La matassa di spago - 3° puntata


La matassa di spago

Romanzo breve – inedito di Francesco Zaffuto

Copyright  © Francesco Zaffuto


3° puntata

Il giorno dopo, c’è sempre un giorno dopo se il racconto non si interrompe, avevo chiaro l’ordine delle priorità: caffè doppio, sigaretta, andare in bagno, vestirmi, e poi via subito sul lungo Tevere.
 Il lato del fiume dove  il Mazzetti si rifugiava lo conoscevo bene, lì costruiva la sua scatola di cartone per affrontare la notte e poi il giorno la smontava, ripiegava con  pazienza i cartoni e li  legava con diversi giri di fil di spago.
  “E’ meglio che la mia casa non si veda durante il giorno, la chiudo e la lego tutta. In questo modo se passa uno di quei tuoi colleghi, che si chiamano Vigili, non gli viene in mente di scendere e venirmi a contestare l’occupazione di suolo pubblico. Gli uomini hanno costruito le loro abitazioni in grotte, poi in capanne, case, grattacieli. Poi Dio, direttamente intervenne ed ispirò un inventore dicendogli: devi inventare il cartone, lo devi fare ben solido e leggero,  perché serve agli uomini pacco che si spostano nel mondo. Io sono un uomo pacco e da diversi anni.”
  Il posto era quello, non c’erano dubbi, ma il Mazzetti non c’era.  Scorsi da lontano una figura, era un giovane barbuto con un cavalletto che se ne stava a dipingere su una tela.  Mi avvicinai e non potei fare a meno di guardare cosa stesse dipingendo: era un angelo che vagamente somigliava a quello di Castel Sant’Angelo,  che non riponeva la spada ma anzi la usava per tagliare Roma come una grossa zucca o un’anguria.  Accanto ci stavano altri quadri che il giovane pittore aveva finito e che avevano lo stesso tema, i colori sparavano violenti e contrastavano con la dolcezza del volto dell’angelo.
“Li vendi questi quadri?” chiesi io.
 Mi rispose dopo una lunga attesa: “Li vendo tutti per cento euro, anche questo che sto per terminare.  Può essere un’occasione, perché  tra poco non ci saranno più, appena finisco questo li butto tutti nel fiume”.
“Perché?  Sono belli, hanno dei bei colori, vedrai che qualcuno te li compra.”
“Il perché è semplice. Siccome sono troppo pauroso per buttarmi io nel fiume, allora ci butto loro che sono una parte di me. Riguardo al fatto che siano belli non lo so, ma una cosa è certa,  non li comprerà nessuno”.  C’era una disperazione nel tono della sua voce che mi trasmetteva un brivido alla schiena e dissi subito come per lanciargli un salvagente: “Ma che dici, io uno te lo compro, cinquanta euro ed uno te lo compro. Non posso prendere gli altri perché ho la casa piccola. Ma uno te lo compro.”  Dissi ponendo mano a cercare il mio portafogli, scorsi un istante di luce nei suoi occhi.
“Quale?” disse con un filo di voce che esprimeva tutta la sua incredulità, e si alzò dal piccolo sgabello dove stava seduto dinanzi al suo cavalletto.
“Quello, quello là con le sfumature gialle, mi piace.” Lo preseda terra e me lo porse.
“Non mi puoi dare un po’ di cartone per avvolgerlo” dissi io indicando la catasta di cartone legata posta più in là ed accanto al muro.
“Le posso dare della carta da imballo, ecco è pulita, ne tengo un po’ con me e gli metto anche un po’ di scotch per chiudere bene. Ma quel cartone non posso, non è mio.”
“E di chi è?” dissi io ponendo la domanda che mi premeva.
“E’ di un barbone, un tale che viene a passare le notti qua. Se ne serve per dormirci e ripararsi dall’umidità. “
“Ed è andato via di mattina presto oggi?”
“Perché, lo conosci?” Chiese lui con un’aria che si fece subito sospetta, come se avesse fiutato che ero un poliziotto.
“Sì, che lo conosco. Ci ho scambiato quattro chiacchiere qualche volta quando faccio qualche passeggiata qua sul lungo Tevere.” Dissi pensando di rassicurarlo.
“Sei un poliziotto?”  Raramente ho sentito disagio per il mio mestiere, ma in quel momento lo sentii.
“Sì, ma non lo cerco mica per arrestarlo. Lo conosco, siamo quasi amici”.
“E’ difficile essere amici di quello là” disse, e svolse dalla carta il quadro che mi stava imballando e lo ripose per terra.
“Che fai, non mi vendi più il tuo quadro?”
“No, tu vuoi solo informazioni su quel povero diavolo, e anch’io sono un povero diavolo, non ti interessa il mio quadro.”  Quel suo dire e quel suo fare offendeva quel mio gesto di generosità che era sincero, m’innervosii.
“Io voglio comprare il tuo quadro e sei tu che non me lo vuoi vendere. Ora ti faccio solo una domanda su quel barbone e tu mi rispondi perché io sono un commissario di polizia.” Mostrai il mio documento con una velocità impressionante.
“Mi devi solo dire se tu lo hai visto e l’ultima volta che lo hai visto.”
“L’ultima volta che l’ho visto è tre giorni fa. Mi ha detto che se ne andava a dormire in un hotel di lusso, ma io non ci credo. ”.
“Attento ora:  mi devi dire se la persona che tu hai visto l’ultima volta corrisponde a questa descrizione: di altezza  quasi quanto me, barba bianca ma non lunga, occhi azzurri, capelli ancora scuri e folti ma con tanti capelli bianchi, più magro di me, e con il dito mignolo della mano sinistra mancante. Voglio un sì o un no, chiaro.” Dissi in tono categorico.
“Sì, è lui; e non so dove sia  andato”.
“A me basta, hai capito che a me basta. Ora prendi quel cazzo di quadro, me lo incarti, ci metti lo scotch, e ti prendi i 50 euro che abbiamo pattuito. E sia chiaro che io l’ho comprato perché mi piaceva  e non per aggirarti e farti delle domande. Perché le domande erano solo queste e te le avrei fatto in ogni caso. Cazzo!” 
 Come incoraggiato da questa mia sfuriata,  che rompeva la sua grande tristezza, si avviò a riprendere da terra il suo quadro e me lo avvolse con cura, gli consegnai i miei 50 euro, lo salutai con un sorriso. Non so cosa stesse pensando, mentre risalivo le scale lo guardai ancora una volta, aveva ripreso a dipingere, forse non avrebbe abbandonato i suoi quadri alla corrente del fiume.

