ARTAUD – IL CORPO SENZA ORGANI

Con questo post continua l’inserimento su Arpa eolica del saggio su Antonin Artaud di Federico Zaffuto – tutto il piano dell’opera su
ANTONIN ARTAUD: LA DISSOLUZIONE DELLE FORME E LA produzione del mondo


 DISSOLVERE L’ANATOMIA: IL CORPO SENZA ORGANI E IL GIUDIZIO DI DIO 
 La missione che l’arte ha di creare mondi non investe soltanto il problema della
rappresentabilità dell’oggetto ma anche quello che riguarda la struttura corporea
dell’uomo. Se questo avviene nella pittura già a livello della percezione, è ancora più
specificatamente grazie al teatro e al suo utilizzo dei diversi linguaggi deputati a
differenti organi di senso che si può realizzare tale scopo. Ecco perché nelle prime
pagine de Il teatro e il suo doppio ci viene detto: «L’importante è questo: la
formazione di una realtà, l’irruzione inedita di un mondo. […] Lo spettatore che
viene da noi sa di venire a sottoporsi a una operazione vera, dove sono in gioco non
solo il suo spirito ma i suoi sensi e la sua carne. Andrà ormai al teatro come va dal
chirurgo o dal dentista. Con lo stesso stato d’animo, pensando evidentemente di non morire per questo, ma che è una cosa grave e che non ne uscirà integro»(102). Si rischia di fraintendere questo continuo ricorrere a immagini come smembramenti, corpi straziati, dissezioni, e di interpretarlo per un eccessivo e facile gusto verso tematiche violente che vanno di pari passo con l’idea di crudeltà. Già abbiamo spiegato come questo termine non vada inteso in tale direzione, ma c’è di più, l’idea di Artaud è quella di un uomo costituito male al quale bisogna «rifare l’anatomia», e ogni richiesta così radicale nelle dinamiche dell’esistenza non può che comportare una scelta rischiosa e sofferta: «È la coscienza a conferire all’esercizio di qualsiasi atto della vita un colore di sangue, una nota crudele, perché è chiaro che la vita è sempre la morte di qualcuno»(103).
L’arte in questo senso, dal punto di vista della costituzione anatomica dell’uomo
offre una grande possibilità per portarsi sulla strada di una concezione del corpo
umano e delle sue funzioni del tutto differente da quella consueta. Nel testo intitolato
Per farla finita con il giudizio di dio Artaud scrive: «L’uomo è malato perché è mal
costruito./ Bisogna decidersi a metterlo a nudo per grattargli/ via questa piattola che
lo rode mortalmente,/ dio,/ e con dio/ i suoi organi,/ [… ] non c’è nulla di più inutile di un organo»(104). Quella fissità delle forme che imprigiona la forza, di cui abbiamo
parlato precedentemente, è la stessa che sta alla base della decisione di mondo che ha
portato a concepire il corpo dell’uomo secondo una visione anatomica e specializzata
della vita. L’anatomia in questo senso è da intendere etimologicamente come
anatomé, ovvero incisione, taglio, dissezione, derivante da una concezione scientifica
che considera il corpo come un insieme di organi e funzioni separati tra loro: un
corpo, cartesianamente inteso come automa, analizzabile separatamente secondo le
proprie funzioni. Da questo punto di vista allora l’arte che fonde tra di loro, al livello
degli organi di senso percettivi, le diverse funzioni, rappresenta un’immagine diretta
di quella possibilità di concepire l’uomo secondo una visione differente.
Un’immagine che produrrebbe una sensazione che si può definire acustica è già
un’esperienza che di per sé mette in discussione l’idea della separatezza degli organi
di senso, almeno così come vengono concepiti a livello fisiologico: «E da dove
vengono le bestie/ in questo caso?/ Dal fatto che il mondo delle percezioni corporee/ non è al suo livello,/ e non a posto (105)», scriveva infatti Artaud.
Quello che si vuole superare è proprio un’idea di corpo come insieme di
organi/funzioni che in tal senso possono essere dissezionati e studiati. Anche la
sessualità è incastrata in questa concezione e da questo punto di vista non può che
essere collegata alla funzione riproduttiva alla quale gli organi genitali sono deputati
tramite l’atto della copulazione. Artaud vede in particolare in questa fissazione delle
funzioni sessuali la costituzione di un mondo osceno che letteralmente lo sconvolge:
«Sono stato stravolto/ e tetanizzato/ per anni/ dalla danza di uno spaventoso mondo
di/ microbi/ esclusivamente sessualizzati/ […] Sono stato tormentato senza tregua
dagli spasimi/ di eczemi intollerabili/ dove si scatenavano tutte le purulenze della vita erotica/ della bara»(106).

