Musiche dal campo d’internamento di Ferramonti


26 Aprile 20,30 Lugano

SERATA COLORATA
Quando la Musica trionfa sul Male

progetto Lugano Città Aperta
voce narrrante Peppe Servillo
cantanti Cristina Zavalloni, Giuseppe Naviglio, Eyal Lerner
musicisti Vince Abbracciante, Giuseppe Bassi, Fabrizio Bosso, Seby Burgio, Andrea Campanella,
Daniel Hoffman, Eyal Lerner, Giuseppe Naviglio
con Coro Tomoquarto
regia Fabiano Marti
direzione artistica Michelangelo Busco
ricerca musicale Raffaele Deluca
consulenza storica Carlo Spartaco Capogreco
progetto e testi Viviana Kasam

 Per prenotazioni e biglietti

https://www.luganolac.ch/it/1200/serata-colorata


Nel 2018 ricorre l’80° anniversario della promulgazione delle leggi razziali in Italia, che furono il preludio della persecuzione ebraica in Italia. In concomitanza con questa ricorrenza la fondazione Federica Spitzer con il patrocinio della Città di Lugano organizza alcuni significativi eventi che valorizzano la tradizione di accoglienza del Ticino.
Per commemorare a promuovere il ricordo delle persecuzioni razziali viene proposto  un concerto di musiche composte e suonate a Ferramonti, il più grande dei campi di concentramento istituiti in Italia da Mussolini, dove furono internati musicisti celebri.
 Di questa ricchezza musicale si era quasi persa traccia, finchè gli eredi del compositore austriaco  Kurt Sonnenfeld (1921-1997), internato a Ferramonti nel 1941, si presentarono al Conservatorio di Milano con scatole di documenti, fotografie e spartiti manoscritti. Erano le musiche di Ferramonti, un materiale inedito di cui il musicista e musicologo Raffaele Deluca comprese subito lo straordinario valore storico, e che Viviana Kasam ha trasformato in un travolgente  e struggente spettacolo.


