In un recente servizio dell’Espresso di Lidia Caglioni si racconta della
tragica storia dei figli degli stupri etnici operati in Bosnia durante la
guerra. Hanno oggi tra i 23 e i 27
anni.
“Il giorno in
cui sono andato a bussare alla porta di mio padre e l’ho visto per la prima
volta è stato come avere davanti il mio riflesso. Non serviva alcun test del
Dna per capire che ero davvero suo figlio. Abbiamo la stessa corporatura, lo
stesso colore degli occhi, dei capelli. Solo che io, al contrario di lui, non
sono un criminale di guerra”
Questa terribile storia di oggi ci fa
ricordare un racconto di Luigi Pirandello, dove lo scrittore evidenziava tutta
la drammaticità del rapporto tra un figlio di uno stupro di guerra e la vecchia madre. L’immagine qui allegata è
tratta dal film Kaos, dove i fratelli Taviani inserirono il racconto in una
versione cinematografica. Qui di seguito il racconto integrale di Pirandello.
L'ALTRO FIGLIO
— C'è Ninfarosa?
— C'è. Bussate.
La vecchia Maragrazia bussò, e poi si calò a sedere pian piano sul
logoro scalino davanti la porta.
Era la sua sedia naturale; quello, come tant'altri davanti le porte
delle casupole di Fàrnia.
Lí seduta, o dormiva o piangeva in silenzio.
Qualcuno, passando, le buttava in grembo un soldo o un tozzo di pane; ella si
scoteva appena dal sonno o dal pianto; baciava il soldo o il pane; si segnava,
e riprendeva a piangere o a dormire.
Pareva un mucchio di cenci. Cenci unti e
grevi, sempre gli stessi, d'estate e d'inverno, strappati, sbrindellati, senza
piú colore e impregnati di sudor puzzolente e di tutto il sudicio delle strade.
La faccia giallastra era un fitto reticcio di rughe, in cui le palpebre
sanguinavano, rovesciate, bruciate dal continuo lacrimare; ma, tra quelle rughe
e quel sangue e quelle lagrime, gli occhi chiari apparivano come lontani,
quelli d'un infanzia senza memorie. Ora, spesso, qualche mosca le si attaccava,
vorace, a quegli occhi; ma ella era cosí sprofondata e assorta nella sua pena,
che non l'avvertiva nemmeno; non la cacciava. I pochi capelli, aridi, spartiti
sul capo, le terminavano in due nodicini pendenti su gli orecchi, i cui lobi
erano strappati del peso degli orecchini massicci a pendaglio portati in gioventú.
Dal mento, giú giú fin sotto la gola, la floscia giogaja era divisa da un solco
nero che le sprofondava nel petto cavo.
Le vicine, messe a sedere su l'uscio, non le badavano piú. Stavano quasi
tutto il giorno lí, e chi rattoppava panni, chi sceglieva legumi, chi faceva la
calza, e insomma, tutte occupate in qualche lavoro; conversavano davanti a
quelle loro casupole basse, che prendevano luce dall'uscio; case e stalle
insieme, dal pavimento acciottolato come la strada; e di qua la mangiatoja,
dove qualche asinello o qualche mula scalpitavano, tormentati dalle mosche; di
là, il letto alto, monumentale; e poi una lunga cassapanca nera, d'abete o di
faggio, che pareva una bara; e due o tre seggiole impagliate; la madia; e poi,
attrezzi rurali. Su le pareti grezze, fuligginose, per unico ornamento, certe
stampacce da un soldo, che volevano raffigurare i santi del paese. Per la
strada intanfata di fumo e di stalla ruzzavano ragazzi cotti dal sole, alcuni
ignudi nati, altri con la sola camicina, a brendoli, sudicia; e le galline
razzolavano, e grugnivano, soffiando col grifo tra la spazzatura , i porcellini
cretacei.
Quel giorno si parlava della nuova comitiva d'emigranti che la mattina
dopo doveva partire per l'America.
— Parte Saro Scoma, — diceva una. —
Lascia la moglie e tre figliuoli.
— Vito Scordía, — soggiungeva
un'altra, — ne lascia cinque e la moglie gravida.
— È vero che Càrmine Ronca, —
domandava una terza, — se lo porta con sé il figliuolo di dodici anni, che già
andava alla zolfara? Oh Santa Maria, il ragazzo, almeno, avrebbe potuto
lasciarglielo alla moglie. Come farà quella povera cristiana, ora, a darsi
ajuto?
— Che pianto, che pianto, — gridava
lamentosamente una quarta piú là, — tutta la notte, in casa di Nunzia Ligreci!
Il figlio Nico, tornato appena da soldato, vuol partire anche lui!
Udendo queste notizie, la vecchia Maragrazia si turava la bocca con lo
scialle per non scoppiare in singhiozzi. La foga del dolore le rompeva però,
dagli occhi sanguigni, in lagrime senza fine.
Da quattordici anni erano partiti anche a lei per l'America due
figliuoli; le avevano promesso di ritornare dopo quattro o cinque anni; ma
avevano fatto fortuna laggiú, specialmente uno, il maggiore, e si erano
dimenticati della vecchia mamma. Ogni qual volta una nuova comitiva di
emigranti partiva da Fàrnia, ella si recava da Ninfarosa, perché le scrivesse
una lettera, che qualcuno dei partenti doveva per carità consegnare nelle mani
dell'uno o dell'altro di quei figliuoli. Poi seguiva per un lungo tratto dello
stradone polveroso la comitiva, che si recava, sovraccarica di sacchi e di
fagotti, alla stazione ferroviaria della prossima città, fra le madri, le spose
e le sorelle che piangevano, disperate; e, camminando, guardava affitto affitto
gli occhi di questo o di quel giovane emigrante che simulava una romorosa allegria
per soffocare la commozione e stordire i parenti che lo accompagnavano.
