Migranti di ogni
razza
e colore sono sbattuti
per mare e per terra
da venti e tempeste
L’Uomo attende
di essere trattato come uomo
da un altro uomo
A Palermo, due anni fa,
è stata scritta una Carta
per l’Uomo Persona del futuro
MOBILITA’ UMANA INTERNAZIONALE
CARTA DI
PALERMO 2015
è opportuno conoscerla,
fa onore ai siciliani e all’umanità.
il testo
Dalla migrazione come sofferenza alla
mobilità come diritto umano inalienabile
Il diritto alla mobilità come diritto della persona
umana. Verso la cittadinanza di residenza. Per l’abolizione del permesso di
soggiorno.
I problemi legati alle
ormai quotidiane migrazioni devono e possono trovare soluzione solo se si
inseriscono nella cornice della mobilità come diritto. Bisogna cambiare
approccio: dalla migrazione, appunto, come sofferenza alla mobilità come
diritto. Nessun essere umano ha scelto, o sceglie, il luogo dove nascere; tutti
devono vedersi riconosciuti il diritto di scegliere il luogo dove vivere,
vivere meglio e non morire.
Il processo migratorio è spesso un’emergenza,
una drammatica emergenza. Ma è soltanto la punta dell'iceberg dell'inevitabile
ordinario spostamento di milioni di esseri umani; tale fenomeno è connesso alla
globalizzazione, alle crisi economiche e politiche di lungo periodo.
Uscire
dall’emergenza, dalle tante emergenze, è necessario. Io sono persona.
È necessario evitare la
cronicizzazione delle emergenze, tutte riconducibili ad un dato strutturale:
l’impossibilità di bloccare lo spostamento di milioni e milioni di esseri
umani.
La soluzione alle emergenze, presenti in tutto
il mondo e non soltanto nel Mediterraneo, non può prescindere, dunque, da una
visione progettuale che abbia come elemento centrale il riconoscimento del
migrante come persona. Io sono persona.
Occorre dunque riconoscere la mobilità di
tutti e di ciascuno come un diritto umano inalienabile. Ogni altro aspetto, ivi
compreso il concetto di “sicurezza”, troppe volte e impropriamente invocata,
deve essere coerente con tale impostazione.
Allo stesso modo ogni soluzione legislativa,
amministrativa, organizzativa, comportamentale non può non partire dal
presupposto che bisogna riconoscere il diritto umano alla mobilità di tutte le
persone.
Questo impianto ha ispirato il convegno di
Palermo intitolato IO SONO PERSONA. Accanto al titolo del Convegno di Palermo è
inserita un’impronta digitale: per ricordare che ogni esigenza, a partire da
quella della sicurezza, deve essere rispettosa del migrante persona umana e
della mobilità come diritto.
Abolizione del permesso di soggiorno non è una
provocazione, non è uno slogan velleitario. È la conferma di una scelta
progettuale e valoriale, che impone l’eliminazione di apparati normativi
emergenziali e disumani.
La storia è piena di apparati normativi
emergenziali che pervertono il valore della sicurezza e il valore del rispetto
della persona umana. La storia è piena di una legalità disumana.
Basti citare la pena di morte, che tuttavia
persiste in numerosi Stati che pretendono di definirsi civili e democratici, e
la schiavitù, prevista da leggi che consentivano – è soltanto un esempio - al
grande Voltaire di arricchirsi comprando e vendendo esseri umani. Un ruolo
importante deve e può essere svolto dall'Unione Europea che può attuare il
compito di una visione che si fa concretezza e vita quotidiana.
L'Unione Europea - troppo spesso ne
sottovalutiamo o ne stravolgiamo il significato a causa di logiche contabili,
speculative, finanziarie - è un esempio straordinario di volontà di convivenza
e coesione a partire dal suo essere una “unione di minoranze". In Europa
nessuno è maggioranza per ragioni identitarie: non i tedeschi né i musulmani,
non gli ebrei o i francesi. Nessuna identità è maggioranza. In Europa si sono,
coerentemente, rifiutate schiavitù e pena di morte.
