Quest’anno cinquantenario del primo
allunaggio di un essere umano sulla luna – il 20 luglio 1969 – Arpa
sta realizzando dei post dedicati
alla LUNA con cadenza quasi settimanale; non tanto per la ricorrenza in sé, ma
per tentare di esaminare l’immaginario umano prima e dopo quell’evento.
Questo post è dedicato al racconto di
Pirandello “MALE DI LUNA”
Contiene: il testo della
novella di Luigi Pirandello – una lettura su youtube – e dalla traduzione
cinematografica dei fratelli Taviani nel loro film Kaos, la canzone di Nicola
piovani – video youtube
MALE DI LUNA
Batà sedeva tutto aggruppato su un fascio di
paglia, in mezzo all'aja.
Sidora, sua moglie, di tratto in tratto si
voltava a guardarlo, in pensiero, dalla soglia su cui stava a sedere, col capo
appoggiato allo stipite della porta, e gli occhi socchiusi. Poi, oppressa dalla
gran calura, tornava ad allungare lo sguardo alla striscia azzurra di mare
lontano, come in attesa che un soffio d'aria, essendo ormai prossimo il
tramonto, si levasse di là e trascorresse lieve fino a lei, a traverso le terre
nude, irte di stoppie bruciate.
Tanta era la calura, che su la paglia rimasta
su l'aja dopo la trebbiatura, l'aria si vedeva tremolare com'alito di bragia.
Batà aveva tratto un filo dal fascio su cui
stava seduto, e tentava di batterlo con mano svogliata su gli scarponi ferrati.
Il gesto era vano. Il filo di paglia, appena mosso, si piegava. E Batà restava
cupo e assorto, a guardare in terra.
Era nel fulgore tetro e immoto dell'aria
torrida un'oppressione cosí soffocante, che quel gesto vano del marito,
ostinatamente ripetuto, dava a Sidora una smania insopportabile. In verità,
ogni atto di quell'uomo, e anche la sola vista le davano quella smania, ogni
volta a stento repressa.
Sposata a lui da appena venti giorni, Sidora
si sentiva già disfatta, distrutta. Avvertiva dentro e intorno a sé una vacuità
strana, pesante e atroce. E quasi non le pareva vero, che da sí poco tempo era
stata condotta lí, in quella vecchia roba isolata, stalla e casa insieme, in
mezzo al deserto di quelle stoppie, senz'un albero intorno, senza un filo
d'ombra.
Lí, soffocando a stento il pianto e il
ribrezzo, da venti giorni appena aveva fatto abbandono del proprio corpo a
quell'uomo taciturno, che aveva circa vent'anni di piú di lei e su cui pareva
gravasse ora una tristezza piú disperata della sua.
Ricordava ciò che le donne del vicinato
avevano detto alla madre, quando questa aveva loro annunziato la richiesta di
matrimonio.
— Batà? Oh Dio, io per me non lo darei a una
mia figliuola.
La madre aveva creduto lo dicessero per
invidia, perché Batà per la sua condizione era agiato. E tanto piú s'era
ostinata a darglielo, quanto piú quelle con aria afflitta s'erano mostrate
restíe a partecipare alla sua soddisfazione per la buona ventura che toccava
alla figlia. No, in coscienza non si diceva nulla di male di Batà, ma neanche
nulla di bene. Buttato sempre là, in quel suo pezzo di terra lontano, non si
sapeva come vivesse; stava sempre solo, come una bestia in compagnia delle sue
bestie, due mule, un'asina e il cane di guardia; e certo aveva un'aria strana,
truce e a volte da insensato.
C'era stata veramente un'altra
ragione e forse piú forte, per cui la madre s'era ostinata a darle quell'uomo.
Sidora ricordava anche quest'altra ragione che in quel momento le appariva
lontana lontana, come d'un'altra vita, ma pure spiccata, precisa. Vedeva due
fresche labbra argute e vermiglie come due foglie di garofano aprirsi a un
sorriso che le faceva fremere e frizzare tutto il sangue nelle vene. Erano le
labbra di Saro, suo cugino, che nell'amore di lei non aveva saputo trovar la
forza di rinsavire, di liberarsi dalla compagnia dei tristi amici, per togliere
alla madre ogni pretesto d'opporsi alle loro nozze.
