Il 21
Novembre 2017 alle ore 14,00
Nella
Caserma Montelungo di Bergamo Conferenza stampa – per la presentazione al
pubblico dell’opera
La
Battaglia di Legnano
parteciperanno
il Pittore Salvatore Salamone detto Turi (autore dell’opera stessa) e
l’esponente del Comune di Bergamo che si è preso cura del ritrovamento e del
restauro conservativo dell’opera.
Di quest’opera
Arpa eolica si era presa cura affinché non venisse dimenticata nel corso della
ristrutturazione della Caserma e venisse posta in salvo e nel giusto rilievo.
Qui il link che riassume la complicata vicenda
Qui di seguito
due interveti: quello di Diego Giulizia che narra della carriera artistica di
Turi Salamone e descrive i contenuti dell’opera; e quello Giangi Milesi che riassume il contesto
storico per cui nacque l’opera nella
Caserma militare di Bergamo.
LA BATTAGLIA DI LEGNANO DI TURI SALAMONE – di Diego Giulizia
Aveva al suo attivo un diploma di Maestro d’Arte, conseguito all’Istituto d’Arte Statale “F. Juvara” di San Cataldo e un percorso Universitario presso la facoltà di Architettura di Palermo che si concluderà con la Laurea nel 1979, poteva vantare diversi percorsi di ricerca artistica che lo avevano portato alla personale di Palermo presso la galleria “Il trittico”, alla partecipazione a numerose mostre collettive e personali, alla collaborazione con la pagina culturale del Giornale di Sicilia e del L’Ora, nonché all’essere redattore delle riviste artistiche come “Il foglio d’Arte” e “Cartagini”, quando si trasferì per un anno a Bergamo per ottemperare all’obbligo del servizio militare di leva.
Non era di certo un artista alle prime armi quando, dopo avere superato la sua fase figurativa del periodo dei “Fossili del Novecento”, che lo avevano portato a realizzare i dipinti murali della casa di Apolloni a Palermo, e avere intrapreso la sua ricerca concettuale, che lo aveva portato al percorso artistico dell’Uomo Pacco, con cui partecipò alla mostra del Museo Diocesano di Palermo, esponendo “Liberazione” e alla VIII mostra d’arte figurativa dei militari del 3° corpo d’armata e presidio militare di Milano, ritornò alla pura figuratività per assecondare la richiesta del comandante del battaglione della caserma Montelungo di Bergamo che lo aveva invitato a dipingere, sulle pareti della caserma, ove stava facendo il servizio militare, la Battaglia di Legnano.
La guerra per Salamone non era più, come lo era stato per gli uomini del passato, la misura della gloria, il contesto ove misurare il valore dell’uomo, l’occasione per manifestare il proprio coraggio, l’unico ambito ove potere perdere onorevolmente la propria vita. Per lui, profondo pacifista e nemico dichiarato della vita militare, la guerra era un mattatoio, una carneficina di vite umane perse senza un valido motivo, giustificata solo dalla bramosia di potere, dal delirio di onnipotenza e di conquista di qualche capo di stato o di una classe politica che deve garantire e proteggere i propri interessi.
Ma la guerra, nel bene e nel male, aveva ispirato tantissimi artisti del passato che ci hanno lasciato immensi tesori pittorici dal valore inestimabile. La Battaglia di Legnano che doveva rappresentare sui muri della caserma evocava la “Battaglia di Anghiari” di Leonardo da Vinci e la “Battaglia di Cascina” di Michelangelo Buonarroti, con cui i due giganti dovevano decorare l’allora Sala del Gran Consiglio, attuale salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Evocava le tre versione della “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello, quella degli Uffizi di Firenze, del Louvre di Parigi e della National Gallery di Londra. Evocava la “Battaglia di Costantino e Massenzio” e la “Battaglia di Eraclio e Crosroè” che Piero aveva dipinto nella Cappella Maggiore della Basilica di San Francesco ad Arezzo.