È tempo che l'Unione Europea promuova
l’abolizione del permesso di soggiorno per tutti coloro che migrano,
riaffermando la libertà di circolazione delle persone, oltre che dei capitali e
delle merci, nel mondo globalizzato. Deve partire proprio dall’Europa una forte
sollecitazione alla comunità mondiale per il riconoscimento della mobilità di
tutti gli esseri umani come un diritto, su scala globale e non soltanto
all’interno dello spazio Schengen.
È evidente che tutto ciò comporti adeguatezza
di modalità e di tempi. È parimenti evidente, però, che è necessario agire sin
da subito "come se " la mobilità fosse un diritto umano inalienabile.
Ciò comporta, nel concreto e nel quotidiano, l’attuazione di norme e di modelli
organizzativi radicalmente diversi dagli attuali; evitando di considerare (come
oggi si fa con logiche emergenziali) il migrante un pericolo in sé,
rassegnandosi alla migrazione come sofferenza, con l'alibi della sicurezza che
copre razzismi, egoismi, torture e colonialismi del terzo millennio.
La migrazione non può dunque essere
considerata come un problema di frontiere, di identità culturale e religiosa,
di politica sociale e di accesso al mercato del lavoro. Si deve uscire dalla
logica e dalle politiche dell’emergenza che durano ormai da decenni. La
mobilità umana costituisce un fattore strutturale della nostra società e non
una questione di sicurezza. Occorre liberalizzare questa mobilità umana e
valorizzarla come una risorsa e non come un onere aggiuntivo per i paesi di
destinazione. Nel nostro paese si tratta di dare concreta attuazione agli
articoli 2 e 3 della Costituzione, rendendo effettivi i diritti fondamentali
della persona e rimuovendo gli ostacoli che ne impediscono la piena
realizzazione.
Si deve anche prendere atto dell’arrivo di un
numero crescente di richiedenti protezione internazionale o umanitaria e di una
notevole mobilità di quanti, già soggiornanti nei diversi paesi dell’area
Schengen, ed in particolare in Italia, desiderano spostarsi verso quegli stati
nei quali si possono ancora individuare migliori possibilità di occupazione e
livelli soddisfacenti di welfare.
Nel tempo della crisi si diffonde il
pregiudizio che gli “stranieri” sarebbero responsabili dell’aggravamento dei
problemi che affliggono gli strati meno abbienti della popolazione. Eppure gli
immigrati non hanno certo scelto il luogo dove nascere e sempre più spesso non
sono partiti per migliorare la propria posizione, ma solo per difendere il loro
diritto alla vita. Anche in questo caso va data piena attuazione al dettato
costituzionale che all’art. 10 riconosce il diritto di asilo a tutti coloro che
sono costretti a fuggire da paesi nei quali non sono garantiti i diritti
fondamentali.
Di
fronte alle reazioni difensive che caratterizzano sempre di più la nostra
società occorre reagire con politiche e con prassi applicate dagli organi
istituzionali che favoriscano la conoscenza reciproca, la parità di
trattamento, la partecipazione democratica. Sono questi i veri fattori che possono
garantire maggiore sicurezza.
L’accesso effettivo dei migranti ai diritti
fondamentali della persona, a partire dai diritti alla residenza ed alla
circolazione, appare un obiettivo ineludibile che va perseguito con interventi
multilivello, non solo a livello europeo e nazionale, ma anche con il concorso
degli enti locali e delle organizzazioni non governative per garantire una
coesistenza pacifica ed una valorizzazione delle differenze culturali, come una
risorsa.
La
punta dell’orizzonte è pertanto il passaggio dalla migrazione come sofferenza
alla mobilità come diritto umano. Le attuali previsioni internazionali
garantiscono ipocritamente il diritto di emigrare ma non garantiscono un
corrispondente diritto all’ingresso con uno specifico dovere di accoglienza da
parte degli stati.