 Il giovane pittore della corte dei miserabili di Roma aveva visto il Mazzetti tre giorni fa e gli aveva detto che se ne sarebbe andato a dormire in un hotel  di lusso. Una cosa del genere l’aveva detto anche a me il Mazzetti e la ricordavo bene:
 “Dovrei decidermi di andare a dormire in uno di questi hotel a cinque stelle che ci sono a Roma, quelli da 500 euro a notte, e approfittare del mio status. Quale mi consigli?  Ah … già tu non devi essere tanto esperto di hotel di lusso.  Io quasi quasi mi orienterei per quell’hotel che sta  in cima alla scalinata di Piazza di Spagna, ci deve essere una bella vista di là. Potrei prendere una suite.”
 Cosa potevo fare, andare in quell’albergo e chiedere se avevano visto un barbone aggirarsi tra camere e suite?   Decisi che intanto era meglio seguire le indicazioni che mi aveva dato lo stesso questore: cercare i maghi e gli illusionisti.

 Presi un taxi, ritornai a casa per posare il quadro, comprai diversi giornali quotidiani e con lo stesso taxi mi avviai al commissariato. Mentre il tassista mi trasbordava nel traffico cittadino sfogliai i giornali con rapidità;  tutti portavano in gran rilievo la notizia che angosciava il questore  e si dividevano in due grandi tronconi:  quelli che sposavano la versione ufficiale del malore del nostro capo di governo e quelli che avanzavano le ipotesi le più varie e stravaganti,  dal fallito attentato terroristico di matrice islamica  alla congiura di alcune banche internazionali;  un quotidiano avanzava l’ipotesi di qualche grande illusionista e nominava esplicitamente quei due nomi che mi aveva fatto lo stesso questore, Stella del buio e Rasputin.  Abbandonai gli altri giornali sul taxi e mi tenni solo quello che sposava la  tesi illusionista: “li butti lei per cortesia” dissi al  tassista mentre pagavo. 

  Mi dissero che il Pedretti era fuori per una ispezione, gongolai di soddisfazione all’idea di non dover rispondere a qualche sua petulante domanda. Chiamai il Tumiati che mi aiutava spesso nei casi più complicati. Appena si sedette davanti alla mia scrivania,  con l’indice  della mia mano destra rivolta alla sua faccia dissi: “Ho chiamato te per un aiuto in questo caso, perché tu in quanto siciliano mi devi garantire che devi stare muto con tutti. Ci siamo capiti?”
“Certo commissario”, disse  e si accompagnò con un cordiale sorriso. Tumiati era giovane ed anche in gamba e pensai che era meglio interessare solo uno della mia squadra evitando eccessive dispersioni.
“Non devi neanche farmi tante domande perché io a certe domande non potrò risponderti, e soprattutto non devi parlare con nessuno di questa indagine che condurremo noi due, e col Pedretti  meno che mai.  Intanto trovami  un tale illusionista  che si fa chiamare Stella del buio, dobbiamo rintracciarlo al più presto perché lo voglio interrogare.  Non deve venire qua lui e saremo noi che lo andremo a trovare a casa sua o dove lavora. Ho detto al più presto. E poi cerca di trovare informazioni su un altro illusionista, un certo Rasputin. Voglio sapere se è già arrivato a Roma e dove si appoggia per abitare.”

Copyright  © Francesco Zaffuto



post inserito il  03/12/2017


7 commenti:

  1. Letta oggi di primo mattino.
    Mooolto intrigante.
    Ricordo quando lessi " Il miglio verde " di Stephen King, che fu pubblicato a puntate, non vedevo l'ora di leggere la successiva.
    Cristiana

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  2. Non è giusto, ti leggo il lunedì e Cristiana anticipa il mio pensiero ogni volta. Protesto :-))) lol. Bravo. molto intrigante Cristiana ha ragione!

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  3. Caro Francesco, il genere "giallo" o poliziesco che dir si voglia non mi ha mai coinvolto più di tanto, ci volevi tu con questo centellinare puntate, ad interessami al genere ed aspettare con ansia la prossima puntata ... ciao Luigi G.
    P.S. ci vediamo mercoledì 13/12 ?

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