Il Ministro Fedeli è recentemente
intervenuto sul merito dei docenti in qualche modo minacciando di rimuovere gli
“incapaci”
Alla
domanda se “il docente italiano è inamovibile”, il Ministro Fedeli risponde in
modo deciso: “L'inamovibilità a fronte dell'incapacità non dev'essere più
possibile. Poi si tratterà di vedere come fare. Non voglio
discriminazioni, ma reciproca consapevolezza. Lo so, è un tema difficile. Su
questo però non mi faccia aggiungere altro”. http://www.tecnicadellascuola.it/item/32238-fedeli-basta-coi-docenti-inamovibili-chi-non-e-in-grado-di-insegnare-va-stanato.html
Sorge almeno una domanda: come si è diventati
insegnanti?
E’ da ricordare al Sig. Ministro che si è diventati insegnanti nella scuola
pubblica sulla base di un iter tracciato da normative decise dal Ministero:
concorso a cattedra o altra forma di concorso, prove, test, competenze in esami
acquisiti in Università ecc. ecc.. Dunque il Ministro sta affermando che tutti
questi iter non sono bastati per selezionare dei buoni insegnanti. Quindi sul
piano della logica occorre anche dire che erano degli iter errati o
insufficienti. Ma il Ministro evita di dire ciò.
Per
anni Ministero e Governi hanno sostenuto la tesi di non dare alcun peso agli
anni di formazione nelle supplenze, ed anche quella di non riconoscere
l'esperienza che si acquisisce con l'anzianità. Si è pensato di conoscere la
bravura di un docente con un test o con qualche prova sporadica ed invece va
considerato complessivamente il suo lavoro. Il docente insegna ed impara ogni
giorno.
In
tutte le alte professioni si avvalora la tesi che si acquisisce una maggiore
professionalità con l’esperienza; invece nell’insegnamento, che una delle più
difficili professioni, si tende a negare
il valore dell’esperienza. Certo, l’esperienza va maturata in modo consapevole
e non può essere una mera addizione temporale, ma in ogni caso va tenuta
presente come fattore importante e necessario.
Nessuno nasce insegnante, siamo tutti allievi con una generica capacità d’imparare; la
capacità di insegnare e qualcosa da conquistare
con fatica e con grande esercizio di pazienza. Tanti che diventano per natura
genitori sanno che insegnare qualcosa ai loro figli è difficile, ed entrano in
gioco diversi elementi: la bontà delle cose che si insegnano, la complessità
delle cose che si insegnano, la pazienza d’insegnare, la credibilità come
maestro di vita, la voglia di apprendere
dell’allievo e la sua disponibilità e intelligenza, e le tante difficoltà
quotidiane compreso il quantitativo di tempo a disposizione.
Quando l’insegnante non è più il genitore ma
il maestro di una Scuola (piccola o grande, privata o pubblica); egli si deve ammantare di una credibilità per
le cose che conosce e per la sua capacità di insegnarle. I genitori debbono dare credibilità al
maestro e alla scuola. La scuola e la società dove opera deve dare credibilità
al maestro. Se i genitori fanno a gara a parlar male della scuola e se la scuola stessa (o
chi gestisce la scuola o la società con la sua opinione pubblica) costantemente parla male dei suoi maestri
viene ad essere incrinata la credibilità che è uno dei requisiti su cui poggia
l’insegnamento.
Ebbene
Sig. Ministro il suo compito è quello di dare credibilità alla Scuola e ai suoi
maestri ed individuare i modi migliori al momento del reclutamento ed
individuare i modi migliori per accrescere la loro professionalità. Uno dei
modi è quello di insegnare ad insegnare, perché nessuno nasce maestro, ed è un
processo lungo che deve essere condotto in modo consapevole.
Gli
anni di supplenza ed i primi anni d’insegnamento sono quelli più formativi per
i docenti e non sono stati per niente valorizzati. Vanno seguiti da insegnanti
formatori non con la logica del punire chi non è nato insegnante ma con la
logica del formare dei buoni insegnanti. Le esperienze didattiche debbono
accendere nelle varie scuole un circuito di accrescimento delle esperienze
stesse.
Non si
tratta di premiare i migliori insegnanti e non si tratta di punire i peggiori
insegnanti; si tratta di far si che i migliori insegnanti vengano imitati e che
si faccia tesoro della loro maggiore esperienza e nel contempo coniugarla con
la ricerca di innovazione. Non è di certo un compito facile e qui io non voglio
fare il saccente, voglio solo dire che da tempo si
sta sottovalutando il requisito dell'esperienza.
Sottovalutare ad esempio l’esperienza che si
accumula con le supplenze a mio avviso è stata una scelta errata. L’ultima riforma con l’assunzione di nuovi
docenti è stata presentata come la cura
alla “supplentite”, come se le
supplenze fossero una malattia. La malattia era: come venivano trattati i supplenti e il non
approfittare in modo proficuo di un iniziale processo formativo.
Francesco Zaffuto
post inserito
il 31/08/2017
Bravo, ottimo post! Concordo in toto. Quanto alla Fedeli se lo leggesse e si accendesse in lei un po' di materia grigia potremmo anche sperare che da questo post potrebbe imparare qualcosa...
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