però mi
sento libero”.
“Va! Ti sei
lasciato convincere!” proruppe il giovane. “Dovevi lottare per affermarti! E
lui si sarebbe convinto che eri capace ed avevi ragione”.
“Tu credi?
Neppure la grandezza ti riscatta la colpa di figlio. Non si è mai padre di un
genio o di un farabutto, si è padre e basta. Se il tuo problema continuerà ad
essere quello di risolvere l’opposizione padre-figlio, non sarai mai libero e
neppure adulto. Quella è una forza della natura: lo sai che il seme si oppone
alla radice perché non vuole liberarla e la radice al seme perché deve
distruggerlo; che la foglia si oppone al petalo per restar tale ed il petalo è
una foglia trasformata?”
“Dove vuoi
arrivare? Che bisogna vivere all’interno di questa contraddizione? E come?”
“In realtà è
un mistero…Ti voglio narrare di una lunga e grossa lite fra me e mio padre per
una questione di principio o di sostanza, a seconda di come o di chi la guardi.
Io allora non accettavo che i rapporti fra gli uomini dovessero essere regolati
da leggi”.
“Hai ragione”
osservò s Santos. “E’ come ammettere che non sono reali, che nascono e si
mantengono sottintendendo la reciproca diffidenza. Ci hanno sempre insegnato
che quando l’uomo si è dato leggi ed istituzioni ha fatto un passo avanti sulla
via della civiltà. Niente di più falso. E’ un segno di sconfitta che ha sancito
la sua decadenza morale. Un tempo la parola era sacra”.
“Un tempo che
tra noi povera gente è durato a lungo. Ricordo io stesso quando ad esempio per
una compra-vendita bastava stringersi la mano”.
“Forse quella
che noi siamo soliti chiamare civiltà è nata quando l’umanità è andata perdendo
la sua memoria. Forse originariamente non ci fu bisogno di scrivere; forse la
scrittura nacque perché si andava perdendo la memoria, poi si cominciò ad
imparare ciò che si scriveva e più si memorizzava, più si dimenticava il
significato delle parole, fino a ridurle a riti incomprensibili e assurdi
oppure a gabbie insormontabili. E’ vero, l’uomo conquisterà la civiltà quando
saprà risuscitare nella parola la sacralità e potenza che le appartiene ed essa
tornerà ad essere creazione e non più tomba”.
“Hai ben
compreso. A maggior ragione quindi non potevo sopportare che l’amore profondo
che mi legava ad una ragazza avesse bisogno di mortificarsi in un contratto,
oltretutto stretto non perché noi due, i diretti interessati, ne sentissimo la
necessità, quando poi l’aspetto più bello del nostro legame era proprio la
profonda e reciproca fiducia, ma per compiacere chi ci guardava e a cui dei
casi nostri non interessava realmente nulla”.
“Vuoi dire
che vivevi con una ragazza senza aver contratto matrimonio?”
“Appunto”.
“Mi sembra
molto giusto” fece il giovane guardandolo con simpatia.
“Proprio
mentre io mi sentivo l’uomo più felice della terra, in casa mia c’era la
tempesta e non capivo perché. Mio padre non mi rivolgeva più la parola, mia
madre continuava a piangere, la mia compagna era una creatura meravigliosa, ma
per loro neppure esisteva. Io però era fiero della mia coerenza e convinto che
tutti, attraverso il mio esempio, avrebbero finito per capire il significato
che amore e civiltà debbono avere e che per questo scopo valesse la pena di
sopportare. Insomma, l’eterno tentativo, o se vuoi, pretesa di cambiare il
mondo”.
“Mi sembra
molto bello”.
“No, Santos.
Nessuno capisce nulla dal di fuori, si può vedere solo quello che si ha dentro
di sé. In quel caso, ad esempio, che tu sei uno stravagante o peggio un figlio
dissoluto e, quanto alla ragazza, certo è poco seria…Oggi gli uomini hanno
ancora bisogno di leggi, riti, gabbie. E sempre i santi sono stati i più spietati persecutori. E allora cosa vuoi
fare? Strappare il bastone allo zoppo, la lente a chi non vede, la barca a chi
non sa nuotare? Deve essere lui a trovare la forza ed a convincersi che lo si
può fare”.
“Ebbene,
questo non significa che se io so camminare ritto sulle mie gambe debba
fingermi sciancato insieme ad altri!”
“Non si
tratta di fingere, ma di comprendere che il tuo scopo non è quello di esibirti
loro o comunque mostrarti, pur sapendo che non è il tempo, che ciò che conta è
che tu sappia realmente camminare
senza stampelle e bastoni. Poi cerca la strada che più ti si addice. Se però il
tuo scopo è veramente liberare gli uomini, ricorda che quando tu sarai il solo
fra tutti a camminare sulle tua gambe, di te faranno il loro dio o la loro
vittima, o tutte e due le cose insieme e sempre per poter continuare a restare
tuttavia zoppi”.
Dopo un lungo
silenzio Santos chiese:
“E allora
cosa avvenne?”
“Allora, dopo
alcuni anni, mi stancai”.
“Finisti per
sposarti?”
