La matassa di spago
Romanzo breve – inedito di Francesco Zaffuto
Copyright © Francesco Zaffuto
11° puntata
“Commissà, sono
Tumiati. Quando è che arriva in Commissariato?”
“Subito. Perché che ore
sono?”
“E’ quasi mezzogiorno,
commissà”
“Va bene, e allora
aspettami per le tre del pomeriggio.”
“No, commissario. Alle
tre del pomeriggio lei deve andare dal questore, nel suo ufficio. Ha telefonato
ed ha detto proprio che vuole vederla per quell’ora. “
“Va bene, Tumiati,
allora aspettami in commissariato per le quattro e di’ al Pedretti che prenda in
carico ogni altra indagine perché noi siamo impegnati con la questura centrale,
non ti fare affidare incarichi.”
“Va bene commissà, ma
ci sono altre novità. Quel Rasputin è
fuori ed ha rilasciato delle dichiarazioni, vi conviene che sentite le
notizie”.
Non mi riuscivo a
capacitare come avessi potuto dormire così tanto. Sì, era vero. Avevo letto a lungo prima di
addormentarmi, ma svegliarmi addirittura poco prima di mezzogiorno era per me
un evento rarissimo. Per fortuna mi
sentivo riposato e in forze, decisi di fare una abbondante colazione che poteva
chiamarsi anche pranzo.
Prendendo per buono il consiglio di Tumiati
ascoltai il telegiornale ed il Rasputin
spuntò.
Il giornalista gli chiedeva se fosse stato
arrestato, e con un sorriso forzato rispondeva: “Non sono stato arrestato, mi
sono allontanato con due amici, la mia compagna ha capito male.”
Poi il giornalista tornava alla carica
chiedendo se continuava a sostenere che era stato lui a fare lo scherzo della
caduta dei due ministri, lui con lo stesso sorriso forzato rispondeva: “Sono
stato capito male, io non ho detto di avere fatto quella cosa, ho solo detto
che i miei poteri sono tali da poterlo fare. Ciò è ben diverso. Comunque su
quell’accaduto avete la versione ufficiale della Presidenza del consiglio che
io non vedo perché dovrei smentire. E non ho certo l’autorità per farlo.”
Al giornalista che tornava all’attacco dicendo
che c’erano le sue dichiarazioni registrate dei giorni prima, continuò a
ripetere: “Non avete capito niente, non avete capito. Venite al mio spettacolo
di questa sera e forse capirete qualcosa”.
Perfetto per Rasputin,
perfetto per il questore, perfetto per i servizi segreti che lo avevano tenuto
per un giorno e mezzo, perfetto per lo stesso Presidente del Consiglio;
commentai tra me e me; quelle poche battute dell’intervista facevano quadrare
tutti i conti. Cominciavo ad immaginare cosa il questore mi avrebbe potuto
dire.
Entrai nel suo ufficio, notai che l’ampiezza
della sua scrivania era uguale a quella che aveva nel suo studio di casa, anche
lo stile del tavolo mi parve simile.
Aveva un’aria preoccupata.
“Io l’avevo capito fin
dalle prime battute dell’interrogatorio, quando disse che lo aveva fatto spargendo
della colla sotto le suole delle scarpe. Era evidente. Ma comprenderai che
quelli dei servizi avevano necessità di
andare fino in fondo.”
“Magari era necessario
con le buone o con le cattive di fargli capire che non poteva straparlare?”
Dissi io e suonava come una critica al suo operato.
“E cosa si poteva
fare? Si interessava il magistrato di
turno? Si interessavano i già tanto
interessati giornali? Bisognava accertare con velocità se Rasputin
stava dicendo qualcosa di vero o erano solo delle falsità
propagandistiche. L’abbiamo trattenuto,
anzi l’hanno trattenuto i servizi dei due paesi in collaborazione, il solo
tempo che bastava, ed è stato rilasciato. Non gli è stato tolto un capello,
anzi gli è stato tolto solo un pelo della barba
al solo scopo di fare l’esame del DNA, e una volta compiuto l’esame è
stato rilasciato. E lei sta sicuramente
pensando che abbiamo travalicato i limiti del diritto, ma non si poteva fare
altrimenti.”
“Io non sto pensando
niente, signor questore. Mi compiaccio che tutta l’operazione si è conclusa
senza particolari danni. Comunque
l’ultima volta che ci siamo visti non mi ha accennato a tracce di DNA.”
“Non ne ho fatto cenno
perché non lo sapevo ancora. Dall’analisi
accurata che fu fatta su quel pezzo di filo di spago venne fuori che ci
stava attaccato e intrugliato un piccolo pelo di barba, quindi i servizi
dispongono delle tracce del DNA dell’attentatore.”
“E così lo scherzo
dell’illusionista, diventa una tesi da accantonare?”
“Non proprio, ma
occorre continuare l’indagine a tutto campo. Lei non si è fatto alcuna idea, un
minimo di possibile indizio?”
“Proprio no”, dissi
seccamente, “vuole che continui a occuparmi del caso o mi solleva da questa
indagine? Il Pedretti si lamenta perché tutto l’onere del commissariato sta
ricadendo su di lui”.
“Al diavolo il
Pedretti, continua per almeno altri 10 giorni, vedi se ci sono illusionisti di
un certo valore oltre il territorio di Roma e che potevano arrivare quel giorno
in città, e tienimi aggiornato sul ben
che minimo sospetto.” Mi salutò con freddezza, come per farmi capire che era
deluso del modo in cui stavo operando.
A rigore dovevo parlargli dei miei sospetti
sul Mazzetti ed era la prima volta, nella mia carriera di poliziotto, che
coprivo volontariamente qualcuno; ma parlare di quello strano caso d’invisibilità poteva espormi all’essere
considerato un po’ pazzo; e poi non avevo nessuna intenzione di lasciare il
Mazzetti nelle mani dei servizi segreti italiani e britannici.
Ritornai in commissariato, e con Tumiati
preparammo un elenco di altri illusionisti che avremmo cominciato a visitare da
domani. “Commissà, bisogna andare a Napoli, ce ne sono un paio veramente
importanti. Quella è una città che nel campo di fare sparire le cose è
speciale, e poi dista solo un paio d’ore di viaggio da Roma.”
Guardai l’orologio,
segnava le 19,00 e dissi al Tumiati: “Ti va di venire, insieme a me, a vedere
lo spettacolo di quel Rasputin? Penso che ci sarà folla stasera e chissà cosa
potrà dire durante quello spettacolo.”
Il Tumiati accettò
volentieri e dopo una cena sbrigativa, alle 21,00, eravamo dinanzi al botteghino del teatro.
Copyright © Francesco Zaffuto
post inserito il 28/01/2018
Il protagonista al botteghino e io qui, ad aspettare eventi.
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