Il mio cavallo è vecchio,
lo lascio a brucare
la nascente erba sul prato,
non lo cavalco più.
Ho attaccato ad un chiodo
il mio copricapo di penne colorate.
Ormai
combatto solo con me stesso,
a volte mi accompagna la saggezza
e a volte si schernisce.
Mi hanno chiesto:
quante sono le mie primavere?
Non mi aspettavo così tante.
Con occhio astratto,
guardo
le lente primavere passate
per costruirmi
e le veloci primavere che passo
per distruggermi.
Ora la primavera del mondo
torna
ed è la stessa,
ma non sento più
i forti gli odori di un tempo.
Forse non sono io lo stesso.
E l’essere se stessi
è come un sssibilo
che si perde per la prateria.
Lieve malinconia struggente avvolge questi tuoi straordinari versi.
RispondiEliminati ringrazio per queste parole - ciao
Eliminaamo molto, come probabilmente tu, gli indiani e questa poesia semplice e forte nello stesso tempo rende onore ad una gente che è scomparsa, o quasi, per la stupidità di un'altra. Un modo dolce per chiedere scusa
RispondiEliminagrazie Luisa. C'è una parte indiana dentro di noi che va cercata. ciao
Elimina