10 Gennaio 2019: da poche ore l’Europa
ha trovato un timido accordo per dividersi il carico umano di migranti sbarcati
a Malta - e in queste stesse ore è in atto il dibattito
presso il Parlamento di Londra per le modalità della Brexit.
Nel contempo brulicano in Europa diverse correnti
di pensiero che mettono in discussione accordi ed istituti europei.
L’Europa delle banche e degli interessi
economici non è riuscita a costruire l’Europa dei popoli; occorre ripensare a
quell’Europa che uscì dalle due disastrose guerre mondiali, per riprendere il
cammino.
Per tanti anni una preziosa pace ci ha
accompagnato, abbiamo superato gli anni della guerra fredda tra blocco dell’est e blocco dell’ovest, e non ci siamo
fatti prendere la mano dalla grave crisi dei Balcani.
E’ la grande crisi economica, iniziata nel
2008, che ha messo in confusione mentale
l’Europa e tanti europeisti; e la
ricerca spasmodica di riavviare il meccanismo della crescita senza riuscirci ha
portato a una sorta di ottundimento.
Alla crisi economica si è accompagnato lo
spostamento di gradi masse di uomini impoveriti da ogni parte del mondo; ma
queste stesse masse sono in prodotto più drammatico di un operare perverso del
sistema economico mondiale.
La
crisi non è una crisi solo europea, è bensì una crisi mondiale, che investe l’intero
globo terrestre. E’ in crisi il
capitalismo, che è arrivato al massimo
della sua rappresentazione, ed è in crisi l’Uomo nell’anima e nelle sue
espressioni spirituali.
Solo se riusciamo ad investire sull’Uomo,
sulla sua stessa povertà, per aiutarlo nei suoi bisogni materiali e spirituali,
e nel contempo siamo custodi della bellezza del pianeta, possiamo uscire fuori
dalla crisi.
L’Europa ha una ricchezza immensa che è la sua
Cultura, un bagaglio enorme di esperienze e di conoscenze, su cui può e deve
fare leva.
Occorre ricominciare e attentamente, vedere da dove siamo partiti, cosa volevamo e
cosa si è perso per strada.
In questo percorso ripensare al Manifesto di
Ventotene è un buon punto di partenza. (fr. z.)
Qui di seguito – Il Manifesto di
Ventotene – e i link per consultare il
Manifesto di Ventotene e per scaricarlo in pdf.
Alcune Note sugli autori del Manifesto e sul
luogo
L’istituto Spinelli ancora custode di questo
patrimonio culturale
Il Manifesto di Ventotene è scaricabile in PDF in
tutte le lingue europee dal link dell’Istituto Spinelli
consultabile anche via internet su
o su il testo
pubblicato dal Senato italiano con l’introduzione
di P. Grasso – in italiano – francese e inglese
Il testo del Manifesto di Ventotene
"Per un'Europa libera e unita"
Ventotene, agosto 1941
I - LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA
La civiltà
moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il
quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di
vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo
storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettino:
1. Si è
affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati
indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche
geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare nell'organismo statale,
creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita
politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni,
indipendentemente da ogni intervento estraneo.
L'ideologia
dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto
superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro
l'oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che
ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere,
dentro il territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le
istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però
in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto
ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi
delle guerre mondiali.
La nazione
non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli
uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, ad una maggiore uniformità
di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per
organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana. È
invece divenuta un'entità divina, un organismo che deve pensare solo alla
propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno
che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali
ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo "spazio
vitale" territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi
liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno.
Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello
stato più forte su tutti gli altri asserviti.
In conseguenza
lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in
padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima
l'efficenza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la
preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari
predomina ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più
difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la
scienza, la produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti
ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici
di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle
mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla
più tenera età al mestiere delle armi e dell'odio per gli stranieri; le libertà
individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e
continuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione
costringono ad abbandonare la famiglia, l'impiego, gli averi ed a sacrificare
la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in
poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per
aumentare il benessere collettivo.
Gli stati
totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente
l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di
autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all'odierno
ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo più avanti verso
un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni,
trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.