— Vecchia matta, — qualcuno le
gridava. — O perché mi guardate cosí? Vorreste cavarmi gli occhi?
— No, bello, te li invidio! — gli
rispondeva la vecchia — Perché tu li vedrai i miei figliuoli. Di' loro come
m'hai lasciata; che non mi ritroveranno piú, se tardano ancora.
Intanto là le comari del vicinato seguitavano a fare il conto di quelli
che partivano il giorno appresso. A un tratto un vecchio dalla barba e dai
capelli lanosi, che se n'era stato finora zitto ad ascoltare, steso a pancia
all'aria e fumando la pipa in fondo alla straducola, rizzò il capo che teneva
appoggiato a una bardella d'asino, e, posandosi le grosse mani rocciose sul
petto:
— S'io fossi re, — disse, e sputò, —
s'io fossi re, nemmeno una lettera farei piú arrivare a Fàrnia da laggiú.
— Evviva Jaco Spina! — esclamò allora
una delle vicine. — E come farebbero qua le povere mamme, le spose, senza
notizie e senz'ajuto?
— Sí! Ne mandano assai! — brontolò il
vecchio, e sputò di nuovo. — Le madri, a far le serve; e le spose vanno a male.
Ma perché i guaj che trovano laggiú non li dicono, nelle loro lettere? Solo il
bene dicono, e ogni lettera è per questi ragazzacci ignoranti come la chioccia:
— pïo pïo pïo — se li chiama e porta via tutti quanti! Dove son piú le braccia
per lavorare le nostre terre? A Fàrnia, ormai, siamo rimasti noi soli: vecchi,
femmine e bambini. E ho la terra e me la vedo patire. Con un solo pajo di
braccia che posso fare? E ne partono ancora, ne partono! Pioggia in faccia e
vento alle spalle, dico io. Si rompano il collo, maledetti!
A questo punto, Ninfarosa schiuse la porta, e parve spuntasse il sole in
quella stradetta.
Bruna e colorita, dagli occhi neri, sfavillanti, dalle labbra accese, da
tutto il corpo solido e svelto, spirava una allegra fierezza. Aveva sul petto
colmo un gran fazzoletto di cotone rosso, a lune gialle, e grossi cerchi d'oro
agli orecchi. I capelli corvini, lucidi, ondulati, volti indietro senza
scriminatura le si annodavano voluminosamente sulla nuca attorno a uno spadino
d'argento. Nel mento rotondo, una fossetta acuta nel mezzo le dava una grazia
maliziosa e provocante.
Vedova d'un primo marito, dopo appena due anni di matrimonio, era stata
abbandonata dal secondo, partito per l'America cinque anni addietro. Di notte –
nessuno doveva saperlo – dalla porticina posta sul dietro della casa dov'era
l'orto, qualcuno (un pezzo grosso del paese) veniva a visitarla. Perciò le
vicine, oneste e timorate, la vedevano di mal'occhio, quantunque in segreto poi
la invidiassero. Gliene volevano anche, perché in paese si diceva che, per
vendicarsi dell'abbandono del secondo marito, aveva scritto parecchie lettere
anonime agli emigrati in America, calunniando e infamando alcune povere donne.
— Chi predica cosí? — disse,
scendendo su la via. — Ah, Jaco Spina! Meglio, zio Jaco, se restiamo a Fàrnia
noi soli! Zapperemo noi donne la terra.
— Voi donne, — brontolò di nuovo il
vecchio con voce catarrosa, — per una cosa sola siete buone.
E sputò.
— Per che cosa, zio Jaco? Dite forte.
— Piangere e un'altra cosa.
— E dunque per due, allegramente! Io
non piango però, vedete?
— Eh, lo so, figlia. Non piangesti
neppure quando ti morí il primo marito!
— Ma se morivo prima io, zio Jaco, —
ribatté pronta Ninfarosa, — non avrebbe forse ripreso moglie, lui? Dunque!
Vedete chi piange qua per tutti? Maragrazia.
— Questo dipende, — sentenziò Jaco
Spina, sdrajandosi di nuovo a pancia all'aria, — perché la vecchia ha acqua da
buttar via, e la butta anche dagli occhi.
Le vicine risero. Maragrazia si
scosse ed esclamò:
— Due figli ho perduto, belli come il
sole, e volete che non pianga?
— Belli davvero, oh! E da piangerli,
— disse Ninfarosa. — Nuotano nell'abbondanza, laggiú, e vi lasciano morire qua,
mendica.
— Loro sono i figli e io sono la
mamma, — replicò la vecchia. — Come possono capirla la mia pena?
— Ih! Io non so perché tante lagrime
e tanta pena, — riprese Ninfarosa, — quando voi stessa, a quel che dicono, li
faceste scappar via per disperati.
— Io? — esclamò Maragrazia, dandosi
un pugno sul petto e sorgendo in piedi, trasecolata. — Io? Chi l'ha detto?
— Chi si sia, l'ha detto.
— Infamità! Io? Ai figli miei? Io,
che…
— Lasciatela perdere! — la interruppe
una delle vicine. — Non vedete che scherza?
Ninfarosa prolungò la risata, ondeggiando dispettosamente su le anche;
poi, per rifar la vecchia della celia crudele, le domandò con voce affettuosa:
— Sú, sú, nonnetta mia, che volete?
Maragrazia si cacciò in seno la mano tremolante e ne trasse fuori un
foglietto di carta tutto gualcito e una busta; mostrò l'uno e l'altra, con aria
supplichevole, a Ninfarosa, e disse:
— Se vuoi farmi la solita carità…
— Ancora una lettera?
— Se vuoi…
Ninfarosa sbuffò; ma poi, sapendo che non se la sarebbe levata
d'addosso, la invitò a entrare.