 (dipinto di A. Artaud)
La dinamica vitale è stata così incastrata in un sistema funzionale e organizzato, portato avanti dal mero funzionamento automatico degli organi riproduttivi. La nascita, il concepimento della vita, non arrivano ad essere il frutto di un atto creativo, ma il risultato automatico di questi organi. Se consideriamo un essere vivente come un insieme di organi, ne stiamo valutando esclusivamente la sua natura strumentale, il suo essere organizzato in funzione di altro da sé: organo significa anzitutto strumento, ed ogni strumento si determina come tale in relazione ad una precisa funzione alla quale è deputato. Questa produzione automatica della vita, che sclerotizza la vera dimensione vitale, fa sì che l’uomo in sé non diventi altro che il mero strumento che la vita ha per riprodurre se stessa all’infinito. E che cos’è che riproduce? Organi, che a loro volta riproducono altri organi: la riproduzione sessuale è una falsa produzione di vita in cui si nasconde l’immobilità della morte, perché costringe nella fissità di un’unica forma di esistenza la dinamica della rigenerazione vitale attraverso quella che viene definita la «vita erotica della bara». Vi è un parallelismo tra la produzione di corpi e quella dei significati il cui atto generativo avverrebbe attraverso la forma della copulazione, vero e proprio apice di questa oscenità da superare. In questo senso dobbiamo interpretare la seguente affermazione: «Perché/ avete lasciato che dagli organi uscisse/ la lingua/ ma bisognava tagliarla, agli organismi,/ la lingua/ all’uscita dei canali del corpo»(107).
Sessuale è, nella lingua, il rapporto che lega un soggetto ad un predicato attraverso la
copula: la lingua che così si muove partorisce significati. Non è un caso che prima di
questo passaggio nell’opera vengano inserite tutta una serie di glossolalie alla ricerca
di un’espressione che non aderisca alla dinamica di produzione di significato della
lingua. 

 (dipinto di A. Artaud)

L’anatomia del corpo ha dunque un corrispettivo con l’anatomia del giudizio definitorio con la quale Artaud intende farla finita.(108) Infatti nei quaderni preparatori di Histoire vécue d’Artaud-Mômo leggiamo: «L’anatomia nella quale siamo infagottati è un’anatomia analitica, logica […] È il funzionamento potremmo dire sillogistico dell’organismo la causa di tutte le malattie»(109). Nel sillogismo si compie un vero e proprio accoppiamento, grazie al quale da due giudizi ne nasce uno nuovo, e non solo, in tale struttura il termine medio svolge una funzione simile a quella dell’organo riproduttivo. All’oscenità della vita sessuale, definita «vita erotica della bara», corrisponde un’oscenità della vita intellettuale fondata su corpi insignificanti, i segni, che non fanno altro che rimandare a significati che rinviano ad una realtà fuori di sé. Il problema è proprio questo, che né nel corpo né nella lingua la motivazione di esistere sussiste di per sé: come il corpo-organo è in funzione della riproduzione automatica di organi, così i segni della lingua lo sono in quella della produzione di significati.  

