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MARZO 1968/1 MARZO 2018!
50
ANNI DA VALLE GIULIA.
R A C C O N T O D’ A P P E N D I C E.
R A C C O N T O D’ A P P E N D I C E.
Un
intervento
di
Visconte Grisi
Arpa
eolica ringrazia l’autote
per
il permesso di pubblicazione
Le facoltà erano state tutte sgomberate il giorno prima dalla polizia, tranne quella di Magistero in Piazza Esedra.
E a Magistero si teneva quel pomeriggio l’assemblea che decise per il giorno dopo la manifestazione verso la facoltà di Architettura, con l’obbiettivo di rioccuparla. Passai la serata in Piazza Navona con un gruppo di compagni, cantando a squarciagola, con l’accompagnamento della chitarra, “Comandante Che Guevara”. Da studente fuori sede, un po’ sradicato nella città, mi piaceva quell’improvviso scoppio di socialità effervescente. Quella sera accettai l’ospitalità di Leonardo, anche lui studente di medicina ; nell’assemblea di facoltà aveva fama di estremista, i suoi interventi erano sempre i più infuocati, anche se era troppo disordinato per essere un leader. Per il resto avevamo molte cose in comune : anche lui era figlio della buona borghesia meridionale, in rotta però con la famiglia. Abitava a Borghesiana, una borgata romana, dove faceva un lavoro volontario, insegnando ai ragazzini della borgata. Passammo il resto della serata ascoltando le canzoni di Fabrizio de Andrè, fino a tardi.
La mattina dopo eravamo in ritardo. Acchiappammo a stento la coda del corteo che partiva da Piazza di Spagna. La facoltà di Architettura era presidiata da poche decine di poliziotti, goffi nei loro cappottoni blu lunghi fino ai piedi e con l’elmetto in testa, evidentemente sorpresi dal corteo numeroso. Da parte dei compagni cominciò una fitta sassaiola all’indirizzo dei poliziotti, i quali rispondevano lanciando anche loro le pietre. Da buon neofita delle manifestazioni mi trovai, incosciente, in mezzo al lancio : sentivo le pietre fischiare vicino alla mia testa, avevo paura ma non pensavo a ripararmi. Improvvisamente mi ritrovai di nuovo, non so come, in un gruppo di compagni che era riuscito a raggiungere il portone della facoltà e che spingeva per entrare. Guardando indietro però mi accorsi che eravamo rimasti isolati dal resto dei manifestanti. “Ora ci arrestano tutti” pensai in una frazione di secondo. E invece no, per fortuna. Forse anche loro impauriti, i poliziotti ci fecero scappare senza neanche picchiarci.
Attraversai la strada, correndo. Dall’altra parte della strada c’era una scalinata a gradoni, che terminava in una piazza circolare, circondata da un muro piuttosto alto. Intanto era arrivata la celere. Le camionette salivano all’impazzata su per la scalinata e giravano attorno alla piazza senza incontrare resistenza, ma dall’alto del muro i compagni le bersagliavano con oggetti di ogni sorta. Dal punto di vista “tattico” questa azione fu considerata un successo. Un compagno mi diede una mano per salire sul muro e da lì la via di fuga era aperta attraverso i giardini retrostanti. Mentre tornavo verso la pensione in cui abitavo, nei pressi del Castro Pretorio, mi sentivo felice e invaso da una strana euforia. Passando da Piazza Indipendenza vidi il “Paese Sera”, edizione straordinaria del pomeriggio, che occhieggiava dalla solita edicola con, in prima pagina, un titolo cubitale : “BATTAGLIA A VALLE GIULIA”.
N O T E.
La “battaglia” di Valle Giulia, considerata da un punto di vista strettamente “militare” fu un episodio relativamente modesto. D’altra parte anche la mitica “presa del Palazzo d’Inverno”, fatte le debite proporzioni, lo fu, da questo punto di vista. Niente barricate, niente molotov, niente di paragonabile ad altri episodi più “cruenti” avvenuti prima e dopo. E tuttavia per “l’immaginario collettivo” di quegli anni e di quella generazione, “Valle Giulia” rappresentò un punto di rottura, assimilabile presto a un mito sociale fondativo. Per la prima volta in Italia una manifestazione studentesca si scontrava duramente con la polizia e con l’apparato repressivo dello Stato. La parabola iniziata con la contestazione dell’autoritarismo accademico, della scuola di classe, della cultura borghese, sfociava in un irreversibile processo di proletarizzazione dei ceti medi intellettuali. Quello che Pasolini non capì.
Il fatto che tra i manifestanti ci fosse una numerosa presenza di figli della media e piccola borghesia poteva essere interpretato come un segnale dell’inizio della crisi profonda della classe dirigente di questo paese. Le storie personali dei partecipanti possono essere banali, insignificanti o addirittura meschine, ma non è questo il punto. Certo i leaders di quel movimento non si sono dimostrati all’altezza. Ma accanirsi sui destini dei singoli personaggi potrebbe portare alla posizione di “colui che per vedere l’albero non vede la foresta”, come diceva Engels. I personaggi più o meno chiacchierati passano, i miti restano, o ritornano.
La pagina
di Wikipedia sulla battaglia di Valle Giulia
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inserito il 09/03/2018
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