La matassa di spago – 5° puntata

La matassa di spago

Romanzo breve – inedito di Francesco Zaffuto

Copyright  © Francesco Zaffuto




5° puntata

Chiamai a telefono  il mio collaboratore Tumiati: “A che punto sei con quel Rasputin?”
“Nel buio più totale,  commissario, non riesco a rintracciarlo”.
“Lascia perdere Tumiati, ho io l’indirizzo, me lo ha dato l’altro mago”.
“Che facciamo, commissario, lo andiamo a trovare oggi pomeriggio?”
“No, no, ho da fare altro, ci andiamo domani mattina. Ritieniti libero per oggi.” 
“Grazie, commissario.”
Due maghi in una sola giornata erano un po’ troppi;  e poi, dopo il colloquio con Girotti,  l’ipotesi illusionisti del questore faceva acqua.   Mi si ripresentava  alla mente l’ipotesi Mazzetti.  Sì, dovevo togliermi quella ossessione;  e poiché, a detta del pittore,  non stava più a dormire sotto i ponti occorreva cercarlo in quell’Hotel che desiderava tanto.
 Chiamai un taxi:
“Mi porti all’Hotel Hassler, piazza Trinità dei monti”. 
 Lungo il tragitto, cercai di organizzare le possibili domande che potevo fare. Certo un commissario può fare domande insolite, ma non volevo che mi pigliassero per matto.
 Entrai nella lussuosa hall e, mostrando il mio tesserino, dissi all’impiegato della reception:
“Sono il commissario Biagini. Voi quando notate qualcosa di strano nell’Hotel  fate rapporto a chi?”
“Al direttore dell’Hotel”.
“Bene, se ora c’è, è con lui che voglio parlare”.
 Il direttore mi ricevette subito e notai che era molto ben disposto nei miei confronti.
 Alla mia domanda: “Avete notato qualcosa di strano nelle camere vuote del vostro albergo?” parve illuminarsi.
“Veramente, commissario, ero fortemente indeciso, in questi giorni, se venire io in commissariato per far presente alcune stranezze;  ma poi considerando che trattavasi di cose di poca rilevanza e non facili da spiegare ho soprasseduto rinviando.”
“Mi dica.” Diss’io alzando al massimo la mia attenzione.
“Alla camera 41, camera vuota, l’inserviente che provvede alle pulizie mi ha segnalato da tre giorni delle strane presenze.”
“Che tipo di presenze”.
“Si tratta di questo:  al mattino il letto era in ordine  ma non nell’ordine con cui  viene sistemato dal nostro personale. Un cuscino era un po’ leggermente unto e un altro giorno c’erano delle briciole sul tappetino. Tappetino che era stato in precedenza ben spolverato.”
“Da quanti giorni accadono questi fenomeni?”
“Da tre giorni”.
“Senta, le dispiace darmi la chiave di questa camera, in modo che io possa fare subito, ora stesso,  una verifica?  Per sicurezza preferirei andare da solo. Non ho alcun mandato. Comprende!?.“
“Ma si figuri, commissario, certo che può, la camera è attualmente libera. E anzi non posso che ringraziarla.”
  La chiave non si trovava nell’apposita cassetta della portineria. Il direttore cominciò ad entrare in agitazione  e mi diede la chiave di riserva. Chiesi di non essere seguito da nessuno, arrivai alla 41 e con la massima circospezione aprii ed entrai. Diedi un colpo d’occhio veloce in tutti gli angoli, volevo con i miei occhi arrivare ad una inquadratura complessiva e nell’insieme cogliere i particolari, impresa  difficile, ma considerato che trattavasi di una sola camera, ci riuscii.
 Non c’era nessun essere a me visibile. Aprii anche il locale dei servizi e doccia, niente. Sul tavolo adibito a piccola scrivania  giaceva al centro l’altra chiave.   Andai all’ampia finestra, c’era tutta Roma che si distendeva al mio sguardo, il sole cominciava a calare e indorava cupole e case.
 Il Mazzetti aveva detto che voleva godere di quel paesaggio, il povero miserabile Mazzetti diventato invisibile per il mondo voleva vedere Roma da Trinità dei monti. Pensai per un attimo che quel desiderio era legittimo e pareva coincidere con il mio desiderio perché anch’io dilungavo con piacere lo sguardo.
 Come un pazzo cominciai a parlare ad alta voce: “Mazzetti, Mazzetti Franco sei qua? Sai bene che io non ti voglio fare del male, ma questa volta l’hai fatta grossa. Non ci sono solo io a darti la caccia. Io non ti vedo ma se sei qua fammi capire qualcosa. Altre volte ti ho visto, questa volta non ti vedo. Sono diventato cieco anch’io a questo punto, come tutti gli altri. Cosa vuoi che faccia?”
 Aspettai invano una risposta, un minuto lunghissimo, in cui mi parve udire un respiro. Mi girai di scatto e la porta d’ingresso della camera che avevo ben chiuso entrando era aperta. 
Non c’erano dubbi, c’era qualcuno in quella camera che aveva ascoltato il mio discorso.
 Ritornai dal direttore che mi accolse con l’ansiosa domanda: “Avete notato qualcosa?”.
“No, purtroppo no. L’altra chiave stava dentro, sulla scrivania. Tenga.  Le consiglio una cosa:  se la camera resta vuota faccia in modo che la chiave non sia a disposizione nella reception. Se deve darla a un cliente può farlo tranquillamente.”
“Questo che vuol dire?” chiese il direttore con un’aria insieme smarrita ed anche indispettita.
“Vuol dire nulla. Si tratta di indagini su cui io non posso riferire a lei, perché sono vincolato, deve capire. Comunque gli dò uno spunto che potrà rassicurarla. La persona che ha usato la camera è molto abile e pensa di non avere lasciato traccia. Appena si accorgerà, non trovando la chiave,  che la 41 è sotto sorveglianza, non andrà a cercare altre camere  vuote qui e sicuramente cambierà albergo.  E’ molto probabile che l’abbia già fatto.”.
“E’ così abile?”
“Certo, abilissimo. E questo per lei è una fortuna perché non ritornerà. Per me è una disgrazia perché lo debbo cercare e non sarà facile. Comprende?”
Quelle mie frasi lo avevano ampiamente rassicurato, il direttore mi ringraziò e mi accompagnò alla porta con sorrisi ed inchini. 

