DANCALIA – poesia
di Melo La Licata
di Melo La Licata
dalla sua raccolta
I
RECINTI DELL’INDIFFERENZA
Arpa eolica ringrazia
l’autore per
Le immagini, (tranne la prima che è una foto della
Regione di Dancalia) inserite da Arpa eolica a corredo di questa lunga e drammatica poesia, sono del pittore Antonio Pilato che ha dedicato tanta parte
della sua produzione pittorica al viaggio tragico dei migranti.
DANCALIA
C’è una donna
che viene da Dancalia.
Lei che ha i piedi
frustati dal sale della grande depressione crostata,
gli occhi
fiaccati dai colori bellissimi e mortali dei sali minerali,
dai bianchi,
dai rosa, di ruggine ferrosa;
la sua pelle è
lucida pietra di Lavagna
su strati di
assottigliate carni
sugli zigomi
sbalzati che incastonano
gli occhi di
Saba... anche ora regali e orgogliosi.
Nella
depressione che è bassa sull’orizzonte
c’è una
tenebra che arriva precoce,
che allungando
le ore di buio protrae le ore di vita
così la
donna... ha deposto i fagotti...
ha
raccolto sterpaglie sitibonde, rotolanti rose di Gerico
ed ha acceso
un falò.
Ha chicchi di
mirra e grani d’incenso
che brucia
ogni sera per ingraziarsi una promessa di vita...
di cosa avrà
paura questa donna, ancora?
Nel buio...
sotto la tenue luce di luna assottigliata... le dune,
parlano,
spinte dal trasparente Simun
il loro
bruire... il gorgogliante movimento dei tondi granelli
che si
scavalcano e si rincorrono
le dicono del
siconio dai frutti succosi nel cortile di casa,
quando la
madre ne intrecciava le vaste foglie sui capelli,
e preparava il
rito che sospendendo l’infanzia non la rendeva donna.
Lei ha un
fagotto tra le mani
che sgambetta
(ogni volta
che ne scosta il tessuto dal viso)
per mostrare
uno stanco, fiducioso sorriso.
Lo porta al
seno che è smunto e crespo, che tiene tra le dita
come corame
avvizzito e lo dondola
(mentre i
riflessi del fuoco le ramano gli occhi,
gli echi della
notte... anonimi o ferali effondono un ansia)
lo dondola con
una nenia che allontana paure presenti e ancestrali.
Percorrerà la
steppa abitata da iene,
supererà il
deserto degli scorpioni,
raggiungerà il
mare liquido che li divide dal mondo civile;
quello
delle barche della speranza che dondolano bonarie nel porto,
che quando
salpano diffondono un fiducioso vociare
che somiglia a
quel canto feerico che si udiva intonare nelle saghe
che invece se
state, in silenzio, a sentire... lo sta già per cantare il mare...
Ma c’è
qualcosa sul viso dei rais che non lascia sperare,
si aggira con
un dubbio... certamente oramai dovrà salpare.
Un vecchio
dalle mani dendritiche ripara una nassa,
tra le case
ordinate sulla linea di costa...
una giovane
donna, lo guarda e pare rimpianga un piacere negato.
La casa è
serena, il sole la sta baciando dischiudendo penombre,
il vento la
sta carezzando esalando tra veli di tende,
la giovane
donna ha intonato una canto che libera commozione.
La Dancala
prese il fagotto immobile nel sonno,
scostò il
drappo per deporvi un sorriso e lo adagiò sull’uscio
come la
volucella lasciò il figlio in un nido sicuro.
Ora si parte!
ha mescolato
cenere nel cavo della mano,
con l’indice
come pestello... col medio come pennello,
ha fabbricato
un bistro che sbalzi i suoi occhi e ne mostri
l’orgoglio, il
tormento, il coraggio, il dolore, la costanza, l’incertezza,
la passione, la fede.
la passione, la fede.
È tutto chiuso
in lei,
nel recesso
dell’anima... sancta sanctorum, penetrale inviolabile,
quella forza
che la fa andare avanti
fine a se
stessa o indotta da un dio il cui scopo ci rimane celato.
Si è preparata
al viaggio come per la festa.
In fila sono
entrate nel legno dondolante e malfermo,
appallottolate,
si son disposte nell’ordine d’ingresso
come collana
di perle nere deposta nello scrigno.