Ferramonti di Tarsia, il più grande campo d’internamento per Ebrei, ha una storia molto particolare e ben differente dai campi di concentramento tedeschi, e fu appositamente costruito dal regime fascista a seguito delle leggi razziali.
 Non vi furono rinchiusi Ebrei italiani, ma Ebrei stranieri provenienti da varie parti dell’Europa.
Nel 1933, all’arrivo del nazismo al potere, vivevano in Germania poco più di mezzo milione di Ebrei, molti dei quali iniziarono a emigrare verso stati ritenuti più sicuri quali la Francia, gli Stati Uniti, la Palestina e il Sud America. Fino al settembre 1941, lo stesso nazismo più che l’internamento sceglie la via dell’emigrazione forzata degli Ebrei fuori dai propri territori. Malgrado l’ideologia fascista avesse al suo interno una chiara matrice antisemita, l’Italia fu protagonista di una più modesta immigrazione ebraica di fatto tollerata dallo stesso fascismo che, al contrario della Germania, permetteva agli Ebrei stranieri la possibilità di integrarsi nella vita professionale, di studiare all’università e di guadagnare i necessari mezzi di sussistenza.  La mancanza poi di un diffuso antisemitismo nella popolazione italiana fa dell’Italia di quegli anni una sorta di “rifugio precario” per gli Ebrei in cerca di salvezza dal nazismo. Tuttavia, le leggi razziali italiane del 1938 cambiano radicalmente l’atteggiamento di sostanziale tolleranza-sopportazione: gli Ebrei italiani, così come era avvenuto nella Prussia di Bismarck, vengono esclusi da ogni diritto civile.
Paradossalmente, d’altro canto, nel successivo 1939 fu promulgato un decreto per cui era concesso il visto turistico a Ebrei stranieri che intendevano recarsi in Italia per affari, cura, studio e imbarco. In breve, dall’avvento del nazismo immigrano in Italia circa 9.000 Ebrei: molti di loro si allontanarono dall’Italia dopo le leggi razziali, ma nel Maggio 1940 circa 4.000 Ebrei stranieri si trovano ancora in Italia. In quel mese, precedente all’entrata in guerra, il fascismo decide di catturare e internare tutti gli Ebrei stranieri che non avevano ottemperato al decreto di espulsione.
Come e dove collocare gli Ebrei stranieri catturati? Le soluzioni furono varie, ma sempre nell’ambito di strutture pre-esistenti e ristrutturate allo scopo. Solo Ferramonti di Tarsia fu una parziale eccezione.
 Ferramonti era un’area paludosa nelle vicinanze del paese di Tarsia, dove era iniziata una bonifica a opera della Ditta di Parrini, l’uomo che entra nel comune di Tarsia per richiedere 4 ettari di terreno in più attorno ai baraccamenti che in precedenza erano stati occupati dagli operai della bonifica.
 Il campo di internamento di Ferramonti di Tarsia inizia così la sua attività nel giugno del 1940 con l’arrivo del primo gruppo di Ebrei stranieri formato da professionisti che risiedevano in Italia già da diversi anni. A questo gruppo iniziale seguiranno numerosi altri gruppi di Ebrei in fuga da varie parti d’Europa e che avevano, più o meno fortunosamente, raggiunto i territori italiani. A Ferramonti arrivarono anche piccoli gruppi di religione non ebraica: un gruppo di Greci, uno di Slavi cattolici e uno di Cinesi. Tutti imprigionati perché considerati cittadini di nazioni in guerra contro l’Italia. La percentuale degli internati non Ebrei rimase tuttavia sempre molto piccola.
Il campo era costituito da 92 baracche situate in un perimetro di circa 16 ettari. Gli internati erano sottoposti all’autorità di un commissario di Polizia alle cui dipendenze vi erano alcuni agenti e un maresciallo di PS.
Nella storia di Ferramonti s’intrecciano quattro elementi chiave: l’atteggiamento tollerante e non fanatico di Paolo Salvatore, il primo e più importante direttore del campo; l’atteggiamento intelligente e collaborativo della comunità ebraica che comprendeva un buon numero di professionisti di alto livello; l’atteggiamento positivo e accogliente degli abitanti di Tarsia e dei contadini dei dintorni; e infine l’opera più pragmatica che spirituale di Callisto Lopinot, un monaco cappuccino inviato nel campo dal Vaticano.
 Paolo Salvatore da una parte adotta un regolamento ferreo e molto restrittivo, ma dall’altra sostanzialmente lo disattende, attento a far sì che quanto realmente avveniva all’interno del campo non trapelasse all’esterno e non lo costringesse a un intervento più coercitivo. Adotta un’intelligente strategia del “lasciar fare” nella misura in cui ciò era pragmaticamente possibile.
 Quello che colpisce nella sua figura è un costante atteggiamento volto a interpretare e poi applicare le norme nella maniera più umana possibile. Salvatore permette la creazione di una scuola e, ancora oggi, tutti quelli che furono i “bambini” di Ferramonti lo ricordano con grande affetto per l’abitudine di portarli in giro con la macchina o la moto di servizio e di offrire un gelato in paese. I nuclei familiari non venivano separati, ma vivevano insieme nella stessa baracca e avevano una propria cucina. Era formalmente proibita la lettura, ma nel campo esisteva una biblioteca con diverse centinaia di libri tenuta da due internati che erano stati bibliotecari e si stampava un giornalino.
 Lo spirito di Paolo Salvatore non potè stare celato e venne fuori quando dovette affrontare e tenere a bada l’unico vero fascista ortodosso e fanatico presente nel campo: il centurione Zei, fiorentino appartenente alla banda Dumini, quella del delitto Matteotti. Lui stesso nel suo diario, e molte testimonianze ebraiche lo confermano, ricorda i litigi e le pubbliche scazzottate con Zei. Fu proprio uno di questi contrasti che alla fine provocò l’allontanamento di Salvatore dal campo, reo di aver difeso un ebreo malmenato da un milite per non essersi fermato all’ammaina bandiera: Salvatore picchiò pubblicamente la camicia nera protagonista del fatto. Questo non gli si poteva perdonare e venne così trasferito nel nord Italia.
  Il campo d’internamento di Ferramonti aveva fra i suoi internati numerosi musicisti, pittori e cantanti già professionalmente affermati che organizzarono nel campo numerose attività culturali: concerti di musica, spettacoli teatrali, gare di composizione e di poesia.
 Dietro ogni sorriso che appare nelle foto c’è sempre l’ombra dell’angoscia e la gente di Ferramonti attraversò momenti davvero drammatici, come quello del passaggio, davanti all’ingresso del campo, dell’armata tedesca in ritirata dalla Sicilia fra la fine dell’agosto 1943 e gli inizi del successivo settembre. In quei momenti, fra i più drammatici del campo, intervengono in maniera determinante gli ultimi due elementi rilevanti nella storia di Ferramonti: la popolazione di Tarsia e Padre Callisto Lopinot. Nei quindici giorni di passaggio dell’armata tedesca davanti al campo questi due elementi diventano fonte reale di salvezza. Sapendo del pericolo, la nuova direzione del Campo e il maresciallo di PS Gaetano Marrari decidono di far scappare tutti gli internati che avevano capacità e gioventù per rimanere nascosti nei boschi circostanti o per essere ospitati nelle case dei contadini tarsiani.
 Mentre l’armata tedesca passava, davanti al cancello di Ferramonti, accanto a una bandiera gialla segno di epidemia, si piazzò Padre Callisto Lopinot: lunga barba bianca, aspetto ieratico, che in perfetto tedesco, sua lingua madre, spiegò ai nazisti che chiedevano cosa fosse quel campo, che si trattava di un semplice campo di profughi sfollati dove imperversava un’epidemia di tifo: se fossero voluti entrare, l’avrebbero fatto a loro rischio! Nessuno entrò a indagare ulteriormente. Nessuno fu mai deportato da Ferramonti: Salvatore con varie scuse declinò sempre le richieste che pervenivano dalla Gestapo attraverso il Ministero degli Interni. Il buon Maresciallo Marrari, Padre Lopinot e gli abitanti di Tarsia salvarono oltre 2000 internati presenti in quel momento.

Le notizie storiche sopra riportate fanno riferimento allo studio di Mario Rende di cui al link per diversi altri importanti dettagli
L’intero studio di Mario Rende “Ferramonti di Tarsia” è stato pubblicato dall’editore Mursia




Altri link  su Ferramonti


Film documentario Ferramonti: il campo sospeso - 2013 - Italia - 60 min. - Regia di Cristian Calabretta.


 Post inserito il  10/04/2018
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