 (disegno di A. Artaud)

Attraverso la danza bisognerà riprodurre un movimento capace di superare questa
fissità nella quale l’uomo occidentale si è sclerotizzato, e questa danza deve anzitutto
coinvolgere le funzioni vitali di quel corpo anatomico che è concepito come
collezione di organi orientati verso tali funzioni: «Si è fatto mangiare il corpo umano,/ lo si è fatto bere,/ per evitare/ di farlo danzare»(110). Questo per quanto
riguarda il superamento di una visione che riduca il corpo a una pura macchina
digestiva e riproduttiva; dal punto di vista della produzione di significati bisognerà
trovare una lingua che non si esprima più attraverso quei segni morti che non sono
altro che un rimando a significati precostituiti. In questo senso la lingua glossolalica
assume il ruolo di una vera e propria danza di segni, dove sono i suoni a contare in
una ricerca ritmica, che porti a un’espressione vocalica fuori dalla produzione di
significati. Ecco perché i testi dell’ultimo periodo (soprattutto quelli che vanno dal
’46 al ’48) sono di sempre più difficile interpretazione; vi è una ricerca precisa nel
produrre opere che dal punto di vista semantico tradizionale propriamente non
funzionano. D'altronde egli stesso dirà di voler ormai scrivere per gli analfabeti: una
scrittura analfabetica permette di forzare la struttura del rinvio tra segno e significato
in direzione di quei «geroglifici animati» che aveva indicato come uno dei tratti
essenziali del suo teatro. 
La danza intende recuperare quella forza vitale che è andata perduta con la visione
anatomica dell’uomo, perché per Artaud la vita è essenzialmente «disseminazione […] semenza radio-fisica di magia»(111): è questa fecondità, che consiste proprio nel
produrre trasformazioni, che va recuperata; tutto il contrario di una visione pre-
orientata dell’organismo umano che seguirebbe i compiti circoscritti dalle sue
funzioni organiche. Si può così tentare attraverso la danza e il teatro l’esecuzione di
un movimento ritmico che, recuperando questa disseminazione vitale, restituisca alle
forme una loro capacità di metamorfosi rigenerativa. Danzare i miti per farli
tramontare; il mito di un corpo come collezione di organi, il mito del giudizio
definitorio, «poiché siamo circondati di Miti che vogliono partorirsi addosso a noi,
che cosa fare? Costruire un palcoscenico per danzare i miti che ci martirizzano e
farne degli esseri veri prima di imporre a tutti la mandragola seminale della semenza delle idee […]. Danzare è soffrire un mito, sostituirlo, quindi, con la realtà»(112). 
Ma questa danza non è necessariamente eseguita su un palcoscenico, non è per forza
esclusivamente la messa in scena vera e propria di questa arte; apprendiamo ad
esempio nei 50 dessins pour assasiner la magie, che anche i disegni sono il risultato
di un movimento simile a quello prodotto dalla danza, dove il gesto grafico si
prolunga e confonde con quello coreografico: «Quando scrivo […] io cerco di
prolungare/ l’azione di ciò/ che ho scritto/ nell’atmosfera, allora/ io mi alzo/ cerco/
delle consonanze/ degli adattamenti/ di suoni,/ dei bilanciamenti del corpo/ e degli
arti/ che mettano in azione/ che richiamino/ lo spazio circostante/ a sollevarsi/ e a parlare/ dopo io mi avvicino/ alla pagina/ scritta»(113). Il gesto pittorico e lo scrivere
sono un tutt’uno con questi movimenti che potremmo definire coreografici. Tramite
questi disegni, che sono dei disegni scritti, viene attraversato il limite stesso che
separa le arti tra di loro: è come se un gesto unico portasse al superamento della parete che divide le varie arti abolendone le frontiere.(114)

 (immagine fuori testo - bal musette per strada)