2. Si è
affermato l'uguale diritto per i cittadini alla formazione della volontà dello
stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze
economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse.
Tale organizzazione politica ha permesso di correggere, o almeno di attenuare,
molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la
libertà di stampa e di associazione e la progressiva estensione del suffragio
rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il
sistema rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di
questi istrumenti per dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi
abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati e sulle successioni,
le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le esenzioni dei redditi
minimi, e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica,
l'aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme
agrarie, il controllo delle fabbriche minacciavano i ceti privilegiati nelle
loro più fortificate cittadelle.
Anche i ceti
privilegiati che avevano consentito all'uguaglianza dei diritti politici non
potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di
realizzare quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un
contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima
guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu naturale che tali ceti
applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle dittature
che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari.
D'altra
parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di
sindacati riunenti sotto un'unica direzione interi eserciti di lavoratori,
sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più
rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato
stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro.
Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Di fatto poi
i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie
categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso, col
controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta
eliminazione dei dissenzienti, ogni possibilità legale di correzione dello
stato di cose vigente. Si è così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente
parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che
contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro
titoli, dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i
consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori, dei
plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini
politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo
vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei superiori interessi
nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle
grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle moderna
cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le
risorse materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a
soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane,
vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro
che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col
diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto,
trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale
dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle alternative ai proletari
resta così ridotto che per vivere sono costretti a lasciarsi sfruttare da chi
offra loro una qualsiasi possibilità d'impiego.
Per tenere
immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati
trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la
fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la
direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e ad esso solo
responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è
sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le
reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli
stati totalitari.
3. Contro il
dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello spirito
critico. Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione di sì o
scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento sono dovute
le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo.
Ma questa
libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati
totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente si
stanno accampando in tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia
una razza e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare
l'assurdità, si esige dai fisiologi di credere di mostrare e convincere che si
appartiene ad una razza eletta, solo perché l'imperialismo ha bisogno di questo
mito per esaltare nelle masse l'odio e l'orgoglio. I più evidenti concetti
della scienza economica debbono essere considerati anatema per presentare la
politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del
mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della
interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni
popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà
moderna, è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica
che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare
veste teorica alla volontà di sopraffazione dell'imperialismo. La storia viene
falsificata nei suoi dati essenziali, nell'interesse della classe governante.
Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non
considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo minacciano di
soffocare lo spirito umano.
La stessa
etica sociale della libertà e dell'uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono
più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio
raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato che stabilisce
quali debbono essere i loro fini, e come volontà dello stato viene senz'altro
assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono più
soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza
discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente
divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa
reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha
infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di
trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando
con audacia e senza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità
altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei — primo fra i
quali l'Italia — alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia
essa si è lanciata nell'opera di sopraffazione.
La sua
vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel
mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze
progressive sarebbero condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione
negativa.
La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una
soluzione di compromesso tra le parti ora in lotta significherebbe un ulteriore
passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla
stretta della Germania sarebbero costretti ad accettare le sue stesse forme di
organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della
guerra.
Ma la
Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con
la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in lizza. La
coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anche nel momento più critico in
cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i Tedeschi siano
andati a cozzare contro la strenua resistenza dell'esercito sovietico, ed ha
dato tempo all'America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate forze
produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si è strettamente
connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l'imperialismo
giapponese.
Immense
masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze
totalitarie. Le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine e non
possono oramai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece già
superato il momento della massima depressione e sono in ascesa. La guerra delle
Nazioni Unite risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione anche nei
paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano come smarriti per il colpo
ricevuto, e persino risveglia tale volontà nei popoli delle potenze dell'Asse,
i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata solo per
soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.
Il lento
processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare
passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano così a
consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In
questa immensa ondata, che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze
progressiste; e, le parti più illuminate delle classi lavoratrici che si erano
lasciate distogliere, dal terrore e dalle lusinghe, nella loro aspirazione ad
una superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti
intellettuali, offesi dalla degradazione cui è sottoposta l'intelligenza;
imprenditori, che sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi
dalle bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni
loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un senso innato di dignità, non
sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della servitù.
