Grato m’è il sonno - 10° puntata



Grato m’è il sonno
10° ed ultima puntata
romanzo di Maria Luisa Ferrantelli
Pubblicato nel 1989 –
Copyright  © Maria Luisa Ferrantelli
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Arpa eolica ringrazia l’autrice per il permesso di pubblicazione in 10 puntate

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10° ed ultima puntata

 L’indomani il sole non era ancora alto ed ella era già lì.
 Entrando, scambiò sottovoce brevi parole con Cosma, poi si accostò al letto su cui Santos sedeva, ormai quasi completamente ristabilito.
 “Allora, come stai?” gli chiese subito.
 “Ora sto bene” fece Santos prendendole le mani. “Siediti”.
 “Ti ho portato una camicia” disse, aprendo un fagottino. Si guardarono negli occhi.
 “Vuoi sapere del mio viaggio?”
 “Sono contenta che tu mi abbia chiamata” rispose Cinzia abbassando lo sguardo. “Mi basta sapere se del tuo viaggio sei soddisfatto”.
 “Credo di sì”.
 Ella si guardò un attimo in giro.
 “Ma qui c’è un gran disordine!” esclamò alzandosi. Ed in pochi attimi quella stanza, poco prima quasi squallida, si trasformò in un ambiente accogliente.
 “Siete veramente una fata!” osservò Cosma. “Lasciate ora che al pranzo provveda io” aggiunse, cogliendo così l’occasione per lasciar soli i due giovani.
 “Vieni qui, Cinzia, devo parlarti” disse subito Santos, appena il vecchio fu uscito.
 Ella tornò a sedersi sul letto.
 “In questi giorni mi sono accorto di portarti dentro da tanto tempo senza saperlo, quasi una parte di me che non conoscevo
e a cui non era neppure necessario pensare. Ti portavo in me come la veglia il sonno, come il giorno la notte, come l’azione il pensiero…”
 “Casa hai ricordato di più di me?”
 “Il tuo sguardo…” e le baciò le palpebre “il tuo sorriso…” e le baciò le labbra “la tua saggezza…” e le baciò la fronte. “E tu?”
 “Finora sono stata per te come tu m’intendevi” rispose ella senza guardarlo. “Cosa ho ricordato?” e qui sorrise lievemente. “Il tuo sonno” rispose alzando gli occhi.
 Quando Cosma rientrò dopo un bel pezzo, trovò Santos ormai in piedi.
 “Bene!” fece vedendolo “Ti trovo completamente in te!”
 “Sì Cosma. E conto anche di essere di nuovo a casa per questa sera”.
 “Davvero ti senti di rimetterti in cammino dopo pranzo?”
 “Sicuramente”.
  “Quando è così, faremo il cammino assieme fino alla prossima valle dove abito io, che è di strada per te”.