Occorre costruire una nuova convivenza civile
sui comportamenti quotidiani e non sui proclami ideologici o su processi di
semplice assimilazione. Va superata la logica escludente del permesso di
soggiorno che riduce l’esistenza delle persone ad una mera sopravvivenza
condizionata dal rilascio periodico e discrezionale di un documento.
Questo meccanismo spesso è imprigionato dentro
un iter burocratico di durata imprevedibile, nel corso del quale i migranti,
anche se presenti da anni nel territorio dello Stato, sono esposti al rischio
di ricadere in condizioni di precarietà e di emarginazione.
Superare il permesso di soggiorno significa
considerare i migranti come persone, come esseri umani, a prescindere dal
documento che ne sancisce lo status, significa anche vedere in loro non dei
“carichi sociali” o “consumatori di risorse”: siano esse posti di lavoro, aiuti
sociali o case popolari, ma dei cittadini attivi in grado di dare valore alla
comunità e al luogo in cui risiedono.
Abolire il permesso di soggiorno, in
prospettiva, è fondamentale per costruire una nuova cittadinanza basata sulla
condivisione e sul rispetto reciproco, attuando politiche di empowerment, di
autonomia, canali di ingresso che non facciano arrivare persone piegate e
offese dalle violenze subite alle frontiere e nel lungo viaggio da parte delle
organizzazioni criminali che ne consentono il superamento.
Le frontiere.
Il diritto alla vita. Il diritto all’asilo.
Le analisi e le proposte che faremo sono
immediatamente riferite all’Europa, ed ai singoli Stati che la compongono, ma
costituiscono criterio di riferimento che può e deve essere utilizzato anche
per la mobilità su scala planetaria.
Nel quadro odierno della mobilità globale,
emerge che coloro che sono costretti a partire sono, nella maggior parte di
casi, persone vittime delle guerre, dei conflitti interni e della violenza.
Sono persone in fuga dagli stessi orrori che oggi alimentano paure nel mondo
intero. Sono profughi, richiedenti asilo, che hanno il diritto di essere
protetti. Non solo in Europa.
Di fronte a questa realtà oggettiva non si
possono accettare i recenti proclami dell’Unione Europea che chiedono di aprire
canali di ingresso legali solo per “talenti qualificati”, e di esternalizzare
invece il diritto d’asilo stringendo accordi con gli stessi regimi da cui le
persone fuggono.
Occorre fare chiarezza sui Processi di Rabat e
di Karthoum ad oggi in corso.
La proposta di esternalizzare il diritto di
asilo nei paesi di transito e di creare campi di raccolta in Africa non appare
rispettosa del diritto di asilo come è sancito dalle convenzioni internazionali
e della normativa europea.
L’accesso effettivo al diritto d’asilo è
l’assoluta priorità, attraverso l’apertura di percorsi di arrivo garantito, che
permettano alle persone di raggiungere in sicurezza il territorio europeo su
cui fare richiesta di protezione internazionale.
L’Unione Europea dovrà riconsiderare la
propria politica sui visti d’ingresso, aprendo canali legali di ingresso per
lavoro, in un momento di crisi in cui molti migranti si orientano verso altre
zone del mondo, e sull’asilo (protezione internazionale), in modo da
contrastare il ricorso ai trafficanti, che oggi, anche per coloro che sono
costretti alla migrazione forzata, costituiscono il principale canale di
ingresso.
Occorre una modifica sostanziale alla normativa
europea.
Il Regolamento FRONTEX e il Regolamento
Dublino vanno modificati e bisogna garantire una missione europea di
salvataggio in mare, come quella costituita dalla missione Mare Nostrum, che è
rimasta purtroppo un’iniziativa esclusivamente italiana.
Occorre un riconoscimento reciproco delle
decisioni che stabiliscono il diritto alla protezione internazionale eliminando
l’obbligo delle procedure nel Paese di primo approdo.
Il
diritto alla libera circolazione dei profughi in Europa va garantito con
un’accelerazione ed una semplificazione delle procedure. In tempi più immediati
vanno assistiti con misure particolari, di carattere assistenziale, legale e
psicologico, tutti coloro che sono riammessi in Italia da altri paesi europei,
per effetto dell’applicazione del Regolamento Dublino, in modo di garantire
successive possibilità di mobilità, il diritto di ricorso ed il diritto al
ricongiungimento familiare.