Ha percorso la
steppa abitata da iene
ha superato il
deserto degli scorpioni
ha raggiunto
il mare liquido esiziale che la divide dal mondo civile;
quello delle
maleolenti barche della speranza
che dondolano
bonarie nel porto
che quando
salpano diffondono un fiducioso vociare
che non
somiglia a quel canto trenetico che si dovrebbe intonare
che invece se
state, in silenzio, a sentire... lo sta già per cantare il mare...
Era stata
educata a non provare piacere, era stata preparata,
era stata
ricucita con pochi punti per quello, quasi un rattoppo
all’opera di Dio,
all’opera di Dio,
per essere
lustra profonda, umida e indifferente.
Quando i
maschi violenti avranno fiutato l’usta
offrirà il
corpo, per sfuggire danni maggiori.
Puniceo, il
cavo orale, si aprirà in un grido oramai privato dal suono
che la pratica
violenta ha reso vano
resta il
gesto del gridare perché l’aiuta a trarre un respiro.
Non le pareva
importante maledire.
I rais han
pestato un ragazzo, lo hanno filato in mare.
Adorna di un
sorriso vizzo, hanno estratto una donna dalla stiva,
come una baga
umana, con i rumori umidi del molle intestino,
in un osceno
odore di tediosa loffa;
l’hanno
versata nel mare che l’ha presa.
Ancora, la
Dancala, aveva un bistro che nero, grondava dalla palpebra,
quasi una
lacrima vestita per il lutto,
mentre
osservava ogni speranza frangersi
quando il
mare, con un colpo di reni, spegnendo la calca e
le grida disumane
le grida disumane
si riprendeva
tutto in un gorgoglio e ristendeva un tappeto azzurro e liquido
cosparso di
briciole ed avvilenti resti
al modo degli
avanzi di una festa.
Non c’è
stupore nella morte, il mare ha cancellato tutto.
La notizia ci
è giunta col tramezzino dell’ora di pranzo,
come può
stupirci la morte?
abbiamo visto
rose di Gerico che pure hanno corso cent’anni,
per fiorire
alla prima pioggia,
e poi, per una
strana sorte, finire quella corsa in un falò?
Col tramezzino
è arrivata la birra... non è gelata!
devo chiamare
il cameriere che non si accorge di me.
La natura ha
dato e sempre quella si è ripresa tutto...
forse per un
disgusto di come vanno le cose?
e poi...
il mare cancella ogni traccia.
Sono Uomini
Giusti, costretti in prima linea,
che osservano
il mare,
timorosi di
vedere un barcone traversare,
di braccia
alzate, di grida, di odori, di visi scarniti dal dolore,
di racconti,
di denunce, di dispersi, di giacimenti di corpi asfissiati;
provvedono al sudario
con un gesto di pace.
Gli Eroi, come
gli eroi giacciono;
quelli che
tracciano le rotte per le vie nuove ad un destino migliore
con vistose
scie di dolore.
Gli ignavi
attendono al loro tramezzino litigando per una birra gelata.
Gli eroi, come
gli eroi giacciono senza nome
affollano
sacrari anonimi circondati da prati di trifoglio
punteggiati da
lapidi marmoree crociate
visitate da
pochi curiosi che provano a contarle
tra bizzarria
e sgomento
che provano a
capirne il senso, di quelle morti
delle urla e
dei pianti soffocati dal frastuono della battaglia
ora che si è
fatta calma e ci si prova a pensare
torna evidente
come l’eroe sia il prodotto della nostra ipocrisia
Gli eroi, come
gli eroi giacciono senza nome
affollano
fondali sabbiosi circondati da prati di posidonie
ricordati da
barconi colorati ammassati su un lembo di rena
visitate da
pochi curiosi che provano a contarle
tra bizzarria
e sgomento
che provano a
capirne il senso, di quelle morti
delle urla e
dei pianti soffocati dal frastuono del mare
ora che quello
si è disteso e ci si prova a pensare
torna evidente
come l’eroe sia il prodotto della nostra pazzia
mentre invece
se state, in silenzio, a sentire...
tutto questo
lo sta già per narrare il mare...
Melo La Licata
La sua pagina
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un altro
intervento di Melo La Licata su Arpa eolica
Immagini di pittura di
Antonio Pilato
La pagina face book di
Antonio Pilato
La regione di
Dancalia
La prima immagine è tratta da https://www.spazidavventura.com/altri-spazi-d-africa/etiopia/149-dancalia-terra-degli-afar
Post
inserito il 30/10/2018
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Una bellissima lirica, non solo per il tema. Scrive molto bene Melo.
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