Carmelo Pirrera – CON LA BANDA IN TESTA -
brani di una narrazione poetica - tratti dalla raccolta Luna
Saracena – dal Volume Antigruppo ’73 - un estratto del volume ci è
pervenuto tramite Melo La Licata.
Arpa eolica ringrazia Melo La Licata per il raro
documento del Poeta Carmelo Pirrera che ci ha fatto pervenire, e
ringrazia Deborah Pirrera, figlia del poeta, per il permesso di
pubblicazione.
Il
disegno qui riportato, del pittore Andrea Vizzini, è un profilo a
penna del Poeta Carmelo Pirrera (1973).
Note biografiche sul poeta, che è venuto a mancare il 2
Febbraio 2015 - in fondo al post.
CON LA BANDA IN TESTA è il primo di 33 brani, tutti inseriti in questo post
CON LA BANDA IN TESTA
Sono passato per le vie principali con la
banda in testa. I giornali hanno stampato il mio nome, i partiti hanno chinato
abbrunate bandiere; incontrandomi
ognuno, scoperto il capo mi ha reso rispettoso omaggio.
Una donna, passando, disse di avermi
conosciuto e che ero un giovane alto,
una bandiera, mentre, invece, da vivo ero alto quel tanto che basta per fare il
soldato.
LIMONI SPREMUTI
Amico che scrivi nere e commosse parole sui giornali, hai
scritto che la città sta vivendo le sue ore di angoscia.
Non sentivi un rock and roll in sordina?
Ma io che conosco da prima il paese e la
gente, so pure che gli uomini morti son limoni spremuti da buttare da canto.
PROPRIO ME
Me, proprio me. Mi vedete?
Ero tra i migliori le sere che andavo a
ballare, e le ragazze morivano di voglia.
Ora
sono tutto rotto, coi buchi tappati di garza, ed anche la bocca ho
tappata per non vomitare il mio cuore.
COLPI DI TOSSE
La notte processioni di compagni morti
passavano innanzi ai miei occhi bruciati da annate di fumo e di polvere.
Marciavano al ritmo dei miei colpi di tosse.
Ora, recluta triste, mi unisco al corteo al
quale appartengo da sempre, e l’ho sempre saputo.
UN CAPO
Avevo fatto la quinta elementare ed avevo un
amico studente che mi prestava qualche
libro, perciò mi credettero colto e mi vollero capo i miei compagni: dovevo
difendere i loro diritti contro i furbi padroni.
Ora che sono più saggio mi chiedo a che serve
essere capo in un mondo di roccia che cede.
CHIACCHIERONE
Chiacchierone mi dicevano, perché il sabato
sera, dopo avere bevuto, perdevo del tempo a parlare.
Parlavo. Di tutto parlavo, con tutti parlavo:
nemmeno le persone istruite mi mettevano soggezione.
Credevo di avere molte cose da dire, ma il
tutto era un “Io!” gridato in pieno deserto.
NUMERI
… e Lucio alla Trabia nel ’36.
Non aveva quattordici anni, ma qualcuno (la
Malasorte vestita da amico di famiglia) fece in modo di procurargli un falso
libretto di lavoro.
E così,
un ragazzo robusto e sano morì a tredici anni e sei mesi.
Sembra una storia di numeri ed è, invece, la
vita: miseria, peccato e rimorso.
MESTIERE
“Da grande
che mestiere farai?”
Così mi chiedevano. Ora mi chiedo a mia volta
perché si fanno ai bambini domande così sciocche se, alla fine, non sempre da
soli si sceglie un mestiere.
Io avrei
fatto il barbiere: rasare la gente e parlare di sport e di altre cose piacevoli
guardando le ragazze passare davanti la porta …
Ma i garzoni di barbiere guadagnano una
miseria, e mio padre negli ultimi tempi era sempre ammalato.
GRISOU
Grisou: da ragazzo leggendo un giornale
incontrai questa parola per la prima volta e chiesi a mio padre, che era
vecchio e ignorante, cosa fosse il grisou.
Mio padre cercò di spiegarmelo, ma fu poco
felice.
Lo appresi a mie spese più tardi.
PAURA
Ora posso anche dirlo. Ho avuto tanta paura,
più di quando, bambino, mi rifugiavo tra le braccia di mia madre.
Ed era il buio a farmi paura come fa coi
bambini.
Era il buio e non c’era nessuno.
IL DOTTORE DICEVA
Il dottore dell’Istituto Infortuni ogni volta
che mi vedeva arrivare diceva che ero una vecchia conoscenza, un affezionato,
una rogna.