A tutte
queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.
II - I COMPITI DEL DOPO GUERRA -
L'UNITÀ EUROPEA
La sconfitta
della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa
secondo il nostro ideale di civiltà.
Nel breve intenso
periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al
suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno
materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di
accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più
erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con
la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni
internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi
organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d'accordo con
quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere
la politica dell'equilibrio delle potenze nell'apparente immediato interesse
del loro impero.
Le forze
conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati
nazionali: i quadri superiori delle forze armate, culminanti là, dove ancora
esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato
le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari
e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società
conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al
loro seguito tutto l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che
son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze
reazionarie, già fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola e cercano di
salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto
fin'ora e le esporrebbe all'assalto delle forze progressiste.
Ma essi
hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno
accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno
presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della libertà,
del benessere generale delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto
come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati,
deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più
pericolosa con cui si dovrà fare i conti.
Il punto sul
quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale.
Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai
recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento
patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le
idee degli avversari, dato che per le masse popolari l'unica esperienza
politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito nazionale, ed è
perciò abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul
terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se
raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in
apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle mani
dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie
nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie
esigenze solo nella forza delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad
essere, a più o meno breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in
eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare
delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le
masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla di
fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.
Il problema
che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso
non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in
stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del
continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei
popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o
tutti insieme entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria
in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali.
Gli spiriti
sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione
federale dell'Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non
voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro
ideale.
Tutti gli
uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di
stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a
parità di condizioni con gli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e
tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso
evidente che nessun paese d'Europa può restarsene da parte mentre gli altri si
battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non
aggressione. È ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi,
tipo della Società delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto
internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni e
rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato
il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere
lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la
costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale
per tutti gli altri paesi europei.
Insolubili
sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del
continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze
allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica,
questione irlandese ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più
semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi
degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando
hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le
diverse provincie.
D'altra
parte la fine del senso di sicurezza nella inattaccabilità della Gran Bretagna,
che consigliava agli inglesi la "splendid isolation", la dissoluzione
dell'esercito e della stessa repubblica francese, al primo serio urto delle
forze tedesche — risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la
presunzione sciovinista della superiorità gallica — e specialmente la coscienza
della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte
circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale che ponga
fine all'attuale anarchia. Ed il fatto che l'Inghilterra abbia accettato il
principio dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto
col riconoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole
trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea dei problemi
coloniali.
A tutto ciò
va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principali dinastie e la
fragilità delle basi di quelle che sostengono le dinastie superstiti. Va tenuto
conto, infatti, che le dinastie, considerando i diversi paesi come tradizionale
appannaggio proprio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano
l'appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti
d'Europa, la quale non può poggiare che sulle costituzioni repubblicane di
tutti i paesi federati.
E quando,
superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di
insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che
la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i
popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica
cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile
l'unità politica dell'intero globo.
La linea di
divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai,
non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o
minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che
separa coloro che concepiscono come campo centrale della lotta quello antico,
cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia
pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava
incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo
e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito
centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno
verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale,
lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità
internazionale.
Con la
propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e
legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando,
occorre fin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare
tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più
grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo
stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli
eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale
dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire
nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine
comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una plastica
articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari
caratteristiche dei vari popoli.
Se ci sarà
nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno
ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché la situazione e gli
animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze
già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell'ultimo ventennio.
Poiché sarà l'ora di opere nuove, sarà anche l'ora di uomini nuovi, del
movimento per l'Europa libera e unita!
III - I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA
RIFORMA DELLA SOCIETÀ
Un'Europa
libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna,
di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà
riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza
ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne
impedivano l'attuazione saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà
essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per
rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi
l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni
più umane di vita.