 Vi giunsero nel pomeriggio.
 “Che nome ha questo luogo?”
 “Valle Libera” rispose Cosma e aggiunse “Vuoi che cerchiamo ancora Orfeo? Così avremo completato il giro”.
 “Lascia stare, amico, hai già fatto anche troppo. E poi mi sono reso conto che veramente non lo cerco più”.
 Si separarono, dandosi appuntamento dopo poche ore per salutarsi: Cosma se ne andò subito alla volta del suo campicello, per controllare che ogni cosa, in sua assenza, fosse stata condotta per il meglio.
Verso il tramonto si ritrovarono, e Cosma, passeggiando con i due giovani, li condusse per un sentiero che si arrampicava alla cima di una collinetta.
 “Lì è la mia casa” fece indicandola, quando furono ai piedi della salita. “Come vedete è molto modesta”.
 “Il luogo però è stupendo” osservò Cinzia.
 “Sai, Santos, prima di lasciarti avrei desiderio di mostrarti un ultimo lavoretto che ho fatto nel frattempo…” fece Cosma sottovoce.
 “Sono sempre sbalordito della tua volontà!” esclamò Santos. “Vorresti che io ti dicessi cosa ne penso e come hai saputo mettere a frutto i miei insegnamenti?”
 “Proprio così” convenne Cosma, e rivolto a Cinzia: “Voi permettete?” aggiunse “Si tratta di una mia tardiva debolezza”.
 “Fate pure con comodo” rispose benevolmente Cinzia. “Io mi riposerò volentieri aspettandovi qui seduta”.
 “Abbi pazienza un attimo, farò presto” le mormorò il giovane. “E’ un brav’uomo ed ha fatto molto per me”.
 Entrarono in una modesta stanzetta, arredata in modo rustico ed essenziale: Santos vide subito nel mezzo una forma coperta interamente da un ruvido sacco.
 “Devo dire che sei stato il mio discepolo più volenteroso e coscienzioso fino all’ultimo” gli fece Santos con un sorriso.
 Cosma non si diresse subito al suo lavoro.
 “Come stai?” gli chiese invece. “Hai trovato il tuo equilibrio?”
 “Forse non ancora del tutto, ma sono molto sereno”.
 “E con Cinzia?”
 “Mi rendo conto di amarla e soprattutto che lei mi ha atteso ed amato per tanto tempo. E chissà che anche questo non lo debba in parte ad Orfeo: egli mi ha insegnato a guardare una donna…”
 “Ed ora hai imparato a guardare la donna”.
 “E’ vero, Dafne non avrebbe potuto mai essere mia; ella è tutto ciò che dorme dentro di me”.
 “Ora guarda!” fece il vecchio, accostandosi alla sagoma e strappandole con un solo energico gesto il panno che la copriva. “Neppure questa!”
 Davanti a lui era una figura femminile che sembrava, per la lievità e flessuosità della persona, sfiorare appena il suolo, quasi in un passo di danza; le trecce raccolte e un radioso sorriso che, attraverso la bocca e gli occhi, aveva la forza di spandere quasi una luce solare su quella bruna creta.
 “Ma…” balbettò Santos “è Cinzia! Tu hai potuto fare questo…e vederla in questo modo…!”
 “Sì. Ma non guardarmi così!” gli sorrise Cosma. “Alla giovinezza l’amore, alla vita la vita…Ma lo spirito, libero, a chi lo coglie, a l’arte, forse. Non ricordi? La poesia è l’alloro, la donna non posseduta e che nessuno può possedere. Ti promisi che un giorno avrei anch’io firmato un’opera”.
 Raccolse lo stilo e si chinò a incidere sulla base il suo nome. Santos lesse:
 ORFEO
 Il suo viso si imporporò fino alle lacrime.
 “Maestro…!” mormorò.
 “No, non è cambiato nulla, sono lo stesso di prima con cui parlavi fino ad un minuto fa. Ho impiegato vent’anni di studio e di fatica per diventare Orfeo, questo sì; ma tutta la vita per essere Cosma, ed oggi amo essere chiamato col mio vero nome”.
 “Come ho potuto non accorgermi…” mormorò Santos ad occhi bassi.
 “Non è strano. Tu cercavi un artista”.
 “Ma perché non dirlo subito?”
 “Perché tu cercavi un essere d’eccezione dalle cui labbra pendere e che t’insegnasse a staccarti dal resto dell’umanità”.
 “Perché allora ti sei svelato?”
 “Tu ora hai compreso che il problema invece è proprio quello di percorrere la stessa via di tutti gli uomini, ma ben desti, comprendendola e facendo della comune strada la propria, il percorso stesso della propria coscienza. E per fare questo, Orfeo non ti serviva più. Sii sempre libero in tutto, anche rispetto a questa ansia di espressione artistica; e qui, credimi, non è facile”.
 “E’ per questo che lasciasti un tuo capolavoro senza nome?”
 “Per questo”.
 “Non pensi che sia un po’ come abbandonare un figlio?”
 Il vecchio rise:
 “Oh, Dafne conosce bene la sua strada, molto più di quanto allora il suo stesso padre non la sapesse!”
“Questo vuol dire quella frase che hai inciso lì sotto?”
