LO SVILUPPO E LA CRESCITA
di Angelo Gaccione
“La società consumista è nella sua essenza una società cannibalica:
dopo aver divorato la natura mangerà se stessa”
[Da: Il calamaio di Richelieu, 1989 – Angelo Gaccione]
Sono stato indeciso fino all’ultimo se titolare questo scritto: “Né
vincitori né vinti”, tanto il consumo
insensato di mondo ha raggiunto livelli così alti e ultimativi, il cui esito
non potrà che essere la fine di ciascuno e di tutti. Perché è certo che la
parabola del capitalismo con i suoi vertiginosi consumi, uniti ad una crescita
demografica vieppiù incontrollata, non potrà non giungere, in un tempo
relativamente prossimo, al suo tragico epilogo.
Uso l’aggettivo tragico perché la fine del capitalismo non sarà solamente la fine di un mondo, ma potrebbe rivelarsi addirittura come la fine del mondo. È probabile che queste riflessioni, per chi è abituato ad una visione del tempo limitata all’indomani, come in genere avviene per la ristretta categoria dei politici e della più vasta massa degli ignari, susciteranno la solita alzata di spalle e saranno liquidate (il loro autore compreso), come apocalittiche e catastrofiche, preferendo crogiolarsi in quella visione ottimistica e consolatoria proprio di quel mondo tardo ottocentesco definitivamente tramontato. Bisognerebbe invece prendere atto che quel mondo col suo stile di vita rassicurante, le sue risorse che erano apparse illimitate, e il suo contenuto peso demografico, non esiste più. Ci troviamo più tragicamente dentro un mondo finito e dalle risorse limitate, occupato da una massa umana che con gli attuali impressionanti e inarrestabili ritmi della sua riproduzione, lo porterà al collasso. In una visione del tempo non deformata dalla miopia di una prassi contingente, la teoria non è per nulla un esercizio astratto, tutt’altro. Essa permette di guardare lontano, di avere un quadro impietoso dei processi in atto e dei suoi futuribili scenari. Una buona teoria è figlia di una buona ricerca, è analisi spietata. La teoria altro non è se non un’anticipazione della prassi, e per fare della buona prassi è necessario fare della buona teoria. La politica ha fallito su tutti i fronti perché ha rinunciato allo sguardo lungo della teoria, forse perché non ne è più capace. Perciò annaspa e va a tentoni, e blatera a casaccio di crescita, sviluppo e consumi.
Sono decenni, oramai, che economisti, industriali e
politici di ogni stazza, ci bombardano con due termini che hanno assunto, per
alcuni aspetti, valore taumaturgico: crescita
e sviluppo. Crescita di chi? sviluppo
di che? per fare che cosa? A questi interrogativi non rispondono mai. A detta
di questi signori, senza sviluppo e crescita (che nel loro delirio devono
essere illimitati) non ci sarebbe ricchezza e tanto meno progresso, e la
società regredirebbe ad uno stadio a dir poco primitivo. Queste parole magiche
è già qualche tempo che tolgono il sonno al mondo dell’economia e a molti Stati.
Ora si dà il caso che mai il mondo era stato tanto sviluppato e progredito;
tanta vertiginosa la sua crescita, l’espansione della ricchezza, la
disponibilità di denaro, di merci, di beni di consumo, e tuttavia, mai una
quantità spaventosa di persone è stata ridotta alla fame, alla miseria, al
suicidio, come durante quest’epoca di sviluppo, di crescita, di progresso. Ad
una tecnologia avveniristica non è corrisposta alcuna “liberazione” dal lavoro,
come sognavano filosofi e riformatori degli ultimi due secoli; se di
“liberazione” si può parlare è quella che brutalmente chiamiamo disoccupazione, vale a dire:
espulsione dal ciclo produttivo senza salario. Disoccupazione che il
progressivo sviluppo della tecnologia aggraverà e renderà endemica. Le vagonate
di scritti e di pubblicazioni, i dibattiti degli anni più recenti, hanno
definitivamente sfatato la mitologia che circonda i due termini in questione.
Una crescita illimitata e uno sviluppo secondo i ritmi intrapresi dalle società
occidentali capitalistiche, basati sul principio del produci (non importa cosa) e consuma
(non importa quanto) per arraffare profitti, è una strada che porta diritta
alla catastrofe. Come oramai sappiamo da tempo, se i desideri umani sono
illimitati, le risorse della natura non lo sono. Proseguendo con questo ritmo,
non solo consumeremo ogni materia prima disponibile in un tempo relativamente
breve, non lasciando alle generazioni future che il deserto, ma trasformeremo
il territorio in una discarica sempre più gigantesca, dove scarto e spreco -in
modo empio e sacrilego- di gran parte di questo sviluppo e di questa crescita,
andranno ad accumularsi. Senza contare che l’impiego di energia necessaria a
crescita senza criterio e a sviluppo dissennato, ci sta già presentando il
conto in termini di inquinamento, surriscaldamento globale, desertificazione,
siccità, alluvioni e cataclismi di ogni tipo, mettendo in discussione il
concetto stesso di economia e di vivibilità ambientale. Un conto che sarà
sempre più salato e di cui non abbiamo intravisto che i contorni. Dovremmo
invece cambiare strada e alla svelta. Legare crescita e sviluppo alla
sostenibilità ambientale e alla sopravvivenza di tutte le specie, e non al
profitto. Essere spietatamente rigidi su cosa
produrre e soprattutto come produrlo,
rinunciando ad immettere nel circolo della vita concreta ciò che alla vita
stessa non serve, o peggio, le risulta nocivo. Uscire dal dominio dell’economia
astratta che produce senza ragione, significa preoccuparsi della casa che
abitiamo e preservare quello che ancora resta di integro, ponendo un freno al
consumo, rallentandone il ritmo folle e rovinoso. Il verbo consumare ha un significato sinistro. Consumare vuol dire
cancellare, far sparire, distruggere. Ciò che si consuma è perduto per sempre,
perduto per tutti. Se ci pensiamo, questo modo disinvolto di usare il
linguaggio, dà i brividi. Una società sana e responsabile dovrebbe invece
preoccuparsi di conservare, preservare,
custodire, tramandare, dando alle parole lo spessore che compete loro, il senso
profondo del valore che racchiudono. Ma sarà possibile? Tutti gli indicatori lo
escludono. Fermare questa macchina impazzita, i più la ritengono impresa
disperata. Intelligenze raffinatissime sono rassegnate al peggio. Altri
confidano cinicamente in una catastrofe ambientale che riconduca tutto ai
primordi. E mentre le cose volgono al peggio, fra miseria e risentimento, c’è
chi accumula azioni, una smodata ricchezza virtuale, di cui non si potrà
servire.
Immagine fuori testo – china
“equilibrio economico” 1976 di Francesco
Zaffuto
post inserito il 03/03/2017
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