Ah, certo, Saro sarebbe stato un pessimo
marito; ma che marito era questo, adesso? Gli affanni, che senza dubbio le
avrebbe dati quell'altro, non eran forse da preferire all'angoscia, al
ribrezzo, alla paura, che le incuteva questo?
Batà, alla fine, si sgruppò; ma appena levato
in piedi, quasi colto da vertigine, fece un mezzo giro su se stesso; le gambe,
come impastojate, gli si piegarono; si sostenne a stento, con le braccia per
aria. Un múgolo quasi di rabbia gli partí dalla gola.
Sidora accorse atterrita; ma egli l'arrestò con un cenno
delle braccia. Un fiotto di saliva, inesauribile, gl'impediva di parlare.
Arrangolando, se lo ricacciava dentro; lottava contro i singulti, con un
gorgoglio orribile nella strozza. E aveva la faccia sbiancata, torbida, terrea;
gli occhi foschi e velati, in cui dietro la follía si scorgeva una paura quasi
infantile, ancora cosciente, infinita. Con le mani seguitava a farle cenno di
attendere e di non spaventarsi e di tenersi discosta. Alla fine, con voce che
non era piú la sua, disse:
— Dentro… chiuditi dentro… bene… Non
ti spaventare… Se batto, se scuoto la porta e la graffio e grido… non ti
spaventare… non aprire… Niente… va'! va'!
— Ma che avete? — gli gridò Sidora,
raccapricciata.
Batà mugolò di nuovo, si scrollò tutto per un
possente sussulto convulsivo, che parve gli moltiplicasse le membra; poi, col
guizzo d'un braccio indicò il cielo, e urlò:
— La luna!
Sidora, nel voltarsi per correre alla roba,
difatti intravide nello spavento la luna in quintadecima, affocata, violacea,
enorme, appena sorta dalle livide alture della Crocca.
Asserragliata dentro, tenendosi stretta come a
impedire che le membra le si staccassero dal tremore continuo, crescente,
invincibile, mugolando anche lei, forsennata dal terrore, udí poco dopo gli
úluli lunghi, fermi, del marito che si scontorceva fuori, là davanti la porta,
in preda al male orrendo che gli veniva dalla luna, e contro la porta batteva
il capo, i piedi, i ginocchi, le mani, e la graffiava, come se le unghie gli
fossero diventate artigli, e sbuffava, quasi nell'esasperazione d'una bestiale
fatica rabbiosa, quasi volesse sconficcarla, schiantarla, quella porta, e ora
latrava, latrava, come se avesse un cane in corpo, e daccapo tornava a
graffiare, sbruffando, ululando, e a battervi il capo, i ginocchi.
— Ajuto! ajuto! — gridava lei, pur sapendo che
nessuno in quel deserto avrebbe udito le sue grida. — Ajuto! ajuto! — e reggeva
la porta con le braccia, per paura che da un momento all'altro, non ostante i
molti puntelli, cedesse alla violenza iterata, feroce, accanita, di quella
cieca furia urlante.
Ah, se avesse potuto ucciderlo! Perduta, si
voltò, quasi a cercare un'arma nella stanza. Ma a traverso la grata d'una
finestra, in alto, nella parete di faccia, di nuovo scorse la luna, ora
limpida, che saliva nel cielo, tutto inondato di placido albore. A quella
vista, come assalita d'improvviso dal contagio del male, cacciò un gran grido e
cadde riversa, priva di sensi.
Quando si riebbe, in prima, nello stordimento,
non comprese perché fosse cosí buttata a terra. I puntelli alla porta le
richiamarono la memoria e subito s'atterrí del silenzio che ora regnava là
fuori. Sorse in piedi; s'accostò vacillante alla porta, e tese l'orecchio.
Nulla, piú nulla.
Stette a lungo in ascolto, oppressa ora di
sgomento per quell'enorme silenzio misterioso, di tutto il mondo. E alla fine
le parve d'udire da presso un sospiro, un gran sospiro, come esalato da
un'angoscia mortale.