Ma evocava pure il suo conterraneo “Trionfo della Morte” del Palazzo Sclafani, quel grande affresco staccato adesso conservato nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo, così come ricordava la “Fucilazione in Campagna” del grande artista siciliano Guttuso, conservata alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma e i cadaveri della mafia il cui sangue ha irrorato e irrora le campagne siciliane.
I suoi riferimenti alla storia dell’arte e la sua grande cultura artistica affioravano ad ogni pennellata e tra le piastrelle della macelleria, che si intravedono dai lembi strappati del suo manifesto da film, con chiare citazioni a “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pierpaolo Pasolini, ritroviamo i riferimenti a Caravaggio, al suo “Riposo durante la fuga in Egitto” e con alla sua “Testa di Medusa”, scorgiamo Alberto da Giussano sull’altare del Carroccio, il ritratto di Che Guevara e un Federico Barbarossa che cerca di salvarsi nascondendosi tra i cadaveri dei soldati morti in battaglia. E, come Caravaggio firmava le sue opere ritraendosi in un angolo buio delle sue tele, anche Salamone si ritrae come un cavaliere a cavallo con tanto di spada e di cotta metallica.
Nell’opera dell’allora giovane maestro nisseno “La battaglia di Legnano” non è la battaglia combattuta tra l’esercito imperiale di Federico Barbarossa e le truppe della Lega Lombarda, costituita dai comuni dell’Italia Settentrionale che, guidati simbolicamente da papa Alessandro III, decisero di mettere da parte le proprie rivalità per contrastare la pretesa egemonia dell’imperatore sulla penisola italica.
Essa è la battaglia combattuta dalla civiltà sulla barbarie, dal desiderio di vivere in un mondo pacifico, non più popolato da vittime della guerra e delle mafie, non più guidato da classi politiche o da capi di governo che antepongono gli interessi di parte al desiderio di pace e libertà della gente comune.
La storia racconta che la sconfitta dell’imperatore, da parte della Lega Lombarda, cambiò anche la maniera di porsi da parte dell’imperatore nei confronti dei liberi comuni italiani, in quanto questi rinunciò alle sue pretese e scese ad approcci più diplomatici che portarono in seguito alla pace di Costanza.
Il messaggio di quest’opera, scritto sapientemente da Salamone in quel linguaggio visivo, che lo ha portato, in seguito, con le “Installazioni” e “Terre Crude”, ad essere uno dei più significativi testimoni della ricerca artistica contemporanea, si trova scritto anche con linguaggio verbale, che tutti possono vedere e leggere in basso a destra, ove l’autore pone l’accento sulla sorte dell’imperatore e sull’umiliazione, che questi subì in quella battaglia, che lo portarono a più miti consigli, accettando di fatto che l’anelito cosciente di libertà di un popolo è più grande e più motivante di qualsiasi pretesa di supremazia.
Quello che più emerge dal dipinto, per contrasto e denunzia, al di là della cultura e della sapienza artistica del giovane artista, è la coscienza della raggiunta libertà dei giovani comuni che diede loro la forza per contrastare l’inciviltà e il sopruso, il tentativo di soggiogare le popolazioni con la forza e il desiderio e la volontà di proteggere quella libertà raggiunta e conseguita anche a costo di mettere a repentaglio la vita dei propri cittadini
Diego Gulizia
Aveva al suo attivo un diploma di Maestro d’Arte, conseguito all’Istituto d’Arte Statale “F. Juvara” di San Cataldo e un percorso Universitario presso la facoltà di Architettura di Palermo che si concluderà con la Laurea nel 1979, poteva vantare diversi percorsi di ricerca artistica che lo avevano portato alla personale di Palermo presso la galleria “Il trittico”, alla partecipazione a numerose mostre collettive e personali, alla collaborazione con la pagina culturale del Giornale di Sicilia e del L’Ora, nonché all’essere redattore delle riviste artistiche come “Il foglio d’Arte” e “Cartagini”, quando si trasferì per un anno a Bergamo per ottemperare all’obbligo del servizio militare di leva.
