21 febbraio 1848 Il Manifesto



21 febbraio 1848  

Il Manifesto 

170 anni fa


  Il Manifesto del Partito Comunista  fu scritto da Karl Marx e Friedrich Engels tra il 1847 e il 1848 e fu pubblicato per la prima volta a 
Londra il 21 febbraio 1848
Il pamphlet era stato commissionato dalla Lega dei Comunisti per esprimere il suo progetto politico. La prima e parziale traduzione italiana fu pubblicata nel 1889.


Il Manifesto del Partito Comunista

Testo integrale a cura della redazione del Giardino dei Pensieri


Karl Marx e Friedrich Engels analizzavano la storia come lotta di classe, sempre esistita e combattuta tra oppressi ed oppressori; e sottolineavano come questo contrasto non solo era presente nella moderna società borghese, ma si era addirittura inasprito in seguito alle grandi trasformazioni sociali connesse alla trasformazione del modello produttivo, e veniva ad essere animato da solo due grandi classi: la borghesia e il proletariato. Con lo sviluppo dell'industria la classe operaia, le cui file tendevano ad ingrossarsi sempre, ed anche di parti della piccola-media borghesia e di borghesia declassata, era, secondo gli autori, destinata a crescere in numero e in forza.

Sono passati 170 anni e nel panorama delle classi sociali alcune cose sono cambiate. E’ rimasto,  e per certi aspetti si è anche ampliato e mondializzatto, il grande dislivello economico tra ricchi e poveri;  ma il peso della classe operaia è mutato. Quella classe operaia  che nella metà dell’ottocento era in espansione in tutta l’Europa, a seguito dell’ industrializzazione galoppante (anche per tutta la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento e perfino durante il periodo di ricostruzione dopo  la seconda guerra mondiale), alla fine del novecento non lo è più.  E i nuovi  processi di robotizzazione portano sempre più al limitare la presenza operaia nelle grandi fabbriche del futuro.
 La borghesia industriale si è anch’essa modificata: una parte della borghesia è diventata esclusivamente finanziaria e in cerca di guadagni indiretti attraverso speculative vendite e riacquisti e spostamenti di masse di capitali; molte delle grandi aziende industriali non hanno a capo  padroni o maggiori azionisti ma uno stuolo di manager  lautamente pagati che assolvono al loro ruolo spacciandosi per dipendenti e che hanno poteri superiori degli stessi azionisti.  Una parte del plusvalore è stato distribuito a una classe media che è diventata abbastanza ampia ed è riuscita a frapporsi come cuscinetto ammortizzatore della contraddizione ricchi/poveri ed è diventata centrale nello sviluppo di una società consumista; una certa parte della stessa classe operaia specializzata è stata spinta verso la classe media consumista.
 Agli inizi del duemila il proletariato mondiale  è una enorme massa di diseredati ma con contraddizioni interne enormi:  impossibilitati a comunicare perché non vivono più  le stesse condizioni di fabbrica fianco a fianco;  spesso dispersi in attività autonome malpagate e disprezzate; vivono condizioni economiche di proletariato perfino certi piccoli imprenditori che nel contempo si sentono lontani dagli operai anni luce; infine esistono cospicue fasce di sottoproletariato e media borghesia si sono organizzate per portare attività criminose ad di fuori delle leggi costruendo potentati economici capaci di influenzare l’economia e politica. Accanto a queste condizioni appena  elencate si sono aggiunte tutte le contraddizioni delle diversità culturali connesse a grandi fenomeni migratori. 
Mentre all’epoca di Marx e per tutta la fine dell’ottocento ed inizi del novecento, si viveva una condizione fisica di fabbrica che poteva portare alla coscienza di classe; oggi la consapevolezza di essere proletari deve passare attraverso un processo di identificazione più complesso, come se occorresse una cultura comune per sentirsi proletari; ed  una cultura comune stenta a prodursi poiché i fenomeni culturali sono spesso dominati da grandi centri di comunicazione spesso controllati da potenti lobby economiche.

 Sulla base della loro analisi  Marx ed Engels prevedevano una rivoluzione in cui il proletariato poteva conquistare il potere politico,  e dare vita ad una necessaria fase di transizione, definita "dittatura del proletariato", durante la quale dovevano essere  utilizzate dalle associazioni operaie i mezzi di produzione borghese, messi a disposizione dallo Stato, per trasformare radicalmente la società. Secondo Marx la dittatura del proletariato era solo una misura storica di transizione (sia pure a lungo termine), che mirava al superamento di sé medesima e di ogni forma di Stato.  Solo dopo questa fase transitoria si poteva attuare il comunismo, che doveva creare una società senza classi, senza sfruttatori e sfruttati, in cui i mezzi di produzione sarebbero stati gestiti dai lavoratori.