La sua casa non era come quelle del vicinato. La vasta camera, un po'
buja quando la porta era chiusa, perché prendeva luce allora soltanto da una
finestra ferrata che s'apriva su la porta stessa, era imbiancata, ammattonata,
pulita e ben messa, con una lettiera di ferro, un armadio, un cassettone dal
piano di marmo, un tavolino impiallacciato di noce: mobilia modesta, ma di cui
tuttavia si capiva che Ninfarosa non avrebbe potuto da sola pagarsi il lusso,
coi suoi guadagni molto incerti di sarta rurale.
Prese la penna e il calamajo, posò il foglietto gualcito sul piano del
cassettone e si dispose a scrivere, lí in piedi.
— Dite sú, sbrigatevi!
— Cari figli — cominciò a dettare la
vecchia.
— Io non ho piú occhi per piangere… —
seguitò Ninfarosa, con un sospiro di stanchezza.
E la vecchia:
— Perché gli occhi miei sono
abbruciati di vedervi almeno per l'ultima volta…
— Avanti, avanti! — la incitò
Ninfarosa. — Questo gliel'avete scritto, a dir poco, una trentina di volte.
— E tu scrivi. È la verità, cuore
mio, non vedi? Dunque, scrivi: Cari figli…
— Daccapo?
— No. Adesso un'altra cosa. Ci ho
pensato tutta stanotte. Senti: Cari figli, la povera vecchia mamma vostra vi
promette e giura… cosí, vi promette e giura davanti a Dio che, se voi ritornate
a Fàrnia, vi cederà in vita il suo casalino.
Ninfarosa scoppiò a ridere:
— Pure il casalino? Ma che volete che
se ne facciano, se già sono ricchi, di quei quattro muri di creta e canne che
crollano a soffiarci sú?
— E tu scrivi, — ripeté la vecchia,
ostinata. — Valgono piú quattro pietruzze in patria, che tutto un regno
fuorivia. Scrivi, scrivi.
— Ho scritto. Che altro volete
aggiungere?
— Ecco, questo: che la vostra povera
mamma, cari figli, ora che l'inverno è alle porte, trema di freddo; vorrebbe
farsi un vestitino e non può; che vogliate farle la carità di mandarle almeno
una carta da cinque lire, per…
— Basta basta basta! — fece
Ninfarosa, ripiegando il foglietto e cacciandolo entro la busta. — Ho bell'e
scritto. Basta.
— Anche per le cinque lire? —
domandò, investita da quella furia inattesa, la vecchia.
— Tutto, anche per le cinque lire,
gnorsí.
— Scritto bene… tutto?
— Auff! Vi dico di sí!
— Pazienza… abbi un po' di pazienza
con questa povera vecchia, figlia mia, — disse Maragrazia. — Che vuoi? Sono
mezzo stolida, ora. Dio ti paghi la carità, e la Bella Madre Santissima.
Prese la lettera e se la cacciò in seno. Aveva pensato di affidarla al
figlio di Nunzia Ligreci, che si recava a Rosario di Santa Fè, dov'erano i suoi
figliuoli; e s'avviò per portargliela.
Già le donne, sopravvenuta la sera, erano rientrate in casa e quasi
tutte le porte si chiudevano. Per le straducole anguste non passava piú
un'anima. Il lampionajo andava in giro, con la scala in collo, per accendere i
rari lampioncini a petrolio, che rendevano piú triste col loro scarso lume
piagnucoloso la vista malcerta e il silenzio di quelle viuzze abbandonate.
La vecchia Maragrazia andava curva, premendosi con una mano sul seno la
lettera da mandare ai figliuoli, come per comunicare a quel pezzo di carta il
suo calore materno. Con l'altra, o si grattava a una spalla, o si grattava in
testa. A ogni nuova lettera, le rinasceva prepotente la speranza, che con
quella sarebbe alla fine riuscita a commuovere e a richiamare a sé i figliuoli.
Certo, leggendo quelle sue parole, pregne di tutte le lagrime versate per loro
in quattordici anni, i suoi figliuoli belli, i suoi dolci figliuoli non
avrebbero piú saputo resistere.
Ma
questa volta, veramente, non era molto soddisfatta della lettera che recava in
seno. Le pareva che Ninfarosa l'avesse buttata giú troppo in fretta, e non era
neanche ben sicura che ci avesse proprio messo l'ultima parte, delle cinque
lire per il vestitino. Cinque lire! Che guasto avrebbero fatto ai suoi
figliuoli, già ricchi, cinque lire, per vestire le carni della loro vecchia
mamma infreddolita?
Attraverso le porte chiuse delle casupole, le giungevano intanto le
grida di qualche madre che piangeva la prossima partenza del figliuolo.
— Oh figli! Figli! — gemeva allora
tra sé Maragrazia, premendosi piú forte la lettera sul seno. — Con che cuore
potete partire? Promettete di ritornare; poi non ritornate piú… Ah, povere
vecchie, non credete alle loro promesse! I vostri figliuoli, come i miei, non
ritorneranno piú… non ritorneranno piú…
A un tratto, si fermò sotto un lampioncino, sentendo romor di passi per
la viuzza. Chi era?
Ah, era il nuovo medico condotto, quel giovine venuto da poco, ma che presto
– a quanto dicevano – sarebbe andato via, non perché avesse fatto cattiva
prova, ma perché malvisto dai pochi signorotti del paese. Tutti i poveri,
invece, avevano preso subito a volergli bene. Sembrava un ragazzo, a vederlo;
eppure era proprio vecchio di senno, e dotto: faceva restar tutti a bocca
aperta, quando parlava. Dicevano che anche lui voleva partire per l'America. Ma
non aveva piú la mamma, lui: era solo!
— Signor dottore, — pregò Malagrazia
— vorrebbe farmi una carità?