Non era di certo un artista alle prime armi quando, dopo avere superato la sua fase figurativa del periodo dei “Fossili del Novecento”, che lo avevano portato a realizzare i dipinti murali della casa di Apolloni a Palermo, e avere intrapreso la sua ricerca concettuale, che lo aveva portato al percorso artistico dell’Uomo Pacco, con cui partecipò alla mostra del Museo Diocesano di Palermo, esponendo “Liberazione” e alla VIII mostra d’arte figurativa dei militari del 3° corpo d’armata e presidio militare di Milano, ritornò alla pura figuratività per assecondare la richiesta del comandante del battaglione della caserma Montelungo di Bergamo che lo aveva invitato a dipingere, sulle pareti della caserma, ove stava facendo il servizio militare, la Battaglia di Legnano.
La guerra per Salamone non era più, come lo era stato per gli uomini del passato, la misura della gloria, il contesto ove misurare il valore dell’uomo, l’occasione per manifestare il proprio coraggio, l’unico ambito ove potere perdere onorevolmente la propria vita. Per lui, profondo pacifista e nemico dichiarato della vita militare, la guerra era un mattatoio, una carneficina di vite umane perse senza un valido motivo, giustificata solo dalla bramosia di potere, dal delirio di onnipotenza e di conquista di qualche capo di stato o di una classe politica che deve garantire e proteggere i propri interessi.
Ma la guerra, nel bene e nel male, aveva ispirato tantissimi artisti del passato che ci hanno lasciato immensi tesori pittorici dal valore inestimabile. La Battaglia di Legnano che doveva rappresentare sui muri della caserma evocava la “Battaglia di Anghiari” di Leonardo da Vinci e la “Battaglia di Cascina” di Michelangelo Buonarroti, con cui i due giganti dovevano decorare l’allora Sala del Gran Consiglio, attuale salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Evocava le tre versione della “Battaglia di San Romano” di Paolo Uccello, quella degli Uffizi di Firenze, del Louvre di Parigi e della National Gallery di Londra. Evocava la “Battaglia di Costantino e Massenzio” e la “Battaglia di Eraclio e Crosroè” che Piero aveva dipinto nella Cappella Maggiore della Basilica di San Francesco ad Arezzo.
Ma evocava pure il suo conterraneo “Trionfo della Morte” del Palazzo Sclafani, quel grande affresco staccato adesso conservato nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo, così come ricordava la “Fucilazione in Campagna” del grande artista siciliano Guttuso, conservata alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma e i cadaveri della mafia il cui sangue ha irrorato e irrora le campagne siciliane.
I suoi riferimenti alla storia dell’arte e la sua grande cultura artistica affioravano ad ogni pennellata e tra le piastrelle della macelleria, che si intravedono dai lembi strappati del suo manifesto da film, con chiare citazioni a “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pierpaolo Pasolini, ritroviamo i riferimenti a Caravaggio, al suo “Riposo durante la fuga in Egitto” e con alla sua “Testa di Medusa”, scorgiamo Alberto da Giussano sull’altare del Carroccio, il ritratto di Che Guevara e un Federico Barbarossa che cerca di salvarsi nascondendosi tra i cadaveri dei soldati morti in battaglia. E, come Caravaggio firmava le sue opere ritraendosi in un angolo buio delle sue tele, anche Salamone si ritrae come un cavaliere a cavallo con tanto di spada e di cotta metallica.
Nell’opera dell’allora giovane maestro nisseno “La battaglia di Legnano” non è la battaglia combattuta tra l’esercito imperiale di Federico Barbarossa e le truppe della Lega Lombarda, costituita dai comuni dell’Italia Settentrionale che, guidati simbolicamente da papa Alessandro III, decisero di mettere da parte le proprie rivalità per contrastare la pretesa egemonia dell’imperatore sulla penisola italica.