Subito corse alla cassa sotto il letto; la
trasse avanti; l'aprí; ne cavò la mantellina di panno; ritornò alla porta; tese
di nuovo a lungo l'orecchio, poi levò a uno a uno in fretta, silenziosamente, i
puntelli, silenziosamente levò il paletto, la stanga; schiuse appena un
battente, guatò attraverso lo spiraglio per terra.
Batà era lí. Giaceva come una bestia morta,
bocconi, tra la bava, nero, tumefatto, le braccia aperte. Il suo cane, acculato
lí presso, gli faceva la guardia, sotto la luna.
Sidora venne fuori rattenendo il fiato;
riaccostò pian piano la porta, fece al cane un cenno rabbioso di non muoversi
di lí, e cauta, a passi di lupo, con la mantellina sotto il braccio, prese la
fuga per la campagna, verso il paese, nella notte ancora alta, tutta soffusa
dal chiarore della luna.
Arrivò al paese, in casa della madre, poco
prima dell'alba. La madre s'era alzata da poco. La catapecchia, buja come un
antro, in fondo a un vicolo angusto, era stenebrata appena da una lumierina a
olio. Sidora parve la ingombrasse tutta, precipitandosi dentro, scompigliata,
affannosa.
Nel veder la figliuola a quell'ora, in quello
stato, la madre levò le grida e fece accorrere con le lumierine a olio in mano
tutte le donne del vicinato. Sidora si mise a piangere forte e, piangendo, si
strappava i capelli, fingeva di non poter parlare per far meglio comprendere e
misurare alla madre, alle vicine, l'enormità del caso che le era occorso, della
paura che s'era presa.
— Il male di luna! il male di luna!
Il terrore superstizioso di quel male oscuro
invase tutte le donne, al racconto di Sidora.
Ah, povera figliuola! Lo avevano detto esse
alla madre, che quell'uomo non era naturale,
che quell'uomo doveva nascondere in sé qualche grossa magagna; che nessuna di
loro lo avrebbe dato alla propria figliuola. Latrava eh? ululava come un lupo?
graffiava la porta?
Gesú, che spavento! E come non era morta,
povera figliuola?
La madre, accasciata su la seggiola, finita,
con le braccia e il capo ciondoloni, nicchiava in un canto:
— Ah figlia mia! ah figlia mia! ah povera
figliuccia mia rovinata!
Sul
tramonto, si presentò nel vicolo, tirandosi dietro per la cavezza le due mule
bardate, Batà, ancora gonfio e livido, avvilito, abbattuto, imbalordito.
Allo scalpiccío delle mule sui ciottoli di
quel vicolo che il sole d'agosto infocava come un forno, e che accecava per gli
sbarbagli della calce, tutte le donne, con gesti e gridi soffocati di spavento,
si ritrassero con le seggiole in fretta nelle loro casupole, e sporsero il capo
dall'uscio a spiare e ad ammiccarsi tra loro.
La
madre di Sidora sulla soglia si parò, fiera e tutta tremante di rabbia, e
cominciò a gridare:
— Andate via, malo cristiano! Avete il
coraggio di ricomparirmi davanti? Via di qua! via di qua! Assassino traditore,
via di qua! Mi avete rovinato una figlia! Via di qua!
E seguitò per un pezzo a sbraitare cosí,
mentre Sidora, rincantucciata dentro, piangeva, scongiurava la madre di
difenderla, di non dargli passo.
Batà ascoltò a capo chino minacce e vituperii.
Gli toccavano: era in colpa; aveva nascosto il suo male. Lo aveva nascosto,
perché nessuna donna se lo sarebbe preso, se egli lo avesse confessato avanti.
Era giusto che ora della sua colpa pagasse la pena.
Teneva gli occhi chiusi e scrollava amaramente
il capo, senza muoversi d'un passo. Allora la suocera gli batté la porta in
faccia e ci mise dietro la stanga. Batà rimase ancora un pezzo, a capo chino,
davanti a quella porta chiusa, poi si voltò e scorse su gli usci delle altre
casupole tanti occhi smarriti e sgomenti, che lo spiavano.