La bussola
di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può
essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà
privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio
abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio
fare a meno. La statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma
utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione
dal giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo
sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è
asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia, come è
avvenuto in Russia.
Il principio
veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione
generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo
il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene
per forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo
più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche
forze di progresso, che scaturiscono dall'interesse individuale, non vanno
spente nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi poi
di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le
differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello
stachenovismo dell'U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più
diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una
maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno
perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di
maggiore utilità per tutta la collettività.
La proprietà
privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non
dogmaticamente in linea di principio.
Questa
direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita
economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo
nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei
paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i
lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La
soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella
coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto
di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni
punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto
oramai indispensabile dell'unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a. non si possono più lasciare ai privati le imprese
che, svolgendo un'attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di
sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le
imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo,
ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di
favore ecc. (l'esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia
ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali
investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che
dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per
loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari,
industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere
senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i
diritti acquisiti;
b. le caratteristiche che hanno avuto in passato il
diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare
nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante
una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari
e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare
le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di
vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi
coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma
industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non
statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio ecc.;
c. i giovani vanno assistiti con le provvidenze
necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella
lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità
effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece
che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l'avviamento
ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero
di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le
rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie
professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni
nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità
individuali;
d. la potenzialità quasi senza limiti della produzione
in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna permette ormai di
assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto,
l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la
dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti
nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative,
sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano
di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano
incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita
decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà
più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;
e. la liberazione delle classi lavoratrici può aver
luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non
lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati monopolistici, che
trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori
caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a
essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le
condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i
mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le
tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che
saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono
i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo
strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita
politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di
solidarietà sociale. Su queste basi le libertà politiche potranno veramente
avere un contenuto concreto e non solo formale per tutti, in quanto la massa
dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per
esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante.
Sugli
istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, non potendosi
prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che
ripetere quello che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi
per la formazione delle leggi, dell'indipendenza della magistratura — che
prenderà il posto dell'attuale — per l'applicazione imparziale delle leggi
emanate, della libertà di stampa e di associazione, per illuminare l'opinione
pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare
effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è necessario
precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo momento
nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa e sul carattere della
rappresentanza politica:
a. la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a
considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi,
fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si
presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, dei quali cerca di
approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo
patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e
sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha
concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il
carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la
supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno
essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei
culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito
critico;
b. la baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito
con l'ordinamento corporativo cadrà in frantumi, insieme alle altre parti dello
stato totalitario. C'è chi ritiene che da questi rottami si potrà domani trarre
il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Nello
stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, che corona il controllo
poliziesco sui lavoratori. Se anche però le Camere corporative fossero la
sincera espressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza
delle diverse categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per
trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più propriamente
economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente
più potenti.
Ai sindacati
spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali, incaricati
di risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz'altro da
escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché
risulterebbe un'anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un
rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente
dal mito del corporativismo potranno e dovranno essere attratti all'opera di
rinnovamento, ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la
soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita
concreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i
lavoratori sotto funzionari che ne controllano ogni mossa nell'interesse della
classe governante.
IV - LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA:
VECCHIE E NUOVE CORRENTI
La caduta
dei regimi totalitari significherà per interi popoli l'avvento della
"libertà" sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno
amplissime libertà di parola e di associazione.
Sarà il
trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che
vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all'anarchia.
Credono nella "generazione spontanea" degli avvenimenti e delle
istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non
vogliono forzare la mano alla "storia" al "popolo" al
"proletariato" o come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine
delle dittature immaginandola come la restituzione al popolo degli
imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è
un'assemblea costituente eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso
rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il popolo debba
darsi. Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva, ma correggerla si potrà
solo mediante una costante opera di convinzione.
I
democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono
adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità,
cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da
mettere sulla i. Sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria
amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà
delle istituzioni fondamentali, che debbono essere ritoccate solo in aspetti
relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non
debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce
clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa,
tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi.