Essa è la battaglia combattuta dalla civiltà sulla barbarie, dal desiderio di vivere in un mondo pacifico, non più popolato da vittime della guerra e delle mafie, non più guidato da classi politiche o da capi di governo che antepongono gli interessi di parte al desiderio di pace e libertà della gente comune.
La storia racconta che la sconfitta dell’imperatore, da parte della Lega Lombarda, cambiò anche la maniera di porsi da parte dell’imperatore nei confronti dei liberi comuni italiani, in quanto questi rinunciò alle sue pretese e scese ad approcci più diplomatici che portarono in seguito alla pace di Costanza.
Il messaggio di quest’opera, scritto sapientemente da Salamone in quel linguaggio visivo, che lo ha portato, in seguito, con le “Installazioni” e “Terre Crude”, ad essere uno dei più significativi testimoni della ricerca artistica contemporanea, si trova scritto anche con linguaggio verbale, che tutti possono vedere e leggere in basso a destra, ove l’autore pone l’accento sulla sorte dell’imperatore e sull’umiliazione, che questi subì in quella battaglia, che lo portarono a più miti consigli, accettando di fatto che l’anelito cosciente di libertà di un popolo è più grande e più motivante di qualsiasi pretesa di supremazia.
Quello che più emerge dal dipinto, per contrasto e denunzia, al di là della cultura e della sapienza artistica del giovane artista, è la coscienza della raggiunta libertà dei giovani comuni che diede loro la forza per contrastare l’inciviltà e il sopruso, il tentativo di soggiogare le popolazioni con la forza e il desiderio e la volontà di proteggere quella libertà raggiunta e conseguita anche a costo di mettere a repentaglio la vita dei propri cittadini
Diego Gulizia
SALVATE
IL SOLDATO SALAMONE – di Giangi Milesi
Quando suona l’adunata ci aspettiamo che i militari si muovano alla perfezione, in modo sincronizzato come robot, tutti esteticamente, rigorosamente uguali. Non così Salvatore Salamone nel 1979, quando svolgeva il servizio di leva alla caserma Montelungo di Bergamo. Lui arrivava in ritardo col plotone già schierato, si muoveva stancamente; soprattutto portava i capelli lunghi e la sua divisa… era sporca! Vistosamente sporca. Il suo Tenente cicciottello si gonfiava ancora di più e rosso in viso…non diceva niente.
Io venivo da una caserma “punitiva” della Folgore, dove l’adunata la facevamo con le lance e ogni più piccolo disallineamento saltava facilmente all’occhio (e vai di punizioni). Quando da “ammogliato” ottenni l’ “avvicinamento” a Bergamo e mi imboscai in Maggiorità (a differenza dei Proletari in Divisa che si mescolavano alla truppa, noi Militari Democratici puntavamo a lavorare nell’ufficio più potente della caserma) uno dei miei primi obiettivi fu capire chi fosse il fante Salamone da Caltanissetta.
Nonostante la sua frequentazione con le alte sfere del Battaglione e addirittura della Brigata, ne dedussi un quadro non troppo lusinghiero per Salvatore: “non è un raccomandato, ma è uno che ci sa fare e ha venduto la sua arte per imboscarsi”. “Imboscarsi” significava evitare le noiosissime guardie, i lavori gravosi, le rotture di palle (il servizio di leva era una vera e propria scuola di fancazzismo). Il nome della Brigata con sede a Bergamo era Legano e a quella battaglia si sarebbe ispirato il grande dipinto di Salamone (4,5 m. di base) all’ingresso dei visitatori della caserma Montelungo. Ovviamente l’opera imponeva un impegno a tempo pieno del pittore e un esonero permanete da ogni altro incarico.