Il giovane dottore si fermò sotto il lampioncino, frastornato. Pensava,
andando, e non s'era accorto della vecchia.
— Chi siete? Ah, voi…
Si ricordò d'aver veduto piú volte quel mucchio di cenci davanti alle
porte delle casupole.
— Vorrebbe farmi la carità, — ripeté
Maragrazia, — di leggermi questa letterina che debbo mandare ai miei figliuoli?
— Se ci vedo… — disse il dottore,
ch'era miope, rassettandosi sul naso le lenti.
Maragrazia trasse dal seno la lettera; gliela porse e restò in attesa
ch'egli cominciasse a leggerle le parole dettate a Ninfarosa: — Cari figli… —
Ma che! Il medico, o non ci vedeva, o non riusciva a decifrare la scrittura:
accostava agli occhi il foglietto, lo allontanava per vederlo meglio al lume
del lampioncino, lo rovesciava di qua, di là… Alla fine, disse:
— Ma che è?
— Non si legge? — domandò timidamente
Maragrazia.
Il dottore si mise a ridere.
— Ma qua non c'è scritto nulla, —
disse. — Quattro sgorbii, tirati giú con la penna, a zig-zag. Guardate.
— Come! — esclamò la vecchia, restando.
— Ma sí, guardate. Nulla. Non c'è
scritto proprio nulla.
— Possibile? — fece la vecchia. — Ma
come? Se gliel'ho dettata io, a Ninfarosa, parola per parola! E l'ho vista che
scriveva…
— Avrà finto, — disse il medico
stringendosi nelle spalle.
Maragrazia rimase come un ceppo; poi si diede un gran pugno sul petto:
— Ah, infamaccia! — proruppe. — E
perché m'ha ingannata cosí? Ah, per questo, dunque, i miei figli non mi
rispondono! Dunque, nulla! Mai nulla ha scritto loro di tutto quello che io le
ho dettato… Per questo! Dunque non ne sanno niente i figli miei, del mio stato?
Che io sto morendo per loro? E io li incolpavo, signor dottore, mentr'era lei,
quest'infamaccia qua, che si è sempre burlata di me… Oh Dio! Oh Dio! E come si
può fare un simile tradimento a una povera madre, a una povera vecchia come me?
O oh, che cosa! Oh…
Il giovane dottore, commosso e indignato, si provò dapprima a quietarla
un poco; si fece dire chi fosse quella Ninfarosa, dove stesse di casa, per
farle il giorno dopo una strapazzata, come si meritava. Ma la vecchia badava
ancora a scusare i figliuoli lontani del lungo silenzio, straziata dal rimorso
d'averli incolpati per tanti anni dell'abbandono, sicurissima ora ch'essi
sarebbero ritornati, volati a lei se una sola di quelle tante lettere, ch'ella
aveva creduto di mandar loro, fosse stata scritta veramente e fosse loro
pervenuta.
Per troncare quella scena, il dottore dovette prometterle che la mattina
seguente avrebbe scritto lui una lunga lettera per quei figliuoli:
— Sú, sú, non vi disperate cosí!
Verrete domattina da me. A dormire, adesso! Andate a dormire.
Ma che dormire! Circa due ore dopo, il dottore, ripassando per quella
straducola, la ritrovò ancora lí, che piangeva, inconsolabile, accosciata sotto
il lampioncino. La rimproverò, la fece levare, le ingiunse d'andar subito a
casa, subito, perché era notte.
— Dove state?
— Ah, signor dottore… Ho un casalino,
qua sotto, all'uscita del paese. Avevo detto a quell'infamaccia di scrivere ai
figli miei che lo avrei loro ceduto in vita, se volevano ritornare. S'è messa a
ridere, svergognata! Perché sono quattro muretti di creta e canne. Ma io…
— Va bene, va bene, — troncò di nuovo
il dottore . — Andate a dormire! Domani scriveremo anche del casalino. Sú
venite, v'accompagno.
— Dio La benedica, signor dottore! Ma
che dice? Accompagnarmi, vossignoria! Vada, vada avanti; io sono vecchierella e
vado piano.
Il dottore le diede la buona notte, e s'avviò. Maragrazia gli tenne
dietro, a distanza; poi, arrivata al portoncino in cui lo vide entrare, si fermò,
si tirò sul capo lo scialle, s'avvolse bene, e sedette su lo scalino lí davanti
la porta, per passarvi la notte, in attesa.
All'alba, dormiva, quando il dottore, ch'era mattiniero uscí per le
prime visite. Essendo il portoncino a un solo battente, nell'aprirlo, si vide
cadere ai piedi la vecchia dormente, che vi stava appoggiata.
— Ohé! Voi! Vi siete fatta male?
— Vo… vossignoria mi perdoni, —
balbettò Maragrazia, ajutandosi, con ambo le mani, avviluppate nello scialle, a
rizzarsi.
— Avete passato qua la notte?
— Sissignore… È niente, ci sono
avvezza, — si scusò la vecchia. — Che vuole, signorino mio? Non mi so dar pace…
non mi so dar pace del tradimento di quella scellerata! Mi verrebbe
d'ammazzarla, signor dottore! Poteva dirmi che le seccava scrivere, sarei
andata da un altro; sarei venuta da vossignoria, che è tanto buono…
— Sí, aspettate un po' qua, — disse
il dottore. — Ora passerò io da questa buona femmina. Poi scriveremo la
lettera, aspettate.
E andò di fretta dove la vecchia la sera avanti gli aveva indicato. Gli
avvenne per caso di domandare proprio a Ninfarosa, che si trovava già in
istrada, l'indirizzo di colei a cui voleva parlare. — Eccomi qua, sono io,
signor dottore, — gli rispose, ridendo e arrossendo, Ninfarosa; e lo invitò a
entrare.