Videro quegli occhi le lagrime sul volto
dell'uomo avvilito, e allora lo sgomento si cangiò in pietà.
Una prima comare piú coraggiosa gli porse una
sedia; le altre, a due, a tre, vennero fuori, e gli si fecero attorno. E Batà,
dopo aver ringraziato con muti cenni del capo, prese adagio adagio a narrar loro
la sua sciagura: che la madre da giovane, andata a spighe, dormendo su un'aja
al sereno, lo aveva tenuto bambino tutta la notte esposto alla luna; e tutta
quella notte, lui povero innocente, con la pancina all'aria, mentre gli occhi
gli vagellavano, ci aveva giocato, con la bella luna, dimenando le gambette, i
braccini. E la luna lo aveva «incantato». L'incanto però gli aveva dormito
dentro per anni e anni, e solo da poco tempo gli s'era risvegliato. Ogni volta
che la luna era in quintadecima, il male lo riprendeva. Ma era un male soltanto
per lui; bastava che gli altri se ne guardassero: e se ne potevano guardar
bene, perché era a periodo fisso ed egli se lo sentiva venire e lo preavvisava;
durava una notte sola, e poi basta. Aveva sperato che la moglie fosse piú
coraggiosa; ma, poiché non era, si poteva far cosí, che, o lei, a ogni fatta di
luna, se ne venisse al paese, dalla madre; o questa andasse giú alla roba, a
tenerle compagnia.
— Chi? mia madre? — saltò a gridare a questo
punto, avvampata d'ira, con occhi feroci, Sidora, spalancando la porta, dietro
alla quale se ne era stata a origliare. — Voi siete pazzo! Volete far morire di
paura anche mia madre?
Questa allora venne fuori anche lei, scostando
con un gomito la figlia e imponendole di star zitta e quieta in casa. Si
accostò al crocchio delle donne, ora divenute tutte pietose, e si mise a
confabular con esse, poi con Batà da sola a solo.
Sidora dalla soglia, stizzita e costernata, seguiva i gesti della madre
e del marito; e, come le parve che questi facesse con molto calore qualche
promessa che la madre accoglieva con evidente piacere, si mise a strillare:
— Gnornò! Scordatevelo! State ad accordarvi
tra voi? È inutile! è inutile! Debbo dirlo io!
Le donne del vicinato le fecero cenni pressanti di star zitta,
d'aspettare che il colloquio terminasse. Alla fine Batà salutò la suocera, le
lasciò in consegna una delle due mule, e, ringraziate le buone vicine,
tirandosi dietro l'altra mula per la cavezza, se ne andò.
— Sta' zitta, sciocca! — disse subito, piano, la madre a Sidora,
rincasando. — Quando farà la luna, verrò giú io, con Saro…
— Con Saro? L'ha detto lui?
— Gliel'ho detto io, sta' zitta! Con Saro.
E, abbassando gli occhi per nascondere il sorriso, finse d'asciugarsi la
bocca sdentata con una cocca del fazzoletto che teneva in capo, annodato sotto
il mento, e aggiunse:
— Abbiamo forse, di uomini, altri che lui nel nostro parentado? È
l'unico che ci possa dare ajuto e conforto. Sta' zitta!
Cosí la mattina appresso, all'alba, Sidora ripartí per la campagna su
quell'altra mula lasciata dal marito.
Non pensò ad altro piú, per tutti i ventinove giorni che corsero fino
alla nuova quintadecima. Vide quella luna d'agosto a mano a mano scemare e
sorgere sempre piú tardi, e col desiderio avrebbe voluto affrettarne le fasi
declinanti; poi per alcune sere non la vide piú; la rivide infine tenera, esile
nel cielo ancora crepuscolare, e a mano a mano, di nuovo crescere sempre piú.
— Non temere, — le diceva, triste, Batà, vedendola con gli occhi sempre
fissi alla luna. — C'è tempo ancora, c'è tempo. Il guajo sarà, quando non avrà
piú le corna…
Sidora, a quelle parole accompagnate da un ambiguo sorriso, si sentiva
gelare e lo guardava sbigottita. Giunse alla fine la sera tanto sospirata e
insieme tanto temuta. La madre arrivò a cavallo col nipote Saro due ore prima
che sorgesse la luna.