Ma Salvatore Salamone non sfruttava a pieno i suoi privilegi perché il suo animo anarchico gli impediva qualsiasi mediazione con la vita militare. Avrebbe potuto chiedere di tutto: banalmente le tute di ricambio; lui invece si distingueva con la sua divisa “sporca” di tanti colori. Insomma ci ritrovammo alle riunioni di “Deve cambiare – militare è tuo diritto leggere questo giornale”, il giornalino clandestino dal titolo programmatico a cui diedi vita con l’appoggio del Partito Socialista e dell’Arci che avevano sede a pochi passi dalla caserma. Ma anche nella contestazione della regola militare (obbedir tacendo), Salvatore restava anarcoide e il suo impegno "di lotta" incostante. In caserma io godevo di una completa libertà di movimento e potevo fare visita al cantiere della grande opera pittorica. In una di queste visite, per ricordare a Salvatore uno dei nostri appuntamenti clandestini, mi ritrovai davanti un’immagine familiare.
Un’immagine che mi procurava un cortocircuito: cosa ci facevano le vittime della polizia (i morti del nostro ’68) nella Battaglia di Legnano del 1176? Superato lo shock, chiesi eufemisticamente a Salvatore: “ma li stai prendendo in giro tutti?” Lui mi sorrise e mi abbracciò: “finalmente qualcuno se ne accorge.” Cosa Salvatore Salamone stava dipingendo potete leggerlo nella recensione di Diego Gulizia qui di seguito. Io non so raccontarlo così bene, ma in quel momento compresi che il vero contestatore della guerra era lui.
Perciò chiesi a Salvatore di descrivere il suo lavoro in una lettera che avremmo pubblicato sul giornalino dopo il suo congedo. E così facemmo in un’edizione distribuita proprio durante la cerimonia d’inaugurazione dell’opera, nei primi mesi del 1980, in una giornata di apertura delle caserme al pubblico (forse il 2 Giugno?). Così le autorità presenti scoprirono che il vero nome dell’opera, come Salvatore l’ha battezzata è “La battaglia di Legnano ovvero il trionfo della morte”…
Di quest’ultima goliardata non sono particolarmente orgoglioso perché sarà finita sul libro nero di Franco Gherardi, all’epoca comandate della Montelungo. Lui fra tutti era l’unico militare vero, ma anche l’unico ufficiale che avrebbe voluto tanto quanto noi cambiare il servizio di leva. Con Salvatore abbiamo convenuto che l’allora “Colonnello tsg” Gherardi era anche l’unico che per cultura e intelligenza non poteva che essere consapevole del significato pacifista del dipinto.
Per tutti questi motivi La battaglia di Legnano è un’eredità da salvare. Quando ho letto su L’Eco di Bergamo che era sparita, mi sono messo a disposizione di Salvatore con l’obiettivo di farlo tornare a Bergamo per inaugurare una seconda volta “il trionfo della morte” nel nuovo campus universitario che sta sorgendo dove c'era la caserma.
Bentrovato caro Turi.
Giangi Milesi - 15.4.17
Quando suona l’adunata ci aspettiamo che i militari si muovano alla perfezione, in modo sincronizzato come robot, tutti esteticamente, rigorosamente uguali. Non così Salvatore Salamone nel 1979, quando svolgeva il servizio di leva alla caserma Montelungo di Bergamo. Lui arrivava in ritardo col plotone già schierato, si muoveva stancamente; soprattutto portava i capelli lunghi e la sua divisa… era sporca! Vistosamente sporca. Il suo Tenente cicciottello si gonfiava ancora di più e rosso in viso…non diceva niente.
Io venivo da una caserma “punitiva” della Folgore, dove l’adunata la facevamo con le lance e ogni più piccolo disallineamento saltava facilmente all’occhio (e vai di punizioni). Quando da “ammogliato” ottenni l’ “avvicinamento” a Bergamo e mi imboscai in Maggiorità (a differenza dei Proletari in Divisa che si mescolavano alla truppa, noi Militari Democratici puntavamo a lavorare nell’ufficio più potente della caserma) uno dei miei primi obiettivi fu capire chi fosse il fante Salamone da Caltanissetta.