Questa rigenerazione corporea avviene tramite quella «danza alla rovescia» che è «il delirio del bal musette»(115) e che permetterà all’uomo la liberazione da tutti gli automatismi in cui una visione organica del corpo lo avevano incastrato.(116)
Il corpo così inteso si fa luogo di gestazione per la nascita di una nuova corporeità, e, come il soggettile, diventa il supporto di quella incisione chirurgica che lo disseziona «sul tavolo dell’autopsia»(117) : operazione questa, che porterà alla creazione dell’«in-nato». La danza è una danza alla rovescia perché l’uomo deve risalire indietro ad una sua dimensione originaria dove i sensi non siano ancora separati, prima dunque della loro divisione e articolazione in un sistema funzionale, tornando a quella dimensione che Merlau-Ponty nella Fenomenologia della percezione definisce pre-sensibile e che permette di «fare apparire uno strato originario del sentire che precede la divisione dei sensi»(118). Possiamo capire allora qual è il senso del macabro soggetto per la scena intitolato La pietra filosofale presente ne Il teatro e il suo doppio dove uno dei personaggi, il medico chirurgo, che viene presentato come colui che solitamente fa a pezzi i manichini, opera lo smembramento del corpo di Arlecchino. Questi aveva giaciuto con Colombina, la moglie del dottore, ma il bambino che ne esce dopo questa operazione di smembramento di Arlecchino ha però le fattezze del medico. Questo perché è il dottore il vero protagonista dell’azione che porterà al concepimento dell’in-nato - e non Arlecchino che si è limitato ad agire come un corpo organico tramite la copulazione - è lui il vero padre, e il figlio è il risultato di un’operazione di dissezione avvenuta sul tavolo chirurgico. 

 (immagine fuori testo - anonimo fiammingo - la famiglia di Arlecchino)

Il corpo umano, così inteso, non sarà più quella «pila elettrica/ a cui sono state
castrate e inibite le scariche», ma recupererà la sua dimensione pura, ovvero quella di
«assorbire/ tramite i suoi spostamenti voltaici/ le disponibilità erranti/ dell’infinito
del vuoto,/ dei buchi di vuoto/ sempre più smisurati/ di una possibilità organica mai colmata»(119). Di questa danza rimane il movimento di un corpo (come nei disegni di Artaud quello che contava era il gesto che produceva il segno grafico tramite il getto sul foglio) che in questi termini non può essere più pensato né come soggetto né
come oggetto; un movimento che è (per citare Derrida) eiezione dell’eietto, annuncio di una eiezione di una ex-tensione.(120)  Questo corpo è un corpo plastico che supera i propri limiti, vorremmo dire quasi astratto: «E astratto, /finalmente,/ lo sarai,/ o
uomo,/ uomo,/ lo sarai,/ fino al corpo, /fino a che finalmente/ il corpo/ si faccia
avanti,/ fino al punto/ in cui il corpo/ si fa avanti,/ in cui si annuncia come un corpo,/ di là dal concreto del corpo»(121), fino al punto in cui il corpo nelle sue determinatezze arriva a non essere più. Il corpo senz’organi più che un corpo, sembra essere la possibilità per cui i corpi possono sussistere, questo ricorda la cosa soggettiliana che sottostà la rappresentazione.

(A. Artaud - autoritratto)

Questa motilità non deve essere però individuata, orientata, per questo il bal musette è una danza alla rovescia. È come se dietro al corpo individuale vi sia una corporeità non empirica, non visibile, inafferrabile, che è la «massa di tutti i corpi» che costituisce l’insieme delle possibilità di estensione del corpo: «e il corpo non appartiene più all’uomo, non più alla coscienza,/ ma alla massa di tutti i corpi/ perché questa idea di massa agisce»(122). Per questo in Histoire vécue d’Artaud-Mômo concludeva affermando: «Questo vuol dire che ogni individuo esistente è grande quanto tutta l’immensità e può vedersi in tutta l’immensità»123.   

