Già il titolo suggerisce l’amara
contrapposizione tra capitale, ossia valore, del denaro, l’unico che sembri
dominare nei rapporti umani, e valore dell’uomo. E il capitalismo di cui si
tratta è il più disumano e fine a se stesso, quello finanziario, quello del
denaro per fare altro denaro e della speculazione per arricchirsi sulla rovina
degli altri.
Una cinica economia, di scottante attualità, divenuta archetipo della legge della giungla, che non può non avere una ricaduta nell’esistenza morale dei singoli e stritolare i più deboli o estranei alle sue dinamiche. Sullo sfondo di una Brianza dal gelido paesaggio invernale, con le sue ville sfarzose, le scuole private per i figli, le frequentazioni interessate, il disinteresse per la cultura, luogo simbolicamente eletto dal regista per la sua particolare concentrazione sociale, vengono delineati i personaggi . E’ un mondo a cui, accanto al ricchissimo e incallito speculatore, aspira il tranquillo immobiliarista al quale un normale benessere non basta più, perché la meta oramai è diventata la ricchezza; e per essa è disposto a indebitarsi rischiando la rovina. Un mondo in cui cultura e sentimenti non hanno più posto e si possono anche vendere a caro prezzo le prove che discolpano un ragazzo innocente minacciato dal carcere. A questo ambiente opulento fanno contrasto, all’inizio e alla fine del film come una sorta di cornice, due perdenti: un povero cameriere che rientrando in bici di notte viene travolto e ucciso da un’auto; un ragazzo, già vittima innocente della società che inavvertitamente non si è fermato e finisce in carcere. Ma quanto vale la vita umana?, si chiede alla fine il regista, mentre fa scorrere sullo schermo i glaciali criteri con cui si soppesa l’entità finanziaria di un risarcimento in caso di morte: l’età, l’aspettativa di vita, il grado di parentela, il grado di affettività.
Una cinica economia, di scottante attualità, divenuta archetipo della legge della giungla, che non può non avere una ricaduta nell’esistenza morale dei singoli e stritolare i più deboli o estranei alle sue dinamiche. Sullo sfondo di una Brianza dal gelido paesaggio invernale, con le sue ville sfarzose, le scuole private per i figli, le frequentazioni interessate, il disinteresse per la cultura, luogo simbolicamente eletto dal regista per la sua particolare concentrazione sociale, vengono delineati i personaggi . E’ un mondo a cui, accanto al ricchissimo e incallito speculatore, aspira il tranquillo immobiliarista al quale un normale benessere non basta più, perché la meta oramai è diventata la ricchezza; e per essa è disposto a indebitarsi rischiando la rovina. Un mondo in cui cultura e sentimenti non hanno più posto e si possono anche vendere a caro prezzo le prove che discolpano un ragazzo innocente minacciato dal carcere. A questo ambiente opulento fanno contrasto, all’inizio e alla fine del film come una sorta di cornice, due perdenti: un povero cameriere che rientrando in bici di notte viene travolto e ucciso da un’auto; un ragazzo, già vittima innocente della società che inavvertitamente non si è fermato e finisce in carcere. Ma quanto vale la vita umana?, si chiede alla fine il regista, mentre fa scorrere sullo schermo i glaciali criteri con cui si soppesa l’entità finanziaria di un risarcimento in caso di morte: l’età, l’aspettativa di vita, il grado di parentela, il grado di affettività.
Si tratta di un film ben equilibrato,
dal ritmo incalzante, sapientemente costruito nella cucitura delle sequenze e
nel ritmo narrativo; ottima l’interpretazione degli attori ben calati nei
personaggi. Non è un film critico sulla Brianza, come qualche politico troppo
campanilista ha voluto vedere, e la frecciatina al leghista, dall’ottusità
culturale e l’incerta sintassi, fa parte del paesaggio scelto.
Maria Luisa Ferrantelli
Già, peccato, è un film che ha fatto parlare di sé più per la "rivolta" dei "brianzoli" che per quel suo reale sanguinario spaccato di vita moderna che ci vede attori stritolati dagli ingranaggi di chi fa funzionare il macchinario per sfornare soldi per sé e per la sua casta.
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