Aveva veduto passare piú volte per la stradetta quel giovane medico
dall'aspetto quasi infantile, e com'era sempre sana, e non avrebbe saputo
finger di star male per chiamarlo, ora si mostrò contenta, pur nella sorpresa,
che egli fosse venuto da sé per parlare con lei. Appena seppe di che si
trattava, e lo vide turbato e severo, si piegò, procace, verso di lui, col
volto dolente, per il dispiacere ch'egli si prendeva senza ragione, via! E,
appena poté, senza commettere la sconvenienza d'interromperlo:
— Ma scusi tanto, signor dottore, —
disse, socchiudendo i begli occhi neri, — lei s'affligge sul serio per quella
vecchia matta? Qua in paese la conoscono tutti, signor dottore, e non le bada
piú nessuno. Lei domandi a chi vuole, e tutti le diranno che è matta, da
quattordici anni, sa? Da che le sono partiti quei due figliuoli per l'America.
Non vuole ammettere che essi si siano scordati di lei, com'è la verità, e
s'ostina a scrivere, a scrivere… Ora, tanto per contentarla, capisce? Io fingo…
cosí, di farle la lettera; quelli che partono, poi, fingono di prendersela per
recapitarla. E lei, poveraccia, s'illude. Ma se tutti dovessimo far come lei, a
quest'ora, signor dottore mio, non ci sarebbe piú mondo. Guardi, anch'io che le
parlo sono stata abbandonata da mio marito… Sissignore! E sa che coraggio ha
avuto questo bel galantuomo? Di mandarmi un ritratto di lui e della sua bella
di laggiú! Glielo posso far vedere. Stanno tutti e due con le teste, l'una
appoggiata all'altra e le mani afferrate cosí, permette? Mi dia la mano… cosí!
E ridono, ridono in faccia a chi li guarda: in faccia a me vuol dire. Ah,
signor dottore, tutta la pietà è per chi parte e per chi resta niente! Ho
pianto anch'io, si sa, nei primi tempi; ma poi mi sono fatta una ragione, e ora… ora tiro a
campare e a spassarmela anche, se mi capita, visto che il mondo è fatto cosí!
Turbato dall'affabilità provocante, dalla simpatia che quella bella
donna gli dimostrava, il giovane dottore abbassò gli occhi e disse:
— Ma perché voi, forse, avrete da
vivere. Quella poverina, invece…
— Ma che! Quella? — rispose
vivacemente Ninfarosa — Avrebbe da vivere anche lei, ih! Bella seduta e servita
in bocca. Se volesse. Non vuole.
— Come? — domandò il dottore, alzando
gli occhi, meravigliato.
Ninfarosa, nel vedergli quel bel faccino stupito, scoppiò a ridere,
scoprendo i denti forti e bianchi, che davano al suo sorriso la bellezza
splendida della salute.
— Ma sí! — disse. — Non vuole, signor
dottore! Ha un altro figlio qua, l'ultimo, che la vorrebbe con sé e non le
farebbe mancare mai nulla.
— Un altro figlio? Lei?
— Sissignore. Si chiama Rocco Trupía.
Non vuole saperne.
— E perché? — Perché è proprio matta,
non glielo dico? Piange giorno e notte per quei due che l'hanno abbandonata, e
non vuole accettare neanche un tozzo di pane da quest'altro che la prega a mani
giunte. Dagli estranei, sí.
Non volendo un'altra volta mostrarsi stupito, per nascondere il
turbamento crescente il dottore s'accigliò e disse:
— Forse l'avrà trattata male, codesto
figlio.
— Non credo, — disse Ninfarosa. —
Brutto, sí; sempre ingrugnato; ma non cattivo. E lavoratore, poi! Lavoro,
moglie e figliuoli: non conosce altro. Se vossignoria si vuol levare questa
curiosità, non ha da camminare molto. Guardi, seguitando per questa via, appena
a un quarto di miglio, uscito dal paese, troverà a destra quella che chiamano
la Casa della Colonna. Sta lí. Ha in affitto una bella chiusa, che gli rende
bene. Ci vada, e vedrà che è come le dico io.
Il
dottore si levò. Ben disposto da quella conversazione, allettato dalla dolce
mattinata di settembre, e piú che mai incuriosito sul caso di quella vecchia,
disse:
— Ci vado davvero.
Ninfarosa si recò le mani dietro la nuca per rassettarsi i capelli attorno
allo spadino d'argento, e sogguardando il dottore con gli occhi che le ridevano
promettenti:
— Buona passeggiata, allora, — disse.
— E serva sua!
Superata l'erta, il dottore si fermò, per riprender fiato. Poche altre
povere casette di qua e di là e il paese finiva; la viuzza immetteva nello
stradone provinciale, che correva diritto e polveroso per piú d'un miglio sul
vasto altipiano, tra le campagne: terre di pane, per la maggior parte, gialle
ora di stoppie. Un magnifico pino marittimo sorgeva a sinistra, come un
gigantesco ombrello, meta ai signorotti di Fàrnia delle consuete loro
passeggiate vespertine. Una lunga giogaja di monti azzurrognoli limitava, in
fondo in fondo, l'altipiano; dense nubi candenti, bambagiose, stavano dietro ad
essi come in agguato: qualcuna se ne staccava, vagava lenta pel cielo, passava
sopra Monte Mirotta, che sorgeva dietro Fàrnia. A quel passaggio, il monte
s'invaporava d'un'ombra cupa, violacea, e subito si rischiarava. La quiete
silentissima della mattina era rotta di tratto in tratto dagli spari dei
cacciatori al passo delle tortore o alla prima entrata delle allodole; seguiva
a quegli spari un lungo, furibondo abbajare dei cani di guardia.
