La matassa di spago – 4° puntata

La matassa di spago

Romanzo breve – inedito di Francesco Zaffuto

Copyright  © Francesco Zaffuto



4° puntata

 In meno di un’ora il Tumiati fu in grado di trovarmi Stella del buio, che rispondeva al comune mortale Marco Girotti. Potevo parlargli nel ristorante dove si appoggiava per mangiare, vicino al teatro dove la sera avrebbe dato spettacolo. 
 Arrivai insieme al Tumiati, il cameriere ci indicò il tavolo dove quel tal Girotti stava pranzando da solo. “Senti” dissi al Tumiati “mettiti subito sulle tracce dell’altro che si fa chiamare Rasputin e poi ti raggiungo in ufficio”. 
“Non è facile, perché non si capisce se è arrivato o se non è arrivato ancora a Roma”.
“Fai di tutto,  vedi da dove doveva venire e se ha altre possibilità di alloggio oltre i normali alberghi”. 
Tumiati andò via, non mi andava di dirgli a bruciapelo che preferivo che non ascoltasse la mia conversazione con quell’illusionista.

 Con un colpo d’occhio l’osservai e mi parve una persona che avevo visto da qualche parte, era la sua foggia e il suo stile che non mi erano nuovi; poi capii,  per i suoi baffi puntiti e per il suo sguardo che era una copia a grandi linee di Salvador Dalì.
“Signor Girotti, sono il commissario Biagini, posso pranzare con lei e farle qualche domanda?”
“Se non sono domande indigeste sicuramente sì”,  disse indicando la sedia che gli stava di fronte.
“Vedo che lei è già alle prese con degli spaghetti al nero di seppie. La prima domanda è  se sono  buoni, così li ordino anch’io”.
“Come cavia rispondo che sono ottimi. Ed anche questo vino bianco solo leggerissimamente frizzante che ben si accompagna.” 
 Mentre il cameriere disponeva i bicchieri dinanzi a me l’illusionista versò nel mio bicchiere da vino quel bianco che aveva vantato.
 Avevo portato con me quel quotidiano che avanzava l’ipotesi degli illusionisti e l’avevo posto sull’angolo destro del tavolo, vidi che il mio commensale scrutò il giornale con sguardo fintamente distratto.
Ordinai gli spaghetti al nero di seppie e nell’attesa cominciai:
 “Forse lei, per la sua qualità di mago, già prevede quali possono essere le mie domande”.
“Vede, dalle 11 alle 13 di ieri, io debbo risponderle che purtroppo non ero a Roma. Non solo, ma la mia collocazione era cosi distante e visibile in un altro posto che oltre alla qualità di illusionista avrei dovuto avere anche quella della bilocazione per essere a Roma.  Ero a Firenze e alle 12,30 stavo pranzando con un gruppo di personalità dello spettacolo e con aggiunta di foto per l’occasione dell’incontro.”
 Sorrisi compiaciuto per il suo acume e per la sua immediatezza, era evidente che aveva letto il giornale:
“Lei mi ha tolto subito ogni argomento, e ora potrò gustare lo spaghetto che arriva con la massima tranquillità.  Posso allora fare qualche domanda libera ed accademica: lei che idea si è fatta di quello che è accaduto ai due primi ministri ieri?”
 Cominciò con un’aria professorale, come un cattedratico del mestiere:
  “Guardando il filmato della diretta ho visto due persone che tentano di allontanarsi e che non riescono a farlo per qualcosa che lo impedisce verso i piedi. Lei sicuramente ne sa più di me, ma quello che io ho potuto dedurre tecnicamente è che: o erano legati per le scarpe con qualche laccio o stringa, o le suole delle loro scarpe erano rimaste incollate a terra.  Chi poteva fare un simile attentato o scherzo, comunque lo si voglia chiamare, doveva avvicinarsi. La colla poteva essere sparsa in precedenza e poca sicurezza ci sarebbe stata nell’effetto finale, con il laccio o stringa l’effetto sarebbe stato certo. Non essendoci sotto il palco botole e accorgimenti, la persona che si avvicina deve essere per forza insospettabile o invisibile”.
 Si fermò alla parola “invisibile” , osservando il cameriere che mi poneva davanti il piatto di spaghetti al nero di seppie, aggiunse:
  “Ecco, vede,  il cameriere poggia il piatto naturalmente, lei vede il piatto ma non il cameriere, il suo occhio guidato dall’appetito va sul piatto, il cameriere può aver fatto tanti altri movimenti che a lei sono sfuggiti. A me no, perché voglio chiedere al cameriere di portare un’altra bottiglia di bianco e sto aspettando l’attimo preciso per rivolgere la richiesta. Va bene lo stesso bianco?”
 “Certo, va benissimo!”. 
“Allora un'altra bottiglia, di questo e ben fredda”, disse rivolgendosi al cameriere che ci guardava con aria crucciata per il sentirsi indicato ad esempio di una discussione che non afferrava.
“Quindi tutti distratti, per altro e l’illusionista o prestigiatore porta avanti il suo disegno di cose mirabolanti.” Diss’io cominciando ad operare sui miei spaghetti.