 La rivoluzione auspicata da Marx non riuscì a decollare con la Comune di Parigi, e non riuscì a decollare in Europa neanche in procinto della catastrofica prima guerra mondiale. Sarà la Russia, dove l’espansione capitalistica era appena iniziata, che diventerà terreno per la prima storica rivoluzione comunista. L’espansione dell’esperienza rivoluzionaria russa  non prenderà piede in Europa  neanche dopo la prima guerra mondiale; nonostante i catastrofici risultati della guerra la borghesia europea riuscì ad evitare l’espansione dell’esperimento comunista; vennero foraggiate tutte ipotesi di nazionalismo nascenti e cominciano a radicarsi il fascismo in Italia e il nazismo in Germania; la rivoluzione spagnola venne fermata e cominciarono a nascere le premesse della seconda guerra mondiale.
 Sul fronte della realizzazione della teorizzata  “dittatura del proletariato” in Russia, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre 1917, cominciò uno scontro tra bolscevichi e frange libertarie del pensiero socialista (le vicende di Kronštad ne delinearono tutta la drammaticità). Cominciò a prevalere un solo modo per realizzare la “dittatura del proletariato”:  centralizzato, statalista, autoritario, dove il ruolo guida del partito bolscevico diventò insostituibile, e dove il partito stesso veniva retto con una struttura piramidale e con il centralismo democratico. L’intolleranza dei vertici bolscevichi venne  giustificata con l’effettiva situazione di accerchiamento della Russia da parte degli altri Stati europei che foraggiavano l’Armata bianca. Ma quel centralismo burocratico iniziale diventerà sistema, e con l’avvento di Stalin diventerà un sistema imperiale. La giustificazione di un paradiso comunista in terra da costruire cominciò a giustificare orrende campagne persecutorie nei confronti di tutti gli oppositori e furono spazzati via anche molti degli stessi artefici del processo rivoluzionario del 1917.
L’esperienza russa riuscirà a condizionare tutto il movimento socialista internazionale per oltre cinquanta anni; e perfino dopo la caduta di Stalin,  e le rivelazioni di Kruscev, si troveranno  ancora tifosi di dell’esperienza d’intolleranza staliniana.  Altre esperienze rivoluzionarie ci sono state nel mondo (in oriente e nelle americhe)  ma quell’ipotesi di “dittatura del proletariato” si è rivelata difficilmente coniugabile con la libertà;  e di conseguenza anche la minima ricerca della felicità nel percorso della vita reale di ogni singolo uomo poteva essere sacrificata ad un ideale futuribile.

Oggi, a 170 anni dal 1848,  il mondo è in mano ad un capitalismo finanziario selvaggio; siamo sempre di fronte ad una sempre possibile catastrofe nucleare, di fronde ad una possibile catastrofe ecologica;  con masse di diseredati e poveri in continua migrazione in ogni parte del mondo;  con sacche di miseria che arrivano fino alla morte per fame;  con guerre sparse foraggiate da avidità locali e da venditori di armi internazionali. Un mondo dove la classe operaia e quasi integralmente sostituita da processi di robotizzazione, e dove la cultura viene divulgata da centri mediatici, e dove i luoghi d’incontro  umano scarseggiano.  Oggi andrebbe riletto il Manifesto di Marx ed Engels almeno per cogliere quelle lontane e giuste speranze che lo animarono, ma con il senno di quello che è accaduto e di tutti gli errori ed orrori.

 I nuovi proletari potrebbero essere un insieme di milioni e milioni di individui che acquisiscono la voglia di essere Uomini di una Umanità solidale; amanti della libertà, della uguaglianza e della giustizia; amanti dell’Utopia e sostenuti da una grande speranza, forti di una travolgente voglia di vivere. E allora perfino gli stessi deboli strumenti della democrazia borghese potrebbero fare decollare il comunismo.
Francesco Zaffuto

Un altro post di Francesco Zaffuto collegato per argomento    http://crisidopolacrisi.blogspot.it/2010/01/il-ricordo-di-un-secolo-crudele.html

Post inserito il   20/02/2018
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