Il dottore andava di buon passo per lo stradone, guardando di qua e di là
le terre aride, che aspettavano le prime piogge per esser lavorate. Ma le
braccia mancavano, e spirava da tutte quelle campagne un senso profondo di
tristezza e d'abbandono.
Ecco laggiú la Casa della Colonna, detta cosí perché sostenuta a uno
spigolo da una colonna d'antico tempio greco, corrosa e smozzicata. Era una
catapecchia, veramente; una roba, come i contadini di Sicilia chiamano le loro
abitazioni rurali. Protetta, dietro, da una fitta siepe di fichidindia, aveva
davanti due grossi pagliai a cono.
— Oh, della roba! — chiamò il
dottore, che aveva paura dei cani, fermandosi davanti a un cancelletto di ferro
arrugginito e cadente.
Venne un ragazzotto di circa dieci anni, scalzo, con una selva di
capelli rossastri, scoloriti dal sole, e un pajo di occhi verdognoli, da
bestiola forastica.
— C'è il cane? — gli domandò il
dottore.
— C'è, ma non fa niente: tonosce, — rispose il
ragazzo.
— Sei figlio di Rocco Trupía, tu?
— Sissignore.
— Dov'è tuo padre.
— Scarica il toncime, di là, ton le
mule.
Sul murello davanti la roba stava seduta la madre, che pettinava la
figliuola maggiore, la quale poteva aver presso a dodici anni, seduta su un
secchio di latta, con un bambinello di pochi mesi su le ginocchia. Un altro
bambino ruzzava per terra, tra le galline che non lo temevano, a dispetto d'un
bel gallo che, impettito, drizzava il collo e scoteva la cresta.
— Vorrei parlare con Rocco Trupía, —
disse il giovane dottore alla donna. — Sono il nuovo medico del paese.
La donna rimase un tratto a guardarlo, turbata, non comprendendo che
cosa potesse volere quel medico da suo marito. Si cacciò la camicia ruvida
dentro il busto, che le era rimasto aperto da che aveva finito d'allattare il
piccino, se lo abbottonò e si levò in piedi per offrire una sedia. Il medico
non la volle, e si chinò a carezzare il bamboccetto per terra, mentre l'altro
ragazzo scappava a chiamare il padre.
Poco dopo s'intese lo scalpiccío di grossi scarponi imbullettati, e, di
tra i fichidindia, apparve Rocco Trupía, che camminava curvo, con le gambe
larghe ad arco, e una mano alla schiena, come la maggior parte dei contadini.
Il naso largo, schiacciato, e la troppa lunghezza del labbro superiore,
raso, rilevato, gli davano un aspetto scimmiesco; era rosso di pelo, e aveva la
pelle del viso pallida e sparsa di lentiggini; gli occhi verdastri, affossati,
gli guizzavano a tratti di torvi sguardi, sfuggenti.
Sollevò una mano per spingere un po' indietro su la fronte la berretta
nera, a calza, in segno di saluto.
— Bacio le mani a vossignoria. Che
comandi ha da darmi?
— Ecco, ero venuto — cominciò il
medico, — per parlarvi di vostra madre.
Rocco Trupía si turbò:
— Sta male?
— No, — s'affrettò a soggiungere
quello. — Sta al solito; ma cosí vecchia, capirete, lacera, senza cure…
Man mano che il dottore parlava, il turbamento di Rocco Trupía cresceva.
Alla fine, non poté piú reggere, e disse:
— Signor dottore, mi deve dare
qualche altro comando? Sono pronto a servirla. Ma se vossignoria è venuto qua
per parlarmi di mia madre, Le chiedo licenza, me ne torno al lavoro.
— Aspettate… So che non manca per
voi, — disse il medico, per trattenerlo. — M'hanno detto che voi, anzi…
— Venga qua, signor dottore, — saltò
sú a dire Rocco Trupía improvvisamente, additando la porta della roba. — Casa
da poverelli, ma se vossignoria fa il medico, chi sa quante altre ne avrà
vedute. Le voglio mostrare il letto pronto sempre e apparecchiato per quella…
buona vecchia: è mia madre, non posso chiamarla altrimenti. Qua c'è mia moglie,
ci sono i miei figliuoli: possono attestarle com'io abbia loro comandato di
servire, di rispettare quella vecchia come Maria Santissima. Perché la mamma è
santa, signor dottore! Che ho fatto io a questa madre? Perché deve svergognarmi
cosí davanti a tutto il paese e lasciar credere di me chi sa che cosa? Io sono
cresciuto, signor dottore, coi parenti di mio padre, è vero, fin da bambino;
non dovrei rispettarla come madre, perché essa è sempre stata dura con me;
eppure l'ho rispettata e le ho voluto bene. Quando quei figliacci partirono per
l'America, subito corsi da lei per prendermela e portarmela qua, come la regina
della mia casa. Nossignore! Deve far la mendica, per il paese, deve dare questo
spettacolo alla gente e quest'onta a me! Signor dottore, Le giuro che se qualcuno
di quei suoi figliacci ritorna a Fàrnia, io lo ammazzo per quest'onta e per
tutte le amarezze che da quattordici anni soffro per loro: lo ammazzo, com'è
vero che sto parlando con Lei, in presenza di mia moglie e di questi quattro
innocenti!
Fremente, piú che mai sbiancato in volto, Rocco Trupía si forbí la bocca
schiumosa col braccio. Gli occhi gli s'erano iniettati di sangue.
Il giovane dottore rimase a guardarlo, sdegnato.
— Ma ecco — poi disse, — perché
vostra madre non vuole accettare l'ospitalità che le offrite: per codesto odio
che nutrite contro i vostri fratelli! È chiaro.
— Odio? — fece Rocco Trupía serrando
le pugna indietro e protendendosi. — Ora sí, odio, signor dottore, per quello
che hanno fatto patire alla loro madre e a me! Ma prima, quando erano qua, io
li amavo e rispettavo come fratelli maggiori. E loro, invece, due Caini per me!