Nonostante la sua frequentazione con le alte sfere del Battaglione e addirittura della Brigata, ne dedussi un quadro non troppo lusinghiero per Salvatore: “non è un raccomandato, ma è uno che ci sa fare e ha venduto la sua arte per imboscarsi”. “Imboscarsi” significava evitare le noiosissime guardie, i lavori gravosi, le rotture di palle (il servizio di leva era una vera e propria scuola di fancazzismo). Il nome della Brigata con sede a Bergamo era Legano e a quella battaglia si sarebbe ispirato il grande dipinto di Salamone (4,5 m. di base) all’ingresso dei visitatori della caserma Montelungo. Ovviamente l’opera imponeva un impegno a tempo pieno del pittore e un esonero permanete da ogni altro incarico.
Ma Salvatore Salamone non sfruttava a pieno i suoi privilegi perché il suo animo anarchico gli impediva qualsiasi mediazione con la vita militare. Avrebbe potuto chiedere di tutto: banalmente le tute di ricambio; lui invece si distingueva con la sua divisa “sporca” di tanti colori. Insomma ci ritrovammo alle riunioni di “Deve cambiare – militare è tuo diritto leggere questo giornale”, il giornalino clandestino dal titolo programmatico a cui diedi vita con l’appoggio del Partito Socialista e dell’Arci che avevano sede a pochi passi dalla caserma. Ma anche nella contestazione della regola militare (obbedir tacendo), Salvatore restava anarcoide e il suo impegno "di lotta" incostante. In caserma io godevo di una completa libertà di movimento e potevo fare visita al cantiere della grande opera pittorica. In una di queste visite, per ricordare a Salvatore uno dei nostri appuntamenti clandestini, mi ritrovai davanti un’immagine familiare.
Un’immagine che mi procurava un cortocircuito: cosa ci facevano le vittime della polizia (i morti del nostro ’68) nella Battaglia di Legnano del 1176? Superato lo shock, chiesi eufemisticamente a Salvatore: “ma li stai prendendo in giro tutti?” Lui mi sorrise e mi abbracciò: “finalmente qualcuno se ne accorge.” Cosa Salvatore Salamone stava dipingendo potete leggerlo nella recensione di Diego Gulizia qui di seguito. Io non so raccontarlo così bene, ma in quel momento compresi che il vero contestatore della guerra era lui.
Perciò chiesi a Salvatore di descrivere il suo lavoro in una lettera che avremmo pubblicato sul giornalino dopo il suo congedo. E così facemmo in un’edizione distribuita proprio durante la cerimonia d’inaugurazione dell’opera, nei primi mesi del 1980, in una giornata di apertura delle caserme al pubblico (forse il 2 Giugno?). Così le autorità presenti scoprirono che il vero nome dell’opera, come Salvatore l’ha battezzata è “La battaglia di Legnano ovvero il trionfo della morte”…
Di quest’ultima goliardata non sono particolarmente orgoglioso perché sarà finita sul libro nero di Franco Gherardi, all’epoca comandate della Montelungo. Lui fra tutti era l’unico militare vero, ma anche l’unico ufficiale che avrebbe voluto tanto quanto noi cambiare il servizio di leva. Con Salvatore abbiamo convenuto che l’allora “Colonnello tsg” Gherardi era anche l’unico che per cultura e intelligenza non poteva che essere consapevole del significato pacifista del dipinto.
Per tutti questi motivi La battaglia di Legnano è un’eredità da salvare. Quando ho letto su L’Eco di Bergamo che era sparita, mi sono messo a disposizione di Salvatore con l’obiettivo di farlo tornare a Bergamo per inaugurare una seconda volta “il trionfo della morte” nel nuovo campus universitario che sta sorgendo dove c'era la caserma.
Bentrovato caro Turi.
Giangi Milesi - 15.4.17
La pagina di Arpa eolica dedicata a Salvatore Salamone detto Turi
Post inserito il 20/11/2017
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