Il diritto alla protezione e il diritto di
accoglienza.
La situazione del sistema di accoglienza
italiano è già assai critica. Se l’accoglienza e i percorsi di inclusione (ad
es. apprendimento della lingua, ripresa psicologica, orientamento ed avviamento
verso il lavoro) non vengono garantiti, il sistema di protezione rischia di
diventare, un nuovo canale per riprodurre le clientele ed una fabbrica di
emarginazione che peserà su tutti.
Entrambe le cose fanno male non solo ai
migranti ma all’intera comunità. Investire sull’inclusione e sulle capacità
delle persone: qualunque sia il loro status è giusto perché valorizza la
dignità della persona ed anche remunerativo. Vanno incrementati ancora i posti
dei centri SPRAR (Servizio nazionale di protezione per richiedenti asilo e
rifugiati) e garantiti standard dignitosi per gli altri centri di primissima e
di prima accoglienza e dei CARA, evitando gestioni opache e concentramenti di
persone in luoghi che sfuggono a qualsiasi possibilità di controllo.
Occorre attivare un monitoraggio dei centri di
accoglienza, delle diverse tipologie, oggi esistenti nel territorio. In
particolare occorre verificare la corrispondenza delle dotazioni di personale e
delle professionalità richieste con lo schema tipo di convenzioni sottoscritte
dagli enti gestori.
Al fine di garantire una migliore
programmazione del collocamento e dei trasferimenti delle persone vanno
riattivate tutte le sedi di confronto tra istituzioni e tra queste e le
associazioni.
Vanno
in particolare evitate modalità di trasferimento tra i diversi centri che
interrompano i processi di integrazione e allunghino l’iter burocratico per il
riconoscimento di uno status definitivo di soggiorno.
Il diritto alla
partecipazione politica e alla contaminazione culturale.
Vanno riattivati i Consigli territoriali per
l’immigrazione e si dovranno stabilire occasioni di confronto periodico con gli
uffici stranieri della Questura al fine di velocizzare le procedure anche
attraverso il contributo delle associazioni, degli uffici comunali e degli
operatori professionali.
Occorre restituire funzionalità agli organismi
esistenti aumentando i canali di partecipazione. In questo senso intendiamo
valorizzare e mettere a disposizione l’esperienza della Consulta delle culture
della città di Palermo, esempio di protagonismo politico delle comunità e luogo
dello scambio e della contaminazione interculturale.
La Consulta delle culture della città di
Palermo è l’applicazione concreta di un modello in cui i diritti di
cittadinanza sono connessi esclusivamente alla residenza.
Il Lavoro. Il diritto alla dignità.
Nel corso degli ultimi due decenni, la
produzione di migranti “irregolari” si è affermata gradualmente come asse
portante del nostro sistema sociale, così come il circolo irregolarità-
sanatorie è assurto a perno tanto delle logiche della legittimazione politica,
quanto di quelle del mercato del lavoro.
Sul primo versante, la repressione dei
migranti diventa una delle principali arene politiche in cui si contendono i
voti degli elettori; sul secondo versante, la condizione d’illegalità dei
migranti favorisce il loro impiego con una remunerazione irrisoria e consente
non solo la sopravvivenza di imprese che non potrebbero permettersi di
retribuire regolarmente i loro lavoratori, ma soddisfa anche bisogni primari
delle famiglie italiane, a cui il welfare state non è assolutamente in grado di
rispondere.
In parallelo, si è diffuso una sorta di
razzismo economicistico strisciante che, partendo dalla visione dei migranti
come “risorse” indispensabili per il sistema produttivo di beni e servizi e,
allo stesso tempo, soggetti esclusi dai circuiti assistenziali e previdenziali,
ha impercettibilmente condotto alla creazione di un modello di inclusione
sociale neo-schiavistico.