“Aspetta! So
già quello che stai per dire. Ma ciò che veramente mi convinse a farlo fu
l’aver improvvisamente capito che in fondo anche io ero profondamente schiavo
di quelle forme, se il negarle occupava tanto spazio nella mia vita; che,
insomma, verso le formalità io non ero veramente libero, ero ancora come loro.
E così, dopo cinque anni, con già un figlio, mi sposai, sentii che la cosa per
noi era a tal punto marginale, che ora sì, si
poteva fare, non cambiava nulla. E non cambiava
nulla neppure se agli occhi di tutti io apparivo come il figlio che era tornato
sulla retta via, anzi, lo trovavo quasi divertente, una specie di giuoco: mio
padre poteva rimanere nella convinzione di aver avuto ragione e soddisfazione,
ed io sentivo dentro di me che avevo conquistato un gradino più alto di
liberazione, quella che non cerca più neppure di fare testimonianze e
dimostrazioni. Credimi, la libertà, quella vera, non è uno stendardo, in realtà
essa è invisibile”.
Santos crollò
il capo.
“Capisco, ma
la trovo ugualmente una conclusione triste, è comunque una resa, una sconfitta
agli occhi…”
“Agli occhi
di chi? Ascolta il finale e forse puoi capire meglio. Erano alcuni mesi che non
vedevo mio padre e non sapevo nulla di lui. I nostri incontri erano sempre radi
e penosi. Avevo preparato a lungo questo incontro per annunciargli
l’avvenimento, avevo addirittura preparato un discorso…Non potrò mai
dimenticare quell’incontro: io entrai, lui sedeva in poltrona, lo vedevo di
profilo, non si mosse; cominciai a parlare, e la sua immobilità mi rendeva
sempre più turbato, arrivai anche ad espressioni di sottomissione che non avevo
previsto e che avrei giudicato intollerabili; quella sua rigidità mi faceva
regredire sempre più, mi sentivo tornato di colpo quasi bambino. Come? Lui non
si alzava, non veniva incontro a me ad abbracciarmi, a perdonarmi? Gli andai di
fronte e solo allora lo vidi: L’uomo autoritario ed energico da cui, fino ad
adulto, mi ero sentito dominato, era ora lì, davanti a me, ridotto ad una
specie di neonato e non poteva neppure riconoscermi. Perché si era sottratto
così, aveva troncato il dialogo? Avrei voluto sentire piuttosto su di me le sue
ruvide mani”.
Qui Cosma
tacque e rimase come raccolto. Poi riprese:
“Lui non
seppe mai la conclusione della nostra lotta. Ma questo suo brusco venir meno mi
fece comprendere qualcosa di molto importante: che egli non era il mio vero
interlocutore né mai lo era stato, ma un potente strumento della natura, e che
tutta la mia sfida e ricerca non aveva avuto realmente lui come ostacolo e
destinazione. Se il padre non si ergesse come una montagna da scalare contro la
tua libertà, allora tu non arriveresti a vedere che il vero ostacolo è nelle
tue forze da sviluppare per ascendere”.
Santos meditò
a lungo.
“Forse hai
ragione. Costantemente, nel piccolo comune frammento che la vita di ognuno
rappresenta, si rinnova il rifiuto del paradiso terrestre che il padre gli
aveva apprestato e la sua maledizione: il padre maledirà il figlio ed egli solo
allora sarà uomo ed entrerà nel mondo accompagnato dalla sua maledizione, e
solo così sarà libero. E’ triste che la via della ragione fin dall’inizio non
possa che essere accompagnata da lotta e sofferenza. Ma in realtà non è neppure
la cacciata o l'esilio la vera maledizione, ma la consegna ereditaria della
maledizione stessa. Ma chi trionfa di questo conflitto?”
“Tu hai
ancora questo problema? Se ne fai una questione di vittoria, sappi allora che
la vita è assai forte rispetto a chi non ha più la giovinezza e che il vecchio
finirà inevitabilmente per trovarsi di fronte al giovane come un mendicante:
l’intolleranza e l’autoritarismo sono la sua sconfitta; parimenti la certezza e
la caparbietà sono la sconfitta del giovane il quale non sa che il debito della
sua facile vittoria sarà a sua volta restituito a suo figlio. In fondo non
siamo tutti figli e padri nello stesso tempo?”
“E’ vero. Ma
intanto io capisco che la conseguenza della tua riflessione è che sei rimasto
un contadino come voleva tua padre” concluse Santos.
“Sono un
contadino” ammise il vecchio sorridendo “ma come voglio io. E poi” aggiunse
“non sto apprendendo attraverso te a guardare di nuovo le cose per imparare a
riprodurle?”
“Certo”
convenne Santos con un tono benevolmente condiscendente, in cui però si
indovinavano tutte le sue inespresse riserve. “Immagino quanto dovevi essere
testardo da giovane!”
“Ti prometto,
Santos, che un giorno anche io potrò firmare una mia opera”.
“Bene!” rise
Santos, battendogli una mano sulla spalla. “Ne sarò anch’io orgoglioso!”
Copyright © Maria
Luisa Ferrantelli
post inserito il
05/02/2017
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