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Note
102 A. Artaud, “Il Teatro Alfred Jarry” (1926), tr. it. di E. Capriolo in Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 2000, pp. 5-7, qui pp. 6-7.
103 A. Artaud, “Lettere sulla crudeltà” 1932, tr. it. di E. Capriolo in Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 2000, pp. 216-219, qui p. 217.
104 A. Artaud, Per farla finita con il giudizio di dio, tr. it. di M. Dotti, Stampa Alternativa, Viterbo 2000, qui p. 53.
105 A. Artaud, “Il teatro della crudeltà”, tr. it. di M. Dotti in Per farla finita col giudizio di dio, Stampa Alternativa, Viterbo 2000, pp. 56-77, qui p. 57.
106 Ivi, p. 65.
107 Ivi, pp. 67-69.
 108 Su questo tema si veda il saggio di F. Cambria, Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud, Edizioni ETS, Pisa 2007.
109 A. Artaud, “Ainsi donc…”, in Oeuvres complètes vol. XXVI, a cura di P. Thévenin, Gallimard, Paris 1956-1994, pp. 157-158.
110 A. Artaud, “Il teatro della crudeltà”, tr. it. di M. Dotti in Per farla finita col giudizio di dio, Stampa Alternativa, Viterbo 2000, pp. 56-77, qui p. 59.
111 A. Artaud, Histoire vécue d’Artaud-Mômo, in Oeuvres complètes vol. XXVI, a cura di P. Thévenin, Gallimard, Paris 1956-1994, p. 181.
112 A. Artaud, “Lettera sulle deportazioni”, in CSO: il corpo senz’organi, tr. it. di M. Dotti, Mimesis, Milano 2003, qui p. 101.
113 «Quand j’écris,[…] je cherche à prolonger/ l’action de ce que/ j’ai écrit dans/ l’atmosphère, alors/ je me lève/ je cherche/ des consonances/ des adéquations/ de sons,/ des balancements du corps/ et des membres/ qui fassent acte,/ qui appelente/ les espaces ambiants/ à se soulever/ et à parler/ puis je me rapproche/ de la page/ écrtite.» Mia traduzione. A. Artaud 50 dessins pour assassiner la magie Gallimard, Paris, 2004, qui pp. 28-31.
114 Questo gesto grafico nato da una sorta di danza, ricorda la descrizione che Artaud ci fornisce di una delle danze rituali che avvengono durante il rito del Peiote, dove alcuni partecipanti che eseguono i movimenti disegnano dei segni per terra: «Perché credetti di vedere in quella Danza il punto dove l’inconscio universale è malato […] ad alcuni colpi precipitosi picchiati dal Prete che adesso teneva il bastone con le due mani, avanzarono ritmicamente l’uno verso l’altro, con i gomiti allargati e le mani giunte raffiguranti due triangoli che si animavano. E nello stesso tempo i loro piedi disegnavano sulla terra cerchi e qualcosa come i membri di una lettera, una S, una U, una J, una V. Cifre in cui principalmente tornava la forma 8.» in A. Artaud, “Il rito del Peyotl presso i Tarahumara” (1943), tr. it. di C. Rugafiori, in Al paese dei Tarahumara, Adelphi, Milano 2001, pp. 129-153, qui pp. 142-143.
115 Il bal musette  è una danza paesana suonata con la musette (musetta, cornamusa) solitamente sul ritmo ternario. Qui in senso esteso per Artaud sta ad indicare una danza popolare dal ritmo sfrenato. 
116 A. Artaud, Per farla finita col giudizio di dio, tr. it di M. Dotti, Stampa Alternativa, Viterbo 2000, qui p. 53.
117 Ibidem. Qui l’immagine non è casuale, il corpo organico è infatti considerato corpo morto.
118 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr. it di A. Bonomi, Bompiani, Milano 2003, qui p. 306
119 A. Artaud, “Il teatro della crudeltà”, tr. it. di M. Dotti in Per farla finita col giudizio di dio, Stampa Alternativa, Viterbo 2000, pp. 56-77, qui p. 59.
120 cfr. J. Derrida, “Forsennare il soggettile”, in Antonin Artaud Dessins et portraits, Gallimard, Paris 1978, tr. it. di A. Cariolato, Abscondita, 2005 Milano.
121 A. Artaud, “E astratto”, tr. it di J.-P. Manganaro, in Succubi e supplizi, Adelphi, Milano 2004, p. 199.
122 A. Artaud, “Al di sopra della coscienza c’è il corpo”, tr. it di J.-P. Manganaro, in Succubi e supplizi Adelphi, Milano 2004, pp. 463-464, qui p. 463.
 123 A. Artaud, Histoire vécue d’Artaud-Mômo, in Oeuvres complètes vol. XXVI, a cura di P. Thévenin, Gallimard, Paris 1956-1994, p. 187.


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1 commento:

  1. Interessantissimo questo tuo lavoro ponderoso su una figura talmente fuori dagli schemi abituali, da risultare spesso indigesta ai suoi contemporanei. Una vita travagliata, ricoveri in manicomi, cliniche, droga hanno semmai accentuato la grandezza di Antonin Artaud.

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