Nelle more della piena realizzazione degli
obiettivi della “Carta di Palermo”, è necessaria, in vista dell’eliminazione
del permesso di soggiorno, la rottura del legame tra permesso di soggiorno e
contratto di lavoro.
Bisogna stabilire forme di ingresso regolare e
possibilità effettive di regolarizzazione permanente in presenza di requisiti
certi ed obiettivamente verificabili.
Allo strumento ipocrita di regolarizzazione
periodica che si verificava con i decreti flussi annuali, oggi sospesi, va
sostituita la possibilità permanente di regolarizzazione per chi matura
requisiti di stabilità e di inserimento in Italia.
Va eliminata la previsione di una perdita del
permesso di soggiorno per coloro che perdono il lavoro. Si tratta di
un’attribuzione di un potere ingiustificato ai datori di lavoro, che diventano
arbitri del destino e spesso della vita di esseri umani, alimentando anche in
questo caso un diffuso mercato illegale che è proprio dei proibizionismi
esasperati.
Va
abolito l’accordo di integrazione che nella prassi applicata rischia di
diventare uno strumento di selezione differenziata.
A livello territoriale vanno verificate tutte
le prassi per il riconoscimento ed il rinnovo dei permessi di soggiorno.
Occorre costituire un Osservatorio
indipendente sulle politiche di integrazione, a livello regionale, ed in
prospettiva a livello nazionale, per prevenire l’esclusione sociale, per
rilevare le buone pratiche e diffonderle, per fornire un sostegno alle
amministrazioni locali, per contrastare i fenomeni di razzismo e di
discriminazione.
La casa. Il diritto all’abitazione e all’iscrizione
anagrafica.
In Italia, l’iscrizione
nelle liste anagrafiche della popolazione residente di un comune afferisce al
diritto costituzionale di circolare e soggiornare liberamente sul territorio
nazionale (art. 16 Cost.) e nel contempo è requisito essenziale per poter
effettivamente esercitare altri diritti fondamentali. Essa rappresenta un
presupposto per qualsiasi processo d’integrazione degli stranieri, compresi i
beneficiari di protezione internazionale e i richiedenti asilo.
Occorre semplificare tutte le procedure per
l’iscrizione anagrafica, anche con riferimento ai richiedenti asilo ed ai
rifugiati ospiti dei centri di accoglienza. Le politiche di inclusione e di assistenza
dovranno garantire soluzioni alloggiative dignitose agli immigrati come alle
altre fasce deboli della popolazione autoctona. Il diritto alla casa va
riconosciuto alle persone in quanto componenti di un’unica comunità di persone,
residenti stabilmente in un determinato territorio e non dovrà diventare
occasione per ennesimi conflitti sociali o per altre “guerre tra poveri”. Si
devono valorizzare i processi di auto recupero con il coinvolgimento diretto
degli immigrati, la gestione cooperativa di spazi pubblici in disuso, anche con
il ricorso all'utilizzo di beni confiscati, e questo non solo per migranti ma
per l’intera comunità residente, garantendo anche spazi di lavoro e di
comunicazione alle associazioni.
La salute. Bene pubblico ed individuale indivisibile.
Va garantito per tutti gli indigenti, a
condizioni di parità tra immigrati ed autoctoni, il diritto alle cure gratuite
e vanno semplificate le procedure per l’iscrizione al Servizio sanitario
nazionale. Va salvaguardata l’effettiva attuazione dei principi sanciti
dall’art. 32 della Costituzione che non distingue tra migranti e cittadini, ma
si rivolge a tutte le persone comunque presenti sul territorio nazionale. “La
Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Un’attenzione particolare va rivolta alla
situazione delle persone che perdono il diritto all’iscrizione anagrafica e
quindi il diritto all’accesso alle prestazioni sociali, tra loro anche un
numero crescente di cittadini italiani. Vanno altresì rimosse tutte le norme e
le prassi che negano una piena fruizione del diritto alla salute ai cittadini
dell’Unione Europea comunque presenti in Italia.