In verità alcune volte mi ero fatto male da me
stesso in vista di scioperi o sospensioni, per non perdere quel poco che spetta
ai malati: si mangia ogni giorno.
L’ultima volta, però, il dottore pallido in faccia disse
soltanto: “Povero figlio!”.
UN BRICIOLO DI PENA
Qualcuno sussurra maligno che l’onorevole
Tizio ha portato le sue scarpe lucide sul luogo della sciagura per farsi
rèclame. E sarà vero.
Ma gli scorgo nel cuore un briciolo di pena
vera: quel tanto che spetta a chi muore.
CORAGGIO
All’ospedale
mi dissero di fare coraggio. Non potevo parlare per chiedere chi ne avrebbe
avuto al mio posto sapendo di dover morire lasciando tre figliuole da marito, debiti, moglie e per giunta un
figliuolo deficiente.
LE COSE
Le cose sono belle, sono brutte, sono grandi,
piccole, rosse, verdi, gialle o bianche finché c’è luce.
Ma in un mondo di buio – dopo l’ultimo guizzo
della tua lampada – cosa sono le cose?
E tu che sei?
Ed il tuo sangue ha forse un colore diverso
dal tutto-niente che stritola quel niente che sei?
I TRENI
Treni di sogno, treni di desiderio carichi di
umano destino che a notte passavano gridando il fascino di paesi lontani.
Nessuno mi ha fatto più male di chi volevo più
bene.
Quei treni che ora sentite anche voi, li
ascoltavo passare la notte quando restavo più solo – ubriaco.
PAESE SENZA MARE
Sono nato in un paese senza mare, bianco di
calce e nero di miseria: l’estate era accecante di sole.
Gli uomini cercavano nei campi le spighe
smarrite e la sera la schiena ci faceva male: le donne passavano sugli usci
intere giornate spidocchiando bambini.
Quando trovai lavoro in una miniera i compagni
dei campi mi dissero fortunato, invidiandomi un poco.
LA MELA
Nego di essere morto per quel mezzo chilo di pane e un etto
di olive nere.
Da ragazzo pensi più volte di potere morire,
ma per cose assai grandi ( la Patria, la Libertà, un’idea ecc. ).
Mezzo chilo di pane e un etto di olive nere!
C’era anche una mela, dimenticavo la mela.
CITTA’ DEL NORD
Città del nord, ove l’autunno giungeva su cavalli di nebbia,
pensavo di ritornare un giorno, quando non sapevo ancora che nella mia vita ci
fosse questo giorno.
IL FIGLIO
Avrei potuto dovunque trovare una donna per
svuotarmi della mia malinconia le sere che ero assai solo.
Cercai una compagna per tutta la vita per
diventare quel padre che io stesso non ebbi fortuna di avere. Avere un figlio.
Un figlio nacque e fummo assai amici quando
era ancora bambino; da grande divenne un estraneo e parlava già un altro
linguaggio.
Ci incontravamo a tavola ove si dicevano le
solite cose e si facevano gli apprezzamenti sulla minestra. Rientrava a notte
inoltrata. Gli amici. Sapeva l’ansia con la quale l’aspettavo?
Rientrando borbottava, magari, di questa o
quell’altra squadra di calcio che facevano schifo.
MI GUARDAVA
Mi guardava da dietro le lenti senza capire. Gli bastarono un paio
di occhiali, una matita e una camicia pulita per scordare generazioni di fame.
-
Sono
questi gli ordini, - mi disse.
E suo padre e mio padre si davano del tu ed
andavano a bere assieme; ed io, tra le mie tante cicatrici, ne ho una che egli mi fece una
volta giocando, bambini.
AMERICA
Anni fa avrei dovuto partire per l’America assieme ad un
cugino che poi partì solo e che uccisero in una rissa a Brooklin.
Dissi a me stesso che non tutto il male viene
per nuocere.
Il figlio del cugino ammazzato si è fatto
ricco costruendo palazzi e manda fotografie accanto ad automobili che sembrano
navi.
Perciò dico che a volte il bene, anche il
bene, viene per nuocere.
PIETA’
Ed anche questa può essere una forma di pietà quando la
nausea del mondo ti prende alla gola e tu più non speri e ami: vomiti. Soltanto
vomiti.
Un uomo sacro e insostituibile eccolo preso
per fame, a vent’anni schiavo di un pane amaro mentre si sbandierano alti ideali
e si scrivono belle parole sui muri.