 Ripresi il taxi per andare a casa, avevo messo nei pasticci il Mazzetti per quella sera, nel contempo speravo che trovasse un buon letto da qualche parte, io avevo il mio, anche il mio era un letto solitario.  

  Arrivai con fatica alla fine del paragrafo “Spiegazione” del romanzo : … l’oscurità ritornò completa, la cecità e la sordità ripresero possesso delle tenebre; e Jean Valjean, non osando ancora muoversi, rimase a lungo addosso al muro, l’orecchio teso, le pupille dilatate, guardando la scomparsa di quella pattuglia di fantasmi.
 
“Se io non sono Javert, cosa sono, Valjean?” mi chiesi, sospendendo la lettura.  Mi tolsi gli occhiali, era ora di prendere sonno;  stesi il mio braccio  e la mia mano, non c’era,  sentii forte l’assenza di Nella.

Copyright  © Francesco Zaffuto


post inserito il  17/12/2017



6 commenti:

  1. Ho visto il tuo racconto nei giorni scorsi ma no avevo tempo per fermarmi a gustare la narrazione ma oggi sì, ho letto tutto di seguito e penso, come sempre, che tu sia un ottimo narratore a cui nulla manca.
    Ottimo!

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    1. Ciao Sari, grazie - spero avrai la pazienza di arrivare alla fine di questa narrazione

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  2. Purtroppo non ho avuto ancora il tempo di assaporare, ci vuole il momento giusto, ma rimedierò senza dubbio.
    Cristiana

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