Le vittime di tortura e di trattamenti inumani o
degradanti. Le ferite invisibili.
Le torture e i
trattamenti inumani e degradanti continuano ad avere luogo quotidianamente e
costituiscono un’offesa alla dignità umana. Cresce il numero di vittime, che si
confondono e si nascondono in mezzo a noi, nella speranza di costruire una
nuova vita, una nuova dignità, una nuova storia non segnata da violenza e dalla
mancanza di libertà.
Uno strumento fondamentale in questo senso è
il riconoscimento del loro status di rifugiato, a cui hanno diritto tutti
quegli individui che, nello stato d’origine, rischiano la propria integrità
fisica e mentale per le proprie scelte politiche, religiose, di orientamento
sessuale o per un’appartenenza etnica. Per i numerosi minori stranieri che
arrivano in Italia con segni fisici e psichici di tortura o di altri
trattamenti disumani o degradanti vanno apprestate tutele specifiche e
tempestive, a partire dalla prima accoglienza, nella quale va evitata la
ricorrente promiscuità con adulti, causa di altre possibili violenze.
Vanno facilitati tutti i percorsi che portano
alla nomina di un tutore ed alla conferma dei documenti di soggiorno anche dopo
i diciotto anni, ed anche quando non ci siano i presupposti per il
riconoscimento di uno status di protezione internazionale o umanitaria.
In Italia il diritto d'asilo alle vittime di
tortura viene riconosciuto quasi esclusivamente a chi presenta certificazione
medica. Il richiedente deve produrre una “giustificata” prova traumatica che
dimostri la possibilità di aver sperimentato violenza individualmente. Occorre
rivalutare un concetto più ampio di tortura che tenga conto delle gravissime
violenze che sempre più spesso vengono inflitte ai migranti, alle donne in
particolare, durante il loro viaggio nei paesi di transito.
La presa in carico di questi particolari
pazienti non può essere però un problema del singolo operatore o
professionista, che spesso lavora in condizioni di invisibilità e solitudine,
ma è un problema più ampio, che coinvolge e chiama direttamente in causa le Istituzioni.
Occorre garantire servizi che facilitino la
scoperta immediata delle vittime di tortura e di trattamenti inumani o
degradanti. E occorre l’attivazione di una struttura specializzata che possa
affrontare i postumi dei traumi subiti durante il viaggio, sia da un punto di
vista fisico che psichico. È necessario il riconoscimento ed il supporto del
lavoro svolto in questi anni in modo competente e multidisciplinare dalle
equipe che si sono specializzate in questo campo e che hanno agito e agiscono
sinergicamente con l’obiettivo di “guarire dalla tortura”.
I minori stranieri non accompagnati. Il diritto al
futuro.
Nel sistema italiano di accoglienza dei minori
stranieri non accompagnati le principali criticità non emergono dal quadro
normativo quanto piuttosto dalle prassi. Situazioni quali quelle che
periodicamente si registrano nei CPSA di Lampedusa e di altri porti siciliani,
o nelle comunità di accoglienza, si pongono in palese violazione con gli
standard internazionali e nazionali di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza.
Oltre a essere lesive della dignità dei minori
coinvolti, il rischio è che gli stessi si allontanino dalle strutture in cui
sono accolti e si trovino esposti a situazioni di pericolo. Peraltro, i ritardi
nella nomina del tutore legale o nel trasferimento in strutture di accoglienza
adeguate rallentano l’avvio dei percorsi di inserimento sociale dei bambini e
degli adolescenti.
In tutte le procedure che riguardano i minori
non accompagnati, dovrebbe prevalere il loro superiore interesse, principio
guida per ciascun attore coinvolto a vario titolo nella presa in carico,
nell’assistenza e nell’accoglienza di queste persone vulnerabili. Perché tale
principio trovi piena realizzazione è necessario che si ponga al centro la singola
persona con tutte le sue peculiarità, con la sua storia individuale e le sue
precipue esigenze. Come la Corte costituzionale italiana e la Corte europea dei
diritti umani hanno costantemente ribadito, i bambini e gli adolescenti
stranieri sono innanzitutto dei minori d’età e, in quanto tali, debbono
beneficiare di una tutela rafforzata che possa offrire loro riparo dalla
situazione di vulnerabilità in cui versano.
