Trenta anni fa moriva, il
18 Maggio 1988, Enzo Tortora, giornalista e conduttore televisivo che fu al
centro di uno dei processi più famosi d’Italia. Accusato ingiustamente da un
clan di malavitosi venne prima condannato in primo grado e poi assolto in
appello.
Il 17 giugno 1983, Enzo
Tortora viene svegliato alle 4 del mattino dai Carabinieri di Roma e arrestato
per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico.
Le
accuse si basavano tutte su dichiarazioni di pregiudicati. Un solo elemento oggettivo: su un'agendina
trovata nell'abitazione di un camorrista appariva scritto a penna un nome,
inizialmente, quello di Tortora, con a fianco un numero di
telefono; il nome, ad esito di una perizia calligrafica, risultò non essere
quello del presentatore, bensì quello di un tale Tortona. Nemmeno
il recapito telefonico risultò appartenere al presentatore.
Nel giugno del 1984, a un anno esatto dal suo arresto, Enzo
Tortora fu eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito
Radicale, che ne sostenne le battaglie giudiziarie.
Il
17 settembre 1985 Tortora fu condannato a dieci anni di carcere, principalmente
per le accuse di pentiti. Il 13 dicembre 1985 si dimise da
europarlamentare e, rinunciando all’immunità parlamentare, si chiuse agli
arresti domiciliari.
Il
15 settembre 1986 Enzo Tortora fu assolto con formula piena dalla Corte d’appello
di Napoli e i giudici smontarono le accuse rivoltegli dai camorristi, per i
quali iniziò un processo per calunnia: secondo i giudici di appello, gli accusatori del presentatore - quelli
legati a clan camorristici - avevano dichiarato il falso allo scopo di ottenere
una riduzione della loro pena - altri, invece, non legati all'ambiente
carcerario, avevano il fine di trarre pubblicità dalla vicenda.
Il caso Tortora portò in quello stesso anno
al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, confermato dall'80,2% dei votanti che si
espresse per l'abrogazione "degli articoli 55, 56 e 74 del codice di
procedura civile", che escludevano la responsabilità. Poco tempo dopo, il
Parlamento approvò la Legge 13 aprile 1988 n. 117 sul "Risarcimento dei
danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità
civile dei magistrati", nota come «legge Vassalli » (votata da Pci, Psi,
Dc), il cui disposto faceva ricadere la responsabilità di eventuali errori non
sul magistrato, ma sullo Stato, che successivamente poteva rivalersi, in
ragione di un terzo di annualità dello stipendio, sullo stesso. La legge
Vassalli conteneva anche il divieto di applicazione retroattiva e di
conseguenza Tortora non ebbe alcun risarcimento.
Nessuna azione penale o indagine di approfondimento fu mai
avviata, né alcun procedimento disciplinare fu mai promosso davanti al Consiglio
Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani,
che proseguirono le proprie carriere senza ricevere censure per il loro operato
nel caso Tortora.
Nella
foto tratta dalla pagina sopraindicata vediamo: Enzo Tortora, Domenico Modugno
e Marco Pannella ad una manifestazione
del Partito Radicale per il referendum sulla responsabilità civile dei
magistrati del 1988.
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inserito il 17/05/2018
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