“Sì, proprio così. Ma nello specifico, del fatto accaduto a Roma, ci sta uno spazio molto breve e frontale, ci stanno tanti occhi e un corpo estraneo sarebbe notato, quindi il corpo non deve essere estraneo. Se lei mi dice colla è possibile, perché poteva essere messa prima e la buona riuscita dello scherzo è stata tutta casuale; poteva avere altri risultati o nessun risultato. Se lei mi dice laccio e allora io dico impossibile, perché dovrebbero essere presenti i requisiti dell’invisibilità e non ci sono, perché non siamo in un teatro e la scena non è stata predisposta, e ci sono tanti occhi, compresi occhi che sono meccanici come le telecamere di sorveglianza.”
Stava ad aspettare come se io potessi dire: laccio o colla. Ma io continuavo a mangiare i miei spaghetti con una certa voracità.
Riprese: “Lei non mi vuole dire né laccio né colla; e posso ben capire perché è legato alla discrezione dell’indagine. Ma io ho cercato lo stesso di rispondere alla sua domanda in modo esauriente.”
“Quindi nessun illusionista poteva essere in grado di ordire un simile scherzo. E’ questa la sua conclusione?”
Tardò a darmi una risposta e continuò ad osservarmi mentre io continuavo imperterrito ad aggredire gli  spaghetti.
“Sono buoni?” mi chiese,  come per intervallo.
“Molto buoni”, risposi. 
 Il cameriere arrivò con l’altra bottiglia,  il mago versò subito e riempì  i nostri due bicchieri quasi fino al colmo.
“Sì, nessuno del mio mestiere”
“Quindi nessuno è in grado di avere tali poteri da renderlo invisibile?”
Ci fu un lunghissimo silenzio, io ero arrivato a buon punto con i miei spaghetti e il mago stese gli appuntiti baffi di Dalì verso l’alto.
“Vede, commissario, la qualità dell’invisibile può essere una qualità, ma è soprattutto un difetto di quelli che guardano, quelli che guardano cominciano a non vedere tante cose e di conseguenza potrebbero anche non vedere un corpo o dei corpi che pur essi esistono. La cosa di solito non è così generalizzata ma può ampliarsi.  I cosiddetti trucchi non fanno che ampliare tale difetto. Non so se tale difetto si può chiamare qualità per l’altro ma in certi casi la si può anche chiamare qualità. Io dicevo che al momento,  e per quello che mi è dato di conoscere,  non ci sono illusionisti capaci di fare ciò che è accaduto ieri.  Aggiungerei anche, che dato il rischio grande,   non avrebbero  il motivo di fare qualcosa di quel genere … Vedo che lei ha già finito i suoi spaghetti e sicuramente sarà sazio. Nonostante ciò le consiglio di assaggiare delle ottime olive ascolane che servono in questo locale.”  Accettai la sua idea e il mago alzò la mano per chiamare il cameriere.
“Cosa ne pensa di Rasputin?” chiesi a bruciapelo. Vidi che per un attimo si turbò, poi fu assalito da un sorriso nervoso.
“Il massimo di Rasputin è quello di fare scomparire e ricomparire un po’ di conigli dal cilindro. Ma Rasputin è ambizioso e tutto proteso alla ricerca del massimo della visibilità. Certo che,  se le stesse domande che ha fatto a me, le avesse poste a lui; poteva sentirsi dire che lui era in grado di fare anche quello,  che sta nei suoi poteri. Non vale una cicca,  ma la sua presunzione e la sua vanità sono stratosferiche.”
“Sa lei se si trova già a Roma?”
“E’ a Roma da tre giorni, si esibirà sabato sera  nel mio stesso teatro. Io con lo spettacolo di questa sera ho finito.”
Il cameriere interruppe per un attimo la nostra conversazione servendoci le olive ascolane.
“Quel Rasputin non era a Firenze con lei ieri?”
“Certo che no” rispose veloce e con gran fastidio.
“Non lo riusciamo a trovare in nessun albergo.”
“Vuole che con le mi capacità di guardare in un sfera di cristallo riesca a dirgli dove si trova Rasputin?”
“Sarebbe ottimo”
Il mago prese in mano il suo bicchiere, fece roteare il vino bianco che ci stava dentro, e poi:  “Sta presso Fiorella Tisani, via Po. E’ la sua amante, e purtroppo  due anni fa era mia moglie.” Disse e poi schiacciò tra i denti con forza una delle olive ascolane che ci avevano appena portato.
 Mi appuntai l’indirizzo ben dettagliato con numero civico,  e continuammo a mangiare le olive che erano ottime  senza dir nulla. Solo alla fine delle olive aggiunse: “Lei potrà comprendere quanta stima io possa avere di quel balordo che si fa chiamare Rasputin”.  
 Prendemmo il caffè, chiesi se gli dispiaceva che pagassi io, lui volentieri accettò. Poi accese una sigaretta e aspirò con profonda soddisfazione, io intervenni subito dicendo:
 “Ma non si può fumare qui, è un locale pubblico.”
“Certo, è così. Lei non può fumare qui.  Ma io posso perché a questa distanza,  e per via di un mio trucco,  loro non mi vedono. “
  Quelle frasi mi misero un po’ a disagio, lo salutai e andai via.  Alla cassa posta vicina all’uscita,   mentre pagavo,  chiesi al gestore: “Ma lei lo vede che il mago sta fumando?”.  “E certo che lo vedo. Un po’ di tolleranza perché a quest’ora non ci sono altri clienti, se no lo avrei mandato subito a quel paese.”  Inghiottii un sorriso che mi si era sviluppato dentro, per un attimo ci avevo creduto.

Copyright  © Francesco Zaffuto



post inserito il  10/12/2017

2 commenti:

  1. Sempre gustoso il tuo racconto.
    Già mi chiedo se il mago Rasputin avrà qualche idea in proposito, magari per farsi pubblicità.
    Cristiana

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