Io me ne vado e vomito sugli alti ideali
passati al servizio dei lupi.
ASSURDO
E’ assurdo che io – forte come due uomini
forti – mi sia piegato come un filo d’erba.
IL LUNGO SONNO
Come erano brevi le notti!
Prima che il cielo si schiarisse ero già in
piedi ed era giorno per noi.
Poi, a sera, amavo indugiare tra amici e
bicchieri di vino e maledicevo ogni nuovo mattino: fatemi la carità di un lungo
sonno.
Non era questo il sonno che volevo: mi giunse
agli occhi dopo aver chiuso in una morsa il petto.
INCOMINCIO’ COSI’
Incominciò così: mio padre non voleva che finissi anch’io in
miniera, ma a scuola una terribile maestra di città alla quale tirai un
calamaio dopo una abbondante razione di vergate, mi espulse dalle scuole del
regno.
Non avevo otto anni, ero un discolo e oziavo.
-
Perché
allevate quello stallone? –
chiedevano
con insistenza a mio padre (ripeto che otto anni non li avevo).
-
Fategli
un sacco e ve lo portate.
Il sacco, prima che venisse il lunedì, era già
pronto.
UNA STANZA SOLA
Quattro
persone in una stanza sola, coi bambini che se non giocano facendo rumore,
piangono.
Non riuscivo a chiudere occhio quelle volte
che lavorando di notte, dovevo riposare di giorno.
Ma ora che d’improvviso i bimbi, mutati e
vestiti di nero, sono silenziosi e seri, vorrei che facessero chiasso.
UNA VITA
Le notti delle sbornie, i grigi lunedì della mia vita, i
compagni, il lavoro e la monotonia delle bestemmie cui l’uso continuo aveva
tolto ogni potere di offendere un dio peraltro sordo.
E’ la mia vita.
Oltre questo c’era un sogno – portato da
soldato come una malattia - : Altitalia.
C’era una donna che mi accoglieva tutto:
desiderio e dolore, ma non ritrovo il suo volto.
LA PARATA
Quanti fiori!
Perché da vivo certe sere – le sere dei sabati
senza paga – che restavo con la sola compagnia dei miei vizi insoddisfatti e
delle debolezze inappagate, nessuna organizzazione sociale mi offri una
sigaretta?
E se avessi parlato dei miei guai, debiti,
malattie, chi avrebbe pianto?
Volevano una parata per la loro pietà?
Eccovi, ecco il morto!
SONO USCITO
Sono uscito sbattendo la porta, come uno che
può ritornare; senza baciare i bambini ancora immersi nel sonno, come uno che
può ritornare; sono uscito come qualche altra volta: non capivo che era
diverso, che era l’ultima volta.
ANALFABETA
Avevano promesso di farmi capomastro. Sabotai lo scioperi in
Febbraio, accettai che mi chiamassero crumiro, ma non se ne fece niente con la
scusa che ero analfabeta.
Mi diedero un magro compenso in denaro: i
trenta denari di Giuda, e li accettai.
ALZATE GLI OCCHI
Alzate gli
occhi al cielo nelle sere di Agosto e guardate l’Orsa maggiore: è l’ultima cosa
che vidi prima di entrare nella galleria, prima di entrare nella eterna notte.
Pensai che, volendo, potremmo dare lì un
appuntamento ogni sera agli amici che abbiamo lasciato, tra le quattro stelle
che sembrano delimitare un piccola piazza di paese.
CHE CORSA!
Che
corsa, che sudata stamattina!
Ci voleva
poco e perdevo l’autobus per questo viaggio.
Avevo già avuto più di un richiamo: uomo
avvisato è mezzo salvato.
PREGHIERA
Ed ora che hai umiliato la mia forza, delusa
la speranza, infranto i sogni, fa che il mio corpo ridiventi pane: un pane
immenso per la fame del mondo.
Carmelo Pirrera
Note biografiche su Carmelo Pirrera
https://www.culturelite.com/categorie/scritture/carmelo-pirrera-un-poeta-da-non-dimenticare.html
Note biografiche e libri
http://www.genesi.org/autore-carmelo-pirrera-6442.html
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La miniera... Dolore, assenza di speranze e... BUIO. Carmelo (mio padre) scrive del mondo del cuore siciliano del dopoguerra. il mondo di Salvatore.. Nonno Salvatore, chissà perché sempre incazzato
RispondiEliminaGrazie per il permesso di pubblicazione su Arpa eolica
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