In tali
situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua
amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o
sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui
convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì
alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere
e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di
teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in
lotta tra loro.
Nel momento
in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono
smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido
tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e
si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino
sapendo dove arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del
nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una
lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai
loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano
insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse
volontà regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il
terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica
democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.
Man mano che
i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di
assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si
andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche
pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi
della contrapposizione delle classi.
Il principio
secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i
problemi politici ha costituito la direttiva fondamentale, specialmente degli
operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica,
finché non erano in questione le istituzioni fondamentali della società. Ma si
converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la
necessità di trasformare l'intera organizzazione della società. Gli operai
educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro particolari
rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di come connetterle con
gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittatura
delle loro classe, per realizzare l'utopistica collettivizzazione di tutti gli
strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il
rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su
nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze
progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione,
che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento
proletario.
Delle varie
tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell'ideale
collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la difficoltà di ottenere un
seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono — a differenza
degli altri partiti popolari — trasformati in un movimento rigidamente disciplinato,
che sfrutta quel che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non
prende leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo
atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei
democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie
dalle altre forze rivoluzionarie — col predicare che la loro "vera"
rivoluzione è ancora da venire — costituiscono nei momenti decisivi un elemento
settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo
stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il
perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una
politica con un minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi
dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi fatalmente in rovina
dietro i fantocci democratici adoperati, poiché il potere si consegue e si
mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in
modo organico e vitale alle necessità della società moderna. La loro scarsa
consistenza si palesa invece senza possibilità di equivoci quando, venendo a
mancare il camuffamento, fanno regolarmente mostra di un puro verbalismo
estremista.
Se la lotta
restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto
difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già
così profondamente pianificato le proprie rispettive economie che la questione
centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi
economici, cioè quale classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano.
Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa
tra classi e categorie economiche. Con le maggiori probabilità i reazionari
sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti, nonostante
le loro deficienze, potrebbero avere il loro quarto d'ora, convogliare le masse
stanche, deluse, assumere il potere ed adoperarlo per realizzare, come in
Russia, il dispotismo burocratico su tutta la vita economica, politica e
spirituale del paese.
Una
situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante
significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già il
fallimento del rinnovamento europeo.
Larghissime
masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle vecchie tendenze
democratiche e comuniste, perché non scorgono nessuna prospettiva di metodi e
di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono però formazioni politiche del passato;
da tutti gli sviluppi storici recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato;
incanalano le forze progressiste lungo strade che non possono serbare che
delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde del domani
costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o sparire.
Un vero
movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le
vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze
democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla
disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi
politica.
Il partito
rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento
decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento
politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d'azione.
Esso non deve rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo
transitoriamente e negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella
semplice del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per
la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario deve
sapere invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deve perciò
essere costituito di uomini che si trovino d'accordo sui principali problemi
del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano
degli oppressi dell'attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello
volta volta sentito come il più doloroso dalle singole persone e classi,
mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera
soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve
attingere e reclutare nell'organizzazione del partito solo coloro che abbiano
fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che
disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano
oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella
situazione di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dia
consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.
Pur non
trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso
deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono
i più importanti come centri di diffusione di idee e come centri di
reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più
sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani, vale a dire
la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è
sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le
proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che
si sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man
mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Qualsiasi
movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze è condannato
alla sterilità, poiché, se è movimento di soli intellettuali, sarà privo di
quella forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà
diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da
sentimenti democratici, sarà proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà,
sul terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè
verso una restaurazione.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Durante la
crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze
progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano
spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze
rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.
Esso attinge
la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva
consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua
coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in
tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle
nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il
nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.
Non è da
temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un
nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile.
Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai
primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini
possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà,
anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una
progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e
perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni
politiche libere.
Oggi è il
momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti,
tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si
era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra
i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del
futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà
europea, e che perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione
dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi
come raggiungerlo.
La via da
percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi,
Eugenio Colorni
Post inserito il 10/01/2019
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