MINIMA IMMORALIA - AIUTO, DEVO MINGERE!

Rarissimo esemplare di vespasiano – fotografato a San Pellegrino terme – forse in tutta la Lombardia esiste solo questo

Per averla fatta in un cespuglio, ed aver dimenticato che era un illecito penale,  si può perdere il posto di lavoro.  
E qui sotto,  per la sezione in dibattito di Arpa eolica,  l’intervento di Angelo Gaccione.

MINIMA IMMORALIA - AIUTO, DEVO MINGERE!  
di Angelo Gaccione

La vicenda è fin troppo banale. Siamo nella bergamasca e precisamente ad Averara, è Ferragosto del 2005 e sono le 2 di notte.
Stefano Rho è con un amico e devono mingere (notate la raffinatezza del verbo e di chi sta stendendo questa nota) perché nel locale dove sono stati, hanno assorbito più liquidi di quanto la vescica ne possa contenere, e questa giustamente reclama. Comunemente, se uno non soffre di claustrofobia e sopporta i meravigliosi aromi che promanano dalle latrine dei magnifici locali pubblici italiani (e non solo), provvede alla bisogna dei bisogni (che artista!) al chiuso delle medesime. Può capitare di trovarsi all’aperto e non avere sottomano né un locale né una latrina, e le cose possono complicarsi. Se poi uno è incontinente o soffre di prostata, la situazione può diventare seria. Ad ogni modo Stefano Rho e il suo amico non soffrivano di incontinenza, e la loro età nel 2005 non era da prostata, ma non avevano a portata di pene un vespasiano. Decidono così di innaffiare un cespuglio. È raro che un carabiniere alle due di notte controlli i cespugli, (a Milano non controllano né cespugli né muri, e al sabato notte in diversi luoghi della città gli effetti della birra regalano afrori di una certa intensità), ma una probabilità su un milione è sempre possibile. Ed ecco scattare un verbale di euro 200 e una segnalazione. Il giudice di pace di Zogno lo multa per atti contrari alla pubblica decenza, anche se l’unico pubblico presente alle 2 di notte è il carabiniere. Stefano Rho paga e tace, forse anche lui si è convinto di aver fatto un’azione disdicevole. La cosa sembra finita lì, ma non è così. Se vuoi fare il professore (e Stefano Rho vuole fare il professore) devi essere “pulito”. La regola, nel paese di Vitulia, è rigida e così Stefano, 11 anni dopo, si trova a pagare con il licenziamento dall’Istituto “Giovanni Falcone” di Bergamo, dove nel frattempo è entrato di ruolo come ottimo docente di Filosofia, questo lontano peccato urinario. Una inflessibile e solerte Corte dei Conti, confortata dal parere autorevole dell’Avvocatura dello Stato, impone all’Istituto la sua draconiana decisione. Giustizia è fatta. E così Vitulia, al penultimo posto nella classifica dei paesi meno corrotti dell’intera Europa, e ai primi posti per corruzione dell’intero globo terraqueo, può dormire sogni tranquilli. Buona notte. Scusatemi mi scappa da mingere: sono indeciso se farla sul palazzo della Corte dei Conti o su quello dell’Avvocatura dello Stato. Non potranno licenziarmi: io faccio il poeta.

[Pubblicato sulla prima pagina di “Odissea” in data 7 Febbraio 2016]

post inserito in Arpa eolica 09/02/16


Nota del 25/03/16 – Il professore ha avuto la fortuna di incontrare un giudice in grado di rimediare all’assurdo – In questa vicenda la mobilitazione degli studenti, in solidarietà con il loro insegnante, ha avuto un gran rilievo.
Qui il link

1 commento:

  1. Il professore, molto giustamente, pensava di avere pagato e di avere chiuso con la multa come si paga qualsiasi multa. Quando compila la domanda di assunzione segna di non avere avuto condanne penali, invece nell'epoca in cui si produssero i fatti era considerata condanna penale. Il professore compila il questionario pensando alla logica imparata nello studio della filosofia e non all'assurdo delle leggi; e mette la crocetta nel posto che le leggi considerano sbagliato.
    Quella crocetta posta secondo la logica viene considerata un falso per il quale è prevista la decadenza dall'impiego. Se il professore metteva la crocetta secondo le condizioni illogiche avrebbe conservato il posto; perché nonostante la multa aveva pieno diritto a quel posto di lavoro, quindi non aveva nessun motivo di dichiarare un falso. Ora il professore dovrà attendere la sentenza di un tribunale che riconosca il pensiero logico. Forse lo troverà (non è sicuro); ma dovrà pagare buoni avvocati che costano cari.

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