Ma senta: non lavoravano, e lavoravo io per tutti; venivano qua a dirmi che non
avevano da cucinare la sera; che la mamma se ne sarebbe andata a letto digiuna,
e io davo; s'ubriacavano, scialacquavano con le donnacce, e io davo; quando
partirono per l'America, mi svenai per loro. Qua c'è mia moglie che glielo può
dire.
— E allora perché? — disse di nuovo,
quasi a sé stesso il dottore.
Rocco Trupía ruppe in un ghigno
— Perché? Perché mia madre dice che
non sono suo figlio!
— Come?
— Signor dottore, se lo faccia
spiegare da lei. Io non ho tempo da perdere: gli uomini di là mi aspettano con
le mule cariche di concime. Debbo lavorare e… guardi, mi sono tutto
rimescolato. Se lo faccia dire da lei. Bacio le mani. E Rocco Trupía se n'andò
curvo, com'era venuto, con le gambe larghe, ad arco, e la mano alla schiena. Il
dottore lo seguí con gli occhi per un tratto, poi si voltò a guardare i
piccini, ch'eran rimasti come basiti, e la moglie. Questa congiunse le mani e,
agitandole un poco e socchiudendo amaramente gli occhi, emise il sospiro delle
rassegnate:
— Lasciamo fare a Dio!
Ritornato in paese, il dottore volle venir subito in chiaro di quel caso
cosí strano, da parer quasi inverosimile; e ritrovando la vecchia ancora seduta
su lo scalino davanti alla porta della sua casa, come l'aveva lasciata, la
invitò a salire con una certa asprezza nella voce.
— Sono stato a parlare con vostro
figlio, alla Casa della Colonna, — poi le disse. — Perché mi avete nascosto che
avevate qua quest'altro figlio?
Maragrazia lo guardò, dapprima smarrita, poi quasi atterrita; si passò
le mani tremanti su la fronte e sui capelli, e disse:
— Ah, signorino: io sudo freddo, se
vossignoria mi parla di quel figlio. Non me ne parli, per carità! — Ma perché?
— le domandò, adirato, il dottore. — Che v'ha fatto? Dite sú!
— Nulla, m'ha fatto, — s'affrettò a
rispondere la vecchia. — Questo debbo riconoscerlo, in coscienza! Anzi, m'è
sempre venuto appresso, rispettoso… Ma io… vede come tremo, signorino mio,
appena ne parlo? Non ne posso parlare! Perché quello lí, signor dottore, non è
figlio mio!
Il giovane medico perdette la pazienza, proruppe:
— Ma come non è figlio vostro? Che
dite? Siete stolida o matta davvero? Non l'avete fatto voi?
La vecchia chinò il capo, a questa sfuriata, socchiuse gli occhi
sanguigni, rispose:
— Sissignore. E sono stolida, forse.
Matta, no. Dio volesse! Non penerei piú tanto. Ma certe cose vossignoria non le
può sapere, perché è ancora ragazzo. Io ho i capelli bianchi, sto a penare da
tanto tempo io, e n'ho viste! N'ho viste! Ho visto cose, signorino mio, che
vossignoria non si può nemmeno immaginare.
— Che avete visto, insomma? Parlate!
— la incitò il dottore.
— Cose nere! Cose nere! — sospirò la
vecchia scotendo il capo. — Vossignoria non era allora neanche nella mente di
Dio, e io le ho viste con questi occhi che hanno pianto da allora lagrime di
sangue. Ha sentito parlare vossignoria d'un certo Canebardo?
— Garibaldi? — domandò il medico,
stordito.
— Sissignore, che venne dalle nostre
parti e fece ribellare a ogni legge degli uomini e di Dio campagne e città?
N'ha sentito parlare?
— Sí, sí, dite! Ma come c'entra
Garibaldi? — C'entra, perché vossignoria deve sapere che questo Canebardo diede
ordine, quando venne, che fossero aperte tutte le carceri di tutti i paesi.
Ora, si figuri vossignoria che ira di Dio si scatenò allora per le nostre campagne!
I peggiori ladri, i peggiori assassini, bestie selvagge, sanguinarie,
arrabbiate da tanti anni di catena… Tra gli altri ce n'era uno, il piú feroce,
un certo Cola Camizzi, capobrigante, che ammazzava le povere creature di Dio,
cosí, per piacere, come fossero mosche, per provare la polvere – diceva, – per
vedere se la carabina era parata bene. Costui si buttò in campagna, dalle
nostre parti. Passò per Fàrnia, con una banda che s'era formata, di contadini;
ma non era contento, ne voleva altri, e uccideva tutti quelli che non volevano
seguirlo. Io ero maritata da pochi anni e avevo già quei due figliucci, che ora
sono laggiú, in America, sangue mio! Stavamo nelle terre del Pozzetto che mio
marito, sant'anima, teneva a mezzadria. Cola Camizzi passò di là e si trascinò
via anche lui, mio marito, a viva forza. Due giorni dopo, me lo vidi ritornare
come un morto; non pareva piú lui; non poteva parlare, con gli occhi pieni di
quello che aveva veduto, e si nascondeva le mani, poveretto, per il ribrezzo di
ciò ch'era stato costretto a fare… Ah, signorino mio, mi si voltò il cuore in
petto quando me lo vidi davanti cosí: «Nino mio!» gli gridai (sant'anima!)
