Nel marzo del 1968 Franco Basaglia pubblicò “L'istituzione negata. Rapporto da un
ospedale psichiatrico” (editore Einaudi 1968), dove raccontava al grande pubblico
l'esperienza dell'ospedale psichiatrico di Gorizia . L’opera ebbe un
impatto straordinario: otto edizioni di cui due nel corso del ‘68, sessantamila
copie vendute in Italia di cui cinquantamila dal '68 al '72, premio Viareggio
per la saggistica, rapidamente tradotto in francese, tedesco, olandese,
finlandese.
Avevano finalmente un riconoscimento internazionale la sua riflessione sociopolitica sulla trasformazione dell'ospedale psichiatrico e le sue esperienze di rinnovamento nel trattamento della follia, di cui aveva già parlato nel suo libro “Che cos'è la psichiatria?” del 1967.
Avevano finalmente un riconoscimento internazionale la sua riflessione sociopolitica sulla trasformazione dell'ospedale psichiatrico e le sue esperienze di rinnovamento nel trattamento della follia, di cui aveva già parlato nel suo libro “Che cos'è la psichiatria?” del 1967.
La grande lotta di Franco Basaglia fu un «no» totale per uscire
dal circolo vizioso dell’emarginazione del malato mentale, spalancò le porte
sull’istituzione violenta dei manicomi. Voleva rendere giustizia a malati
dimenticati dalla società, quelli di cui la società si vergognava persino di
mostrare come malati.
La lotta di Basaglia divenne uno dei grandi temi del ’68.
«Noi neghiamo
dialetticamente il nostro mandato sociale che ci richiederebbe di considerare
il malato come un non-uomo e, negandolo, neghiamo il malato come non-uomo.
Noi neghiamo la disumanizzazione del malato come risultato ultimo della malattia, imputandone il livello di distruzione alle violenze dell’asilo, dell’istituto, delle sue mortificazioni e imposizioni; che ci rimandano poi alla violenza, alla prevaricazione, alle mortificazioni su cui si fonda il nostro sistema sociale.
La depsichiatrizzazione è un po’ il nostro leit-motiv. È il tentativo di mettere fra parentesi ogni schema, per agire in un terreno non ancora codificato e definito. Per incominciare non si può che negare tutto quello che è attorno a noi: la malattia, il nostro mandato sociale, il ruolo. Neghiamo cioè tutto ciò che può dare una connotazione già definita al nostro operato. Nel momento in cui neghiamo il nostro mandato sociale, noi neghiamo il malato come malato irrecuperabile e quindi il nostro ruolo di semplici carcerieri, tutori della tranquillità della società…»
Noi neghiamo la disumanizzazione del malato come risultato ultimo della malattia, imputandone il livello di distruzione alle violenze dell’asilo, dell’istituto, delle sue mortificazioni e imposizioni; che ci rimandano poi alla violenza, alla prevaricazione, alle mortificazioni su cui si fonda il nostro sistema sociale.
La depsichiatrizzazione è un po’ il nostro leit-motiv. È il tentativo di mettere fra parentesi ogni schema, per agire in un terreno non ancora codificato e definito. Per incominciare non si può che negare tutto quello che è attorno a noi: la malattia, il nostro mandato sociale, il ruolo. Neghiamo cioè tutto ciò che può dare una connotazione già definita al nostro operato. Nel momento in cui neghiamo il nostro mandato sociale, noi neghiamo il malato come malato irrecuperabile e quindi il nostro ruolo di semplici carcerieri, tutori della tranquillità della società…»
Negli anni successivi la lotta di Basaglia si
potè concretizzare nella cosiddetta Legge Basaglia (n. 180/1978) che introdusse
un'importante revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici italiani
e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti sul territorio.
Di medici come Franco Basaglia ne occorrerebbero tanti anche oggi,
perché anche oggi la follia viene considerata spesso, in termini di spesa
sanitaria, come l’ultima delle malattie.
http://arbeit.psychiatrische-landschaften.net/wp-content/uploads/2011/10/mani_68_1968_01_gennaio.pdf
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inserito il 15/12/2018
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