Cosma lo fissò con uno sguardo penetrante che Santos non gli conosceva e di cui non lo avrebbe neppure sospettato capace. Infine rispose:
“Io non ho mai scritto nulla lì sotto”
Dopo un lungo silenzio, Santos riprese:
 “Credo di essermi liberato della mia ambizione e vanità e a ciò ha contribuito non poco la tua severa lezione”.
 “Non ancora forse del tutto e voglio dimostrartelo” rispose Orfeo, afferrando tra le braccia la statuetta che per bellezza quasi sorpassava la Dafne del bosco, e trascinandola verso la porta, seguito dallo stupito giovane.
 “E’ in qualche modo anche la mia risposta a quella domanda assillante che volevi porre al celebre Orfeo, che mai invece allora avrebbe saputo risponderti, e che non ti fidasti di rivolgere al povero Cosma.
 “Come conciliare spirito e materia?” chiese Santos.
 Mentre parlava, era giunto al ciglio della collinetta ,e Santos, che aveva letto nel suo pensiero:
 “Che fai!” gli gridò, allungando istintivamente le mani per afferrare la statua. “Come puoi distruggere un’opera di tale perfezione?” chiese sbigottito.
 “Vedi, Santos: io posso farlo; come posso farne delle altre. Questo che per te è perfezione, per Orfeo non lo era più dal momento che diventava la sua prigione. Ed ora sì, posso essere finalmente anche contadino: anche per questo mi è cara la terra quanto l’arte; ne conosco tutto il linguaggio, mi è cara per tutto ciò che essa può esprimere ed accogliere, oltre che produrre naturalmente, così come amo tutta la natura e la vita per ciò che portano in sé e celano. Era una giusta percezione la tua: ciò che è più comune tanto da essere divenuto per tutti un punto di partenza è proprio ciò che si è maggiormente perduto nel suo significato e va riconquistato. Tutta l’esistenza è come un cerchio ed ogni suo punto può diventare nello stesso tempo punto d’arrivo o di partenza, inizio o fine. E allora, vedi, non è più così strano essere insieme genio e contadino, donna e dea. In fondo queste alternanze che ti ho mostrato sono solo una piccola parte che prefigura quasi una ben più vasta ciclicità cosmica: Dio si fa umanità, l’umanità pian piano dimentica la sua origine, poi la perde per riconquistarla faticosamente. Ma in ogni punto di questo eterno ciclo, sia pure inconsapevolmente, si è sempre umani e divini. Come potremmo altrimenti sopportare quella più ampia alternanza che siamo soliti chiamare vita e morte ?”
 “Comprendo la libertà e l’armonia superiore che il tuo spirito ha conquistato” esclamò il giovane, tendendo ancora le mani “che per te essere e sentire sono un tutt’uno, che ti è indifferente vederteli davanti materializzati. Ma io non sono ancora a questo punto, io sono nel dramma dell’incompiuto”.
 “Tutta l’umanità è nell’incompiuto”.
 “Orfeo, per questo l’umanità ha bisogno di questi modelli ed esempi di compiuto e di perfezione! Non distruggerlo, noi ne abbiamo bisogno!”
“Lo so, ma cessa di confondere una semplice strada con la meta. L’incompiuto non è un dramma. Tutto ciò che emana da noi non può che essere tale. Tu credi che le mie opere siano meno incompiute delle tue, così come hai creduto che il tuo amore per Dafne fosse più perfetto di quello per Cinzia. Possiamo solo passare per diversi gradi di incompiuto, ma proprio per questo ogni attimo va vissuto ed ha un suo valore immenso ed insostituibile. Tu hai creduto che questa mia opera rappresentasse la perfezione. Ricercarla qui o credere di averla trovata, questo sì che è dannazione. Ora guarda, osserva su quale fragile connubio poggia questa parvenza”.
 E così dicendo, sollevò la statua in aria e la lasciò cadere nel vuoto. Santos chiuse gli occhi sulle lacrime che gli imperlavano le ciglia, per imprimere in sé la bellissima immagine.
 “Ricorda sempre ciò che hai visto. Quando potrai ricordarlo senza quelle lacrime, capirai che questo mio gesto ha voluto significare il passo successivo che dovrai compiere dentro la tua coscienza. Anche tu mi regalasti una tela che volevi distruggere, ricordi? Questo mio dono è solo per te, non potrebbe mai essere affidato a musei o a biblioteche; custodiscine il senso nella tua interiorità. Io per oggi altro non so né ho da darti”.

 La statua ricadde, spezzandosi in più parti, che continuarono a rotolare giù per il lungo pendìo, rimbalzando sui sassi e frantumandosi sempre più, finché la forma fu totalmente dispersa e restituì la sua polvere alla terra. 
                                 Fine
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