Batà se ne stava come l'altra volta aggruppato tutto sull'aja, e non
levò neppure il capo a salutare.
Sidora, che fremeva tutta, fece segno al cugino e alla madre di non
dirgli nulla e li condusse dentro la roba.
La madre andò subito a ficcare il naso in un bugigattolino bujo,
ov'erano ammucchiati vecchi arnesi da lavoro, zappe, falci, bardelle, ceste,
bisacce, accanto alla stanza grande che dava ricetto anche alle bestie.
— Tu sei uomo, — disse a Saro, — e tu sai già com'è, — disse alla
figlia; — io sono vecchia, ho paura piú di tutti, e me ne starò rintanata qua,
zitta zitta e sola sola. Mi chiudo bene, e lui faccia pure il lupo fuori.
Riuscirono tutti e tre all'aperto, e si trattennero un lungo pezzo a
conversare davanti alla roba. Sidora, a mano a mano che l'ombra inchinava su la
campagna, lanciava sguardi vieppiú ardenti e aizzosi. Ma Saro, pur cosí vivace
di solito, brioso e buontempone, si sentiva all'incontro a mano a mano smorire,
rassegare il riso su le labbra, inaridir la lingua. Come se sul murello, su cui
stava seduto, ci fossero spine, si dimenava di continuo e inghiottiva con
stento. E di tratto in tratto allungava di traverso uno sguardo a quell'uomo lí
in attesa dell'assalto del male; allungava anche il collo per vedere se dietro
le alture della Crocca non spuntasse la faccia spaventosa della luna.
— Ancora niente, — diceva alle due donne.
Sidora gli rispondeva con un gesto vivace di noncuranza e seguitava,
ridendo, ad aizzarlo con gli occhi. Di quegli occhi, ormai quasi impudenti,
Saro cominciò a provare orrore e terrore, piú che di quell'uomo là aggruppato,
in attesa.
E fu il primo a spiccare un salto da montone dentro la roba, appena Batà
cacciò il múgolo annunziatore e con la mano accennò ai tre di chiudersi subito
dentro. Ah, con qual furia si diede a metter puntelli e puntelli e puntelli,
mentre la vecchia si rintanava mogia mogia nello sgabuzzino, e Sidora,
irritata, delusa, gli ripeteva, con tono ironico:
— Ma piano, piano… non ti far male… Vedrai che non è niente.
Non era niente? Ah, non era niente? Coi capelli drizzati su la fronte,
ai primi ululi del marito, alle prime testate, alle prime pedate alla porta, ai
primi sbruffi e graffii, Saro, tutto bagnato di sudor freddo, con la schiena
aperta dai brividi, gli occhi sbarrati, tremava a verga a verga. Non era
niente? Signore Iddio! Signore Iddio! Ma come? Era pazza quella donna là?
Mentre il marito, fuori, faceva alla porta quella tempesta, eccola qua, rideva,
seduta sul letto, dimenava le gambe, gli tendeva le braccia, lo chiamava:
— Saro! Saro!
Ah sí? Irato, sdegnato, Saro d'un balzo saltò nel bugigattolo della
vecchia, la ghermí per un braccio, la trasse fuori, la buttò a sedere sul letto
accanto alla figlia.
— Qua, — urlò. — Quest'è matta!
E nel ritrarsi verso la porta, scorse anch'egli dalla grata della
finestrella alta, nella parete di faccia, la luna che, se di là dava tanto male
al marito, di qua pareva ridesse, beata e dispettosa, della mancata vendetta
della moglie.
Luigi Pirandello
Una
lettura della novella su Youtube
L’immagine
di apertura del post è tratta dal film Kaos dei fratelli Taviani – uno degli
episodi del film è dedicato alla novella di Pirandello MALE DI LUNA -
Dal
film Kaos - la canzone di Nicola Piovani
sulla luna, parte della colonna sonora
La PAGINA DEDICATA A LUIGI PIRANDELLO
Post inserito il 04/03/2019
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