Clara Usón
- La figlia - edizioni
Sellerio –
Nelle
librerie
Per la
presentazione di questo libro Arpa eolica fa riferimento al post di Matteo
Tassinari inserito sul blog Notti notturne – si ringrazia l’autore per il permesso di
utilizzare parte del suo post
Cuore di babbo. Luce
dei miei occhi. Vita mia. Pure i criminali sanno dire queste cose. Papà Ratko
le diceva alla sua Ana. La più grande. La preferita. La chiamava “figlio
mio”. Figlio anche se era una figlia, perché in certi mondi non c’è modo
migliore d’amare una primogenita che considerarla un maschio. Il generale e la
bambina. Ratko la coccolava, coccolato da lei. Ana l’abbracciava, ed era
abbracciata da lui. Lui le dava da pulire la Zastava, la pistola
dell’accademia militare, dicendogli che un giorno l’avrebbe regalata per
donarla al suo primo figlio, suo nipote. Alienazioni mentali di questo tipo il
mondo ne è pieno. La mente è molto più ampia del cosmo. Lei era felice,
energica, meglio di un attendente, olio e acquaragia, contenta d’ubbidire
ciecamente a suo padre che ancora non sapeva chi fosse realmente.
Poi accade che Ana
diventa grande. Meno
soggiogata e infatuata dalla figura del padre per alcune notizie che arrivano
come un violino rotto e scordato che emette stridenti rumori insopportabili al
sol udito. Meno allegra. Più claudicante e taciturna quanto ombrosa. Meno
bella, anche. Iniziò a dimagrire e non parlare più con nessuno della sua
famiglia. Cosa fosse successo nella mente della figlia del generale è
materia di un romanzo eccezionale, opera della
scrittrice Clara Usón, per i tipi della Sellerio intitolato La
figlia. Quasi cinquecento pagine, anni di elaborata esplorazione nella
psiche di una giovane donna travolta in poco tempo da spettri, larve,
intuizioni, incubi, illuminazioni dalla luce color corvino, per ricostruire un
affresco shakespeariano, drammatico, commovente, tormentato fino al punto del
non ritorno, sul rapporto che intercorreva tra il
generale e "suo figlio". Un amore fideistico, tanto cieco da non
contemplare l’evidenza dell’orrore e delle responsabilità di
Mladic nel conflitto bellico dei Balcani. Un’opera imponente che si pone sulle
tracce delle antiche tragedie greche, che scruta con il mezzo letterario la
deflagrazione che avviene nella psiche di una ragazza mentre comprende
lentamente la verità sulla figura paterna. Una verità con la quale non riesce a
fare i conti, che si intreccia indissolubilmente con la storia antica e recente
dei territori della ex Jugoslavia e tutti i suoi
nazionalismi isterici e fanatici. Un gesto, quello di Ana Mladic,
che suo malgrado avrà ripercussioni sulla Storia, che scatenerà la ferocia di
Mladic e le sue milizie fino all’estremo. Viene da ridere. La chiamano
guerra etnica, come se l'etnia diversa giustificasse il macello avvenuto e gli stupri
di massa, il sangue come acqua per calmare i furiosi istinti e là, per giunta,
l'etnia era una sola per musulmani di Bosnia e ortodossi di Serbia e cattolici
di Croazia.
Scoprì il cuore di
tenebra di suo padre, la violenza nera di cui Ratko Mladic era il vessillo,
generale delle forze armate per conto del folle progetto ideato da Milosevic e
Karazidc, la cosiddetta Grande Serbia. Gli occhi di Ana presero
un’altra luce. La sua vita improvvisamente divenne incubo. Si lamentava di continui mal di testa, di non potersi
concentrare nello studio per gli esami finali, era triste, abbattuta. Ana
che sognava di diventare chirurgo perché da giovane era stato il sogno
frustrato di papà.
Aveva
23 anni, ed era il 1994. Aprì l’armadietto di casa, tirò
fuori la Zastava per spararsi un colpo alla tempia.
Spararsi per sparire dall’orrore commesso dal padre in quel periodo. S’è
portata il segreto nella tomba, s’usa dire. Quando certe tombe nono hanno alcun
segreto. Una tragedia greca, o russa. Il rapporto di Ana con suo padre non ha
nulla d’edipico. E’ tutto in un video che si può vedere su Youtube. Ci sono
loro due che scherzano durante un picnic. Lo schermo nero. La scena dopo si
vede il generale Mladic che piange sulla tomba di sua figlia Ana, convinto che
l’abbiano uccisa, un complotto da parte delle milizie nemiche.
La
storia di Ana, cambia
totalmente, durante un viaggio a
Mosca, dove con alcuni compagni e sente molte cose, troppe. Ne discute con gli
amici. Cercano di rassicurarla, ma lei capisce che razza di criminale sia suo
padre nella realtà, una verità a lei sempre taciuta. Uno shock emotivo come una
scossa da sedia elettrica. Mettetela come volete, ma in Ana c'è molto di noi,
più di quello che pensiamo. Altrimenti saremmo veramente ridotto all'ammasso.
Per questo ritengo che il libro "La figlia" sia un romanzo che non può, non deve passare inosservato.
In ogni biblioteca sarebbe opportuno che vi fosse uno spazio riservato ai libri
"per non dimenticare". Questo bel libro ha pieno diritto e titolo di
essere conservato là, è il suo giusto posto. Sarebbe sbagliato considerare la
vicenda di Ana solo una tragedia singola avvenuta come capitano tanti tragici
fatti, perché simbolicamente è pregna di significati, sul fronte padre-figlia,
bene-male, terribile illusione poi frammentata, violazione del proprio amore,
non so se riesco a spiegarmi. Solo chi s'è trovato sul bordo del crinale può
dirlo, quando tutto è precluso e l'abbandono diventa abitudine.
Torture.
Stupri. Ana realizza che il suo punto di riferimento, forse, non è l’eroe
che crede. Torna a casa cambiata, introversa, non dice a nessuno che cosa
pensa: Ci sono interpretazioni possibili. Ana si uccide per uccidere in realtà
suo padre. O perché sente il peso della colpa e non può conviverci. O è una
sorta di sacrificio. Mi ammazzo perché tu capisca. Io sono la persona al mondo
che tu ami più di tutti e devi capire la sofferenza che stai infliggendo
all'umanità. Tutte ipotesi che non hanno valore reale, ma solo tentativi per
capire a fondo (se ci è permesso) il senso della mattanza di cui l'uomo è
capace di macchiarsi e continuare a vivere convinto delle proprie idee come un
pazzo vive rinchiuso nel suo castello di fissazioni e frustrazioni, un oceano
di paranoie a getto continuo, senza tregua, da qui la ferocia di un uomo che
ormai non aveva più coordinate, ma solo ectoplasmi mentali da nutrire.
L’intero
articolo di Matteo Tassinari su http://mattax-mattax.blogspot.it/2013/08/la-figlia-del-boia.html
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