«Nino mio, che hai fatto?» Non poteva parlare. «Te ne sei scappato? E se ti
riafferrano, ora? Ti ammazzeranno!» Il cuore, il cuore mi parlava. Ma egli,
zitto, sedette vicino al fuoco, sempre con le mani nascoste cosí, sotto la
giacca, gli occhi da insensato, e stette un pezzo a guardare verso terra; poi
disse «Meglio morto!». Non disse altro. Stette tre giorni nascosto; al quarto
uscí: eravamo poverelli, bisognava che lavorasse. Uscí per lavorare. Venne la
sera; non tornò… Aspettai, aspettai, ah Dio! Ma già lo sapevo me l'ero
immaginato. Pure pensavo: «Chi sa! Forse non l'hanno ammazzato; forse se lo
sono ripreso!». Venni a sapere, dopo sei giorni, che Cola Camizzi si trovava
con la sua banda nel feudo di Montelusa, che era dei Padri Liguorini, scappati
via. Ci andai, come una pazza. C'erano, dal Pozzetto, piú di sei miglia di
strada. Era una giornata di vento, signorino mio, come non ne ho piú viste in
vita mia. Si vede il vento? Eppure quel giorno si vedeva! Pareva che tutte le
anime degli assassinati gridassero vendetta. Agli uomini e a Dio. Mi misi in
quel vento, tutta strappata, ed esso mi portò: gridavo piú di lui. Volai: ci
avrò messo appena un'ora ad arrivare al convento, che stava lassú lassú, tra
tante pioppe nere. C'era un gran cortile, murato. Vi s'entrava per una
porticina piccola piccola, da una parte, mezzo nascosta, ricordo ancora, da un
gran cespo di capperi radicato su, nel muro. Presi una pietra, per bussare piú
forte; bussai, bussai; non mi volevano aprire; ma tanto bussai, che finalmente
m'aprirono. Ah, che vidi!
A questo punto, Maragrazia si levò in piedi, stravolta dall'orrore, con
gli occhi sanguigni sbarrati, e allungò una mano con le dita artigliate dal
ribrezzo. Le mancò la voce in prima, per proseguire.
— In mano… — poi disse, — in mano…
quegli assassini…
S'arrestò di nuovo, come soffocata, e agitò quella mano, quasi volesse
lanciare qualcosa.
— Ebbene? — domandò il dottore, allibito.
— Giocavano… là, in quel cortile…
alle bocce… ma con teste d'uomini… nere, piene di terra… le tenevano acciuffate
pei capelli… e una, quella di mio marito… la teneva lui, Cola Camizzi… e me la
mostrò. Gettai un grido che mi stracciò la gola e il petto, un grido cosí
forte, che quegli assassini ne tremarono; ma, come Cola Camizzi mi mise le mani
al collo per farmi tacere, uno di loro gli saltò addosso, furioso; e allora,
quattro, cinque, dieci, prendendo ardire da quello, gli s'avventarono contro,
se lo presero in mezzo. Erano sazii, rivoltati anche loro della tirannia feroce
di quel mostro, signor dottore, e io ebbi la soddisfazione di vederlo scannato
lí, sotto gli occhi miei, dai suoi stessi compagni, cane assassino!
La vecchia s'abbandonò su la seggiola, sfinita, ansimante, agitata tutta
da un tremito convulso.
Il giovane medico stette a
guardarla, raccapricciato, col volto atteggiato di pietà, di ribrezzo e di
orrore. Ma passato il primo stupore, come poté ricomporre le idee, non seppe
comprendere che nesso quella truce storia potesse avere col caso di quell'altro
figlio; e glielo domandò.
— Aspetti, — rispose la vecchia,
appena poté riprender fiato. — Quello che prima si ribellò, quello che prese le
mie difese, si chiamava Marco Trupía.
— Ah! — esclamò il medico. — Dunque,
questo Rocco…
— Suo figlio, — rispose Maragrazia. —
Ma pensi, signor dottore, se io potevo esser la moglie di quell'uomo dopo
quanto avevo visto! Mi volle per forza; tre mesi mi tenne con sé, legata,
imbavagliata, perché io gridavo, lo mordevo… Dopo tre mesi, la giustizia venne
a scovarlo là e lo richiuse in galera, dove morí poco dopo. Ma rimasi incinta.
Ah, signorino mio, Le giuro che mi sarei strappate le viscere: mi pareva che
stessi a covarci un mostro! Sentivo che non me lo sarei potuto vedere tra le
braccia. Al solo pensiero che avrei dovuto attaccarmelo al petto, gridavo come
una pazza. Fui per morire, quando lo misi alla luce. Mi assisteva mia madre,
sant'anima, che non me lo fece neanche vedere: lo portò subito dai parenti di
lui, che lo allevarono… Ora non Le pare, signor dottore ch'io possa dire
davvero ch'egli non è figlio mio?
Il giovane dottore stette un pezzo
senza rispondere, assorto a pensare; poi disse:
— Ma lui, in fondo, vostro figlio,
che colpa ha? — Nessuna! — rispose subito la vecchia. — E quando mai, difatti,
le mie labbra hanno detto una parola sola contro di lui? Mai, signor dottore!
Anzi… Ma che ci posso fare, se non resisto a vederlo neanche da lontano! È
tutto suo padre, signorino mio; nelle fattezze, nella corporatura finanche
nella voce… Mi metto a tremare, appena lo vedo, e sudo freddo! Non sono io; si
ribella il sangue, ecco! Che ci posso fare?
Attese un po', asciugandosi gli occhi col dorso delle mani; poi, temendo
che la comitiva degli emigranti partisse da Fàrnia senza la lettera per i suoi
figliuoli veri, per i suoi figliuoli adorati, si fece coraggio e disse al
dottore ancora assorto:
— Se vossignoria volesse farmi la
carità che mi ha promesso…
E come il dottore, riscotendosi, le disse che era pronto si accostò con
la seggiola alla scrivania e, ancora una volta, con la stessa voce di lagrime,
cominciò a dettare:
— Cari figli…
Post inserito il 15/03/2019
La PAGINA DEDICATA A LUIGI PIRANDELLO
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