Con questo primo
post inizia l’inserimento su Arpa eolica del saggio su Antonin Artaud di
Federico Zaffuto – tutto il piano dell’opera su
Immagine – Autoritratto
con coltello – Pagina di quaderno Ivry-Paris, marzo 1947
INTRODUZIONE
Il nome di
Antonin Artaud è indissolubilmente legato al teatro, quando si parla di
Artaud viene
subito in mente il teatro della crudeltà e il suo tentativo di
rinnovamento di
questa arte. Il suo testo più famoso nel quale sono raccolti i più
importanti saggi
sul tema, ovvero Il teatro e il suo doppio, risulta però spesso di
difficile
intelligibilità se non viene inserito in una visione più complessiva e globale
che egli aveva
dell’arte e della vita. Questa difficoltà ha portato e continua a portare
ad
interpretazioni alquanto sommarie e in alcuni casi arbitrarie soprattutto da
parte
rifarsi alle
istanze di Artaud, ma che non fanno altro che proporre un’idea di crudeltà
come una
semplice esecuzione di dinamiche violente e scandalose. Si tenterà di
dimostrare che
per comprendere in maniera meno superficiale i concetti da lui
esposti nei suoi
testi dedicati al teatro è utile analizzare la riflessione intrapresa sulle
altre arti,
apparentemente sganciata da questo tema, ma che, come vedremo, è invece
strettamente
riconducibile ad esso.
Per questo
motivo si inizierà dai testi in cui Artaud si occupa di pittura, tema questo
per nulla
marginale nel suo percorso teorico, come dimostra il fatto che esso ha
accompagnato
tutta la sua esistenza. La pittura non è stata solo elemento di
riflessione per
Artaud ma anche mezzo artistico con cui cimentarsi attraverso i propri
disegni verso
una pratica che fosse un’illustrazione grafica delle sue concezioni. Si
inizierà proprio
con lo studio di tali disegni e in particolare dell’ultima sua opera
rimasta
incompiuta, ovvero i 50 dessins pour assasiner la magie. Questa scelta
ci
permetterà di
analizzare il punto più problematico e concettuale al quale era giunto
Artaud e
stabilire un collegamento tra l’ultimo suo lavoro e i primi saggi sulla pittura
degli anni ’20,
cercando così una prima linea di contatto tra trattazioni teoriche così
distanti
temporalmente tra loro. Avremo infatti di mira il tentativo di trovare una
visione che
vorremmo fosse la più unitaria possibile all’interno di una produzione
così variegata
come quella di Artaud.
Riguardo ai
testi del primo periodo (in particolare quelli su Paolo Uccello) e ai 50
dessins pour
assasiner la magie,
nell’impossibilità di reperire traduzioni – data la
scarsità di
interesse che il nostro paese dimostra nei confronti di questo autore –
ricorreremo a
nostre versioni dall’edizione in lingua originale della Gallimard
(purtroppo di
difficile reperibilità anche nelle biblioteche universitarie e nazionali)
che ne ha
pubblicato l’opera integrale.
Vedremo quanto i
suoi disegni non siano da considerarsi opere d’arte pittoriche, ma
una messa in
scena del superamento di tutte le forme e le norme artistiche, mirante
ad un obiettivo
preciso che a prima vista potrebbe sembrare auspicare la fine dell’arte
pittorica. Sarà
utile prendere in considerazioni anche i testi in cui Aratud esamina le
opere d’arte di
alcuni pittori, proprio per non incappare nell’erronea opinione che vi
possa essere una
presa di posizione così drastica nei confronti delle possibilità
espressive di
quest’arte. Bisogna tenere distinte l’operazione che egli intraprende nei
propri disegni,
tendente a mettere in crisi la possibilità stessa della rappresentazione
nell’arte, da
quella degli artisti da lui analizzati che, muovendosi all’interno dello
specifico
artistico pittorico, promuoverebbero una riforma del linguaggio che si
svincoli da ogni
forma precostituita. Prima di arrivare a teorizzare un punto di crisi
così estremo,
che lo porterà a inseguire il superamento della dicotomia
soggetto/oggetto
che
sta alla base stessa di ogni possibilità di rappresentazione,
vedremo come
nelle sue opere giovanili, attraverso l’analisi dei pittori, vi sia già la
continua ricerca
di quelle forme artistiche che abbiano di mira la destabilizzazione di
quelle che egli
considera le forme d’espressione più statiche della cultura
occidentale,
come nel caso della prospettiva ad esempio. Affronteremo anche con
una breve
trattazione le sue teorie sul cinema per meglio approfondire il discorso
relativo alle
arti visive.
L’arte diventerà
allora un modo per superare i vincoli formali nei quali Artaud sente
imprigionato
l’essere umano e vedremo nel secondo capitolo come questo discorso
intrapreso già negli
anni ’20 intorno alla pittura sarà ulteriormente sviluppato
riguardo
all’arte teatrale nei saggi degli anni ’30. Stavolta i vincoli formali che
emergeranno
riguarderanno l’uso della lingua alfabetica e della sua logica, che ha
talmente
ingabbiato l’espressione umana da far sviare rispetto all’essenza stessa del
teatro. La
creazione dell’uomo alfabetico, razionale, non ha solo determinato
l’impossibilità
della nascita di un vero teatro, ma, come vedremo, ha determinato
anche una
drammatica scissione all’interno dell’essere umano e del modo di
considerare le
proprie funzioni corporee e i propri organi. In questo senso verrà
analizzato il
viaggio intrapreso in Messico come la ricerca di un linguaggio possibile
per la
costituzione di un uomo differente da l’occidentale uomo razionale e che andrà
a costituire il
linguaggio del nuovo teatro della crudeltà. Il viaggio in Messico, le
riflessioni sul
teatro e quelle sulla pittura si possono tutte inserire all’interno di un
percorso che in
qualche modo cerca di portare l’uomo sulla strada di un recupero di
quella struttura
originaria unitaria che a detta di Artaud doveva essere la costituzione
naturale
dell’essere umano prima che intervenisse la spaccatura prodotta dalla cultura
occidentale.
Risulterà chiaro
allora come quello che egli cercava nell’espressione pittorica non
fosse mosso solo
da un’idea di astrattismo nell’arte fine a se stessa, ma investisse la
questione di un
recupero di quella dimensione andata perduta da parte dell’uomo
occidentale. I
«miti da far danzare» saranno allora non solo gli Edipo, Riccardo III,
Amleto, Elettra,
e tutte le altre figure create dalla fantasia dei grandi drammaturghi,
ma qualcosa di
più, qualcosa che è stato prodotto dall’essenza stessa della cultura
occidentale: la
scrittura alfabetica, la logica linguistica da essa derivata, l’incapacità
di concepire
l’uomo al di fuori di una visione organicistica e funzionale. Vedremo
come in questo
senso vi sia un collegamento stretto tra l’opera grafica, le riflessioni
sulla pittura,
quelle sul teatro e l’ultima enigmatica opera puramente vocale intitolata
Per farla finita
con il giudizio di dio, di cui parleremo più approfonditamente
nell’ultimo
capitolo.
Riguardo al
primo capitolo del nostro lavoro che tratta dei disegni di Artaud sarà
utile seguire la
fondamentale e profonda analisi offertaci da Derrida nel testo
Forsennare il
soggettile.
Per il secondo capitolo invece, data la esigua disponibilità
di saggi in
lingua italiana, non potremo che affidarci quasi esclusivamente ai testi di
Artaud,
soprattutto per la parte dedicata al rito e al viaggio in Messico. Nel terzo
capitolo infine
ci si concentrerà in particolare sull’analisi dell’opera intitolata Per
farla finita con
il giudizio di dio,
volendo proseguire e approfondire il discorso
intrapreso nel
capitolo precedente sui sensi e la costituzione corporea dell’uomo. Per
questo motivo
non si entrerà nel merito dei tanti significati contenutistici presenti nel
testo ma si
tenterà di analizzare il lavoro cercando di mettere in luce le motivazioni
che hanno
portato Artaud a scegliere una forma di espressione così particolare. Sul
tema della voce
e della radio non potremo però essere aiutati nemmeno dai testi dello
stesso Artaud
dato che egli non ha sviluppato nessuna teoria al riguardo: si tenterà
dunque di far
luce su quei temi attraverso saggi di studiosi che, pur non dedicandosi
direttamente ad
Artaud, si sono occupati in modo approfondito della voce e dei
media. In particolare
si prenderanno in considerazione: il saggio sulla poesia orale di
Zumthor, quelli
sui mezzi di comunicazione di McLuhan, la trattazione sulla voce di
Connor e anche,
molto brevemente, alcune riflessioni di Adorno. Si tenterà di far
dialogare questi
studi con Artaud, in modo da poter capire le motivazioni di una
scelta che lo
hanno portato a ideare il progetto per la radio intitolato Per farla finita
con il giudizio
di dio.
La trattazione
sulla voce farà emergere l’ultimo elemento di parallelismo con le altre
parti del nostro
lavoro ricongiungendosi con la prima parte del primo capitolo dove il
segno grafico
dei disegni di Artaud era usato per sovvertire fino alla radice tutte le
forme della
rappresentazione, mentre ora è la voce a essere usata, ma come arma
contro la parola
e la cultura scritta. Se il teatro rappresenta l’immagine della sintesi di
tutte le arti
perché utilizza mezzi espressivi indirizzati verso più organi di senso,
vedremo come
questo aspetto sia già presente nelle opere pittoriche, che
restituiscono
elementi sonori, nei disegni di Artaud e nella sua registrazione per la
radio, dove si
possono intuire i movimenti fisici dell’autore e dove le barriere tra le
arti sembrano
doversi infrangere. Emergerà come nelle ultime sue opere Artaud
sembri inseguire
un’espressione creata da un gesto che sia allo stesso tempo
pittorico,
vocalico, fisico, coreografico, un unico gesto che crea una sorta di
macrosegno che collega
tutte le forme espressive dell’arte.
Autore di enorme complessità, l'ho conosciuto attraverso il teatro di Carmelo Bene e con la lettura del suo saggio "Van Gogh, il suicidato della società", leggerò con interesse il seguito, ciao.
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