Occorre garantire la
nomina più tempestiva dei tutori, attivando processi di formazione e
monitoraggio, e semplificare le procedure per il rinnovo dei permessi di
soggiorno per minore età al compimento del diciottesimo anno di età.
Occorre anche evitare che la prassi di
richiedere il passaporto rilasciato dal paese di origine possa impedire il
completamento dei percorsi di inserimento intrapresi dai minori dopo il loro
arrivo in Italia.
Occorre una modifica sostanziale della
legislazione nazionale e regionale in materia di migrazione. Appare ormai
improcrastinabile l’adozione di una legge regionale organica in materia di
immigrazione. La Sicilia è l’unica regione italiana che ne rimane ancora priva.
Ma occorre anche un costante impegno verso prassi applicate a livello
amministrativo che restituiscano effettività ai diritti ed ai doveri sanciti
troppo spesso solo sulla carta. Si dovrà dedicare una particolare attenzione
alla condizione dei soggetti più vulnerabili, come i richiedenti asilo ed i
rifugiati, i minori stranieri non accompagnati e le vittime di tratta.
Una nuova legge
sulla cittadinanza. Diritti di cittadinanza. Percorsi di cittadinanza.
Per diritti di cittadinanza si possono
intendere il diritto alla residenza legale, la protezione contro procedure
illegittime di espulsione e di trattenimento amministrativo, l’accesso al
mercato del lavoro, l’accesso ai servizi pubblici, il diritto a vivere in
famiglia, l’accesso all’educazione ed alla formazione professionale, il diritto
alla sicurezza ed alla previdenza sociale, la libertà di riunione e di
associazione, il diritto di partecipare alla vita politica, il diritto di
partecipare alle elezioni europee e di ricorrere agli organi della giustizia
europea, il diritto alla mobilità nel territorio nazionale e nei diversi paesi
dell’Unione Europea.
Non occorre scomodare
né dichiarazioni universali né interventi di altri paesi per procedere ad una riforma
radicale della legge sulla cittadinanza, sempre rinviata da decenni, dal
Parlamento italiano. Occorre abbandonare l’arcaico riferimento allo ius
sanguinis, riconoscere tempestivamente l’acquisto del diritto di cittadinanza
alle “seconde generazioni” favorire e non ostacolare in tutti i modi i percorsi
di acquisto della cittadinanza per effetto della cosiddetta naturalizzazione,
favorire trasparenza, tempestività e legalità nel riconoscimento della
cittadinanza a seguito di matrimonio.
Occorre ridurre i tempi e le pastoie
burocratiche che ostacolano il riconoscimento della cittadinanza italiana non
demandando alla discrezionalità e/o alla sensibilità delle amministrazioni
locali. Si devono ridurre i tempi e la farraginosità delle procedure evitando i
continui rinvii da un ufficio ad un altro.
Diventa sempre più necessario garantire
l’automatica acquisizione della cittadinanza ai nati in Italia e consentire la
possibilità che la cittadinanza e i diritti connessi siano acquisibili con la
residenza nel territorio nazionale e/o europeo.
Nella prospettiva di una piena attuazione del
principio di non discriminazione, va ampliata la possibilità di conseguire la
cittadinanza italiana, con il superamento di normative e prassi amministrative
che allungano i tempi e ne rendono assai difficile il riconoscimento formale.
PALERMO, 13 -15 Marzo
2015 Cantieri culturali alla Zisa
IO SONO PERSONA “Dalla
Migrazione come sofferenza alla mobilità come diritto.”
Approvazione della Carta di Palermo 2015
Da parte della Giunta cittadina
Carta di Palermo 2015 in pdf
versione in inglese della Carta di Palermo 2015
immagine – la lapide in 4 lingue della Zisa – simbolo
multiculturale della Sicilia del 1